lunedì 12 agosto 2013

Sull’antisemitismo e sul razzismo in genere


Premetto che da otto anni ho una relazione con un’ebrea.
La più lunga, seria e duratura della mia vita.
Ma capisco gli antisemiti. Capisco che il loro odio per gli Ebrei è una forma di rifiuto della cultura ebraica, se non anche della cultura tout court. Gli Ebrei sono un popolo sacerdotale e libresco, che ha la coscienza formata in buona parte sullo studio di testi sacri. Chi non ha idea di che cosa significhi leggere, ricordare, pensare, chi si diletta di circenses e coca cola non considera sani quelli che hanno l’abitudine di studiare.
Gli Ebrei hanno inventato il monoteismo padre del cristianesimo e, con Carlo Marx, il comunismo, due filosofie troppo esigenti per chi vive in balia delle mode, della propaganda e della pubblicità disordinatamente e a casaccio.
Freud, per togliere agli Ebrei la reputazione di inventori del duro monoteismo, l’ha attribuita a un Mosé egiziano, seguace del faraone eretico, adoratore del Sole.
Si trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere; e con la fede in un unico dio nacque inevitabilmente l’intolleranza religiosa, sconosciuta all’antichità prima di allora e per molto tempo dopo. Ma il regno di Amenofi durò solo diciassette anni; subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1358, la nuova religione fu spazzata via, e la memoria del re eretico proscritta…Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu Egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhanatòn, la religione di Atòn”1.
Gli Ebrei, avvertendo per primi questa loro diversità, non si sono mai assimilati del tutto agli altri popoli.
Leggo che un professore di liceo di Sanremo è accusato di antisemitismo.
Non so come lo manifesti, ma so che non sono pochi quanti credono che i mali dell’Europa siano l’effetto di una congiura giudaica sul tipo di quella immaginata dal falso Protocollo dei savi anziani di Sion.
Hitler, il tanghero sanguinario che ha incendiato l’Europa ha avuto un seguito di altri milioni di tangheri, finché non ha perso la guerra.
Quanti sono stati in Italia i professori che al tempo degli orrendi trionfi del nazifascismo non hanno giurato fedeltà al regime delle leggi razziali? Pochi assai, mi dicono.
La mia compagna ebrea passa il tempo libero a studiare. Non va a vedere partite di calcio. Quale movente se non un’ignoranza bestiale può spingere i cosiddetti tifosi a insultare i giocatori neri durante una partita?
Qualche giorno fa, mentre sostavo a un semaforo con la mia bicicletta,
una ragazzina negra mi ha guardato e mi ha fatto: “Buuu!”.
Brava”, gli ho risposto, “brava, noi bianchi ce lo meritiamo!”
Il movente del razzismo è sempre quello, l’odio per la diversità.
Vero è che “buona parte della storia ufficiale è menzognera”, come afferma Antonio Marcianò, il professore in questione.
Committenti della storiografia infatti sono ogni volta i vincitori ed essa appare come un palinsesto più volte raschiato e scritto di nuovo.
La storia è sempre un giudizio di Dio contro chi ha perso.
Dopo la sconfitta di Hitler, scrivere e parlare male degli Ebrei è quasi un tabù. Eppure l’ebreo rimane inquietante nel sentimento e nell’approccio con gli ignoranti che trovano destabilizzante la vicinanza, il colloquio con le persone abituate a riflettere. Non dico che gli Ebrei siano tutti degli intellettuali, altrimenti farei del razzismo, se pur paradossale, a mia volta, ma certamente esistono tratti tipici o caratteristici di ciascun popolo, come di ogni individuo. Io affermo che la diffidenza nei confronti degli Ebrei, non poche volte acutizzatasi in odio nella storia d’Europa, deriva dalla loro quidditas e differenza sostanziale dalla massa dei cosiddetti ariani, insomma dei più qui in Italia.
Non è una mia trovata: di una profonda diversità dei Romani dai Giudei si era accorto Tacito alla fine del I secolo dopo Cristo, e non ne mancano cenni in Orazio già un secolo prima.
Sentiamo dunque lo storiografo latino che presenta il popolo ebraico, la sua cultura, perfino il suo ambiente geografico, in modo del tutto malevolo, prendendo , appunto, in malam partem ogni cosa che lo riguardi .
La Giudea viene descritta in un celebre excursus delle Historiae, come una regione corrotta abitata da gente corrotta: “Moyses quo sibi in posterum gentem firmaret, novos ritus contrariosque ceteris mortalibus indidit. Profana illic omnia quae apud nos sacra, rursum concessa apud illos quae nobis incesta” (Historiae, V, 4), Mosè, per tenere legato a sé il popolo nell’avvenire, introdusse riti inauditi e contrastanti con quelli degli altri mortali. Empio è là tutto quanto da noi è sacro e, viceversa, lecito tutto quanto da noi è impuro.
Tacito ricorda alcune usanze e riti giudaici giustificati dalla loro antica tradizione, come il panis Iudaicus nullo fermento, il pane azzimo, il riposo del settimo giorno e del settimo anno, dedicato alla pigrizia (ignaviae datum). Già questa parte non è priva di malevolenza.
Quindi lo storiografo rincara la dose e aggiunge: “cetera instituta, sinistra, foeda, pravitate valuere” (V, 5), altre costumanze, sinistre, ripugnanti, si affermarono per la depravazione. I Giudei sarebbero solidali tra loro, sed adversus omnis alios ostile odium, ma nutrirebbero un odio da popolo nemico nei confronti di tutti gli altri. Per distinguersi da gli altri popoli e riconoscersi tra loro, si circoncidono.
Nel testo non mancano le contraddizioni, come sempre quando si hanno pregiudizi e si fa propaganda.
Questo popolo, oltre a disprezzare gli dèi, non ama la patria, né i genitori, né i figli, né i fratelli. Tuttavia, per accrescere il proprio numero, i genitori non sopprimono la prole. In conclusione di capitolo, Tacito respinge l’analogia che si è voluta trovare tra Libero, latore della religione dionisiaca e alcuni aspetti della cultura giudaica: “Quippe Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaerom mos absurdus sordidusque” (Historiae, V, 5), Libero infatti ha istituito riti festosi e lieti, mentre il costume dei Giudei è assurdo e squallido.
La stessa terra di questa gente presenta aspetti sinistri: il Mar Morto e il territorio circostante sembra corrispondere al carattere malsano e degenerato di questo popolo. Tacito descrive un lago grande quanto un mare ma sapore corruptior (Historiae, V, 6), molto guasto al sapore, e portatore di peste agli abitanti con la pesantezza del cattivo odore. Non c’è vita in quel sudiciume quasi solido dove le cose gettate non vanno a fondo, e nemmeno gli uomini, anche se non sanno nuotare: periti imperitique nandi perinde attolluntur. Vicino a quest’acqua orrenda ci sono campi ora desolati, ma una volta popolosi con grandi città che si dice, fulminum ictu arsisse (V, 7), bruciarono colpite dal fulmine.

Un fulmine che, secondo la storia sacra degli Ebrei, colpì l’ingiustizia.
Nella Genesi (19, 24) si legge di due città bruciate dall’ira divina poiché nemmeno dieci giusti vi si trovavano: “ Il signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco”. Gli abitanti di Sodoma volevano abusare dei due angeli ospiti di Lot. Una storia che ha avuto larga risonanza nella letteratura europea.
Proust premette queste parole al IV volume della sua Ricerca: “ Prima apparizione degli uomini-donne, discendenti da quegli abitanti di Sodoma che furono risparmiati dal fuoco celeste”2.
Di queste città distrutte ictu fulminum resta qualche traccia ma la terra stessa, dall’aspetto bruciato, ha perduto la forza di produrre frutti: “terramque ipsam, specie torridam, vim frugiferam perdidisse” (Historiae, V, 7).
Tutto quello che viene alla luce spontaneamente (cuncta sponte edita) o è seminato (manu sata), divenuto nero e vuoto, svanisce come in cenere (atra et inania velut in cinerem vanescunt).
Il fuoco celeste (ignis calestis), commenta Tacito, può esserci anche stato, ma è a causa del cielo e del suolo ugualmente guasti che imputridiscono i frutti delle messi e dell’autunno: “eoque fetus segetum et autumni putrescere reor, solo caeloque iuxta gravi ”.
Il determinismo geografico presente nella letteratura antica trova delle corrispondenze tra il clima, il suolo e le forme dell’esperienza umana.
Tanta malevolenza non può che derivare dalla constatazione della diversità e stranezza della cultura di questa gente.
Tacito procede facendo la storia dei Giudei e aggiungendo altre maledizioni: sotto gli Assiri, i Medi e i Persiani furono despectissima pars servientium (V, 8), i più disprezzati tra gli assoggettati; quindi, dopo Alessandro Magno, il re Antioco3 tentò di sradicarne4 il fanatismo et mores Graecorum dare, e dare loro dei costumi Greci. Ma quella taeterrima gens, quella razza davvero ripugnante, non poté essere emendata a causa della guerra dei Parti. In seguito i Giudei si diedero dei re che si dedicarono a distruzioni di città, stragi di fratelli, spose, genitori mentre favorivano la superstizione. Le Storie di Tacito proseguono con la sottomissione dei Giudei da parte di Pompeo (63 a. C.). Segue la rivolta sotto Vespasiano e la repressione operata dai Flavi.
Il racconto si interrompe con l’assedio di Tito a Gerusalemme che poi si concluse con centinaia di migliaia di Ebrei uccisi. Tacito però fa in tempo a ricordare che il popolo giudaico, gens superstitioni obnoxia, religionibus adversa (V, 13), soggetta alla superstizione, contraria alla religione, considera empio scongiurare i prodigi con sacrifici e preghiere (neque hostiis neque votis piare fas habet).
C’è un rovesciamento fazioso, malevolo nei confronti degli Ebrei, dei termini religio e superstitio.
Concludo: è la forte cultura di questo popolo che suscita tanta incomprensione e tanto odio. Si tratta infatti di una gens restia a farsi assimilare, incapace di "tener l'occhio fisso ai calzari dei Romani che sono al di sopra del capo", come consiglia Plutarco ai Greci5.
Dedico questo pezzo alla mia compagna Polina, ebrea ottima e tipica, degna di amore , stima e assoluto rispetto.

Giovanni Ghiselli

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1 S. Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, , secondo saggio (del 1937) p. 353.
2 Sodoma e Gomorra, p. 5.
3 IV Epifane, 175-163 a. C.
4 Con violenza e distruzioni sulle quali Tacito sorvola.
5 Consigli politici, 813E

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