sabato 20 dicembre 2014

La storia di Didone. IV parte

William-Adolphe Bouguereau
Giovanetta che si difende da Cupido (1880)

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Il mito

Nel film Medea di Pasolini il centauro che educa Giasone adolescente gli dice: "Te ne andrai in un paese lontano, di là dal mare. Qui farai esperienza di un mondo che è ben lontano dall'uso della nostra ragione; la sua vita è molto realistica come vedrai, perché solo chi è mitico è realistico e solo chi è realistico è mitico".
Il mito infatti cerca le origini, e chi non le conosce non è cosciente della realtà. "La nostra origine è nei miti: tutti i miti sono di origine"[1]. Inoltre il mito ci dà indicazioni sulla nostra vita psichica: "la psicologia mostra i miti in vesti moderne, mentre i miti mostrano la nostra psicologia del profondo in vesti antiche"[2].
Altra considerazione sui grandi significati del mito si trova nel libro di Morin più volte citato: "Il mito non è la sovrastruttura della nazione: è ciò che genera la solidarietà e la comunità; è il cemento necessario a ogni società e, nella società complessa, è il solo antidoto all'atomizzazione individuale e all'irruzione distruttrice dei conflitti…L'antico internazionalismo aveva sottostimato la formidabile realtà mitica"[3].

Fuoco ferita e follia tutti insieme tormentano Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace: "Heu vatum ignarae mentes! quid vota furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totāque vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta" (IV, vv. 65-69), Ahi menti ignare dei vati! a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora il tenero midollo la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.

-Est= edit. La radice deriva dall'indoeuropeo *ed- da cui discendono pure il greco [esqivw< *ejjjd-qivw l' italiano inedia, l'inglese to eat , il tedesco essen .
-mollis=molles.
-Uritur: c'è un consiglio dell'apostolo Paolo alle vedove che contiene questo verbo, con questa diatesi: "Dico autem innuptis et viduis: 'Bonum est illis si sic maneant sicut et ego; quod si non contineant, nubant. Melius est autem nubere quam uri'" (Ai Corinzi , I, 7, 9), dico però a quanti non sono sposati e alle vedove: è bene per loro che stiano così come sto io, ma se non si contengono, si sposino. E' meglio infatti sposarsi che ardere (krei'tton gavr ejstin gamh'sai h] purou'sqai).
Possiamo dedurne una riflessione : se l'amore è fuoco, come l’arte. e il matrimonio lo spenge, il matrimonio nega l'amore.

L'amore causato da una freccia che provoca una ferita, la quale arde come una fiamma, è un aition e una situazione che si trova già nelle Argonautiche di Apollonio Rodio: Eros scaglia contro Medea un dardo poluvstonon (III, 279), penoso; quindi la freccia ardeva nella ragazza sotto il cuore, simile a una fiamma ("bevlo" d j ejnedaiveto kouvrh/-nevrqen uJpo; kradivh/, flogi; ei[kelon", III, 286-287).
 "Il libro IV, com'è ben noto, è il libro dell'Eneide in cui la poesia ellenistica e la poesia neoterica sono più presenti e operanti: Virgilio è stato continuamente stimolato da Apollonio Rodio e da Catullo e li ha "emulati"[4]. Apollonio Rodio offriva nel III libro delle Argonautiche (dove narrava come la giovanissima Medea si innamorasse di Giasone e gli desse con la sua arte magica un aiuto decisivo per la conquista del vello d'oro) un esempio difficilmente pareggiabile di finezza e delicatezza psicologica nel seguire il primo nascere di una passione d'amore, il suo incerto rivelarsi, il contrasto fra la passione e il senso del pudore e dell'onore, il trionfo selvaggio della passione; e all'acume dell'analisi univa senso profondo del pathos e intensità lirica nell'espressione dei sentimenti. Ma Medea è all'inizio una giovinetta in cui la passione germina per la prima volta. Didone è una donna matura che ha già sperimentato l'amore, il matrimonio, la perdita tragica del marito, e al marito morto si sente legata da un vincolo religioso di fedeltà: se Apollonio è attento alle prime incerte manifestazioni della passione, Virgilio...nel IV libro parte già dalla fase in cui la passione è furore irrazionale (importante nel libro il richiamo di immagini dionisiache che spezza tutte le resistenze)"[5].


Il dardo e il fuoco d'amore in altri autori: Catullo, Tibullo, Ovidio, Petrarca, e Balocchi-Rossini.

L'immagine della freccia che trafigge la cerva quale correlativo venatorio del dardo d'amore è una " virgiliana comparatio " che impressionò Petrarca schiavo e malato d'amore portandolo a identificarsi con la creatura colpita, ossia, in definitiva, con Didone: "Huic ego cerve non absimilis factus sum. Fugi enim, sed malum meum ubique circumferens "[6], io sono diventato non dissimile a questa cerva. Sono fuggito infatti, ma portando il mio male dappertutto in giro con me.
Poco più avanti Petrarca cita Orazio per significare l'impossibilità di liberarsi dal dardo amoroso: "celum non animum mutant, qui trans mare currunt "[7], cambiano il cielo non l'animo quelli che corrono al di là del mare.
Per quanto riguarda la dipendenza di Virgilio da Catullo segnalo due versi del Liber : "ignis mollibus ardet in medullis " (45, 16), arde il fuoco nelle tenere midolle, e "cum penitus maestas exēdit cura medullas "( 66, 23), quando una pena profonda ti consumò le afflitte midolla.
 Pure il miser Tibullo brucia d'amore: le fiaccole che lo ardono sono brandite della domina Nemesi che gli ha tolto la libertas e lo ha sottoposto ad un triste servitium con tanto di catene: " Sic mihi servitium video dominamque paratam;/iam mihi, libertas illa paterna, vale!//Servitium sed triste datur, teneorque catenis,/et numquam misero vincla remittit Amor,//et, seu quid merui, seu quid peccavimus, urit./Uror, io! Remove, saeva puella faces" (II, 4, 1-6), così vedo pronta per me la padrona e il servaggio; oramai ti saluto bella libertà ricevuta dal padre! Ma un servaggio penoso mi è imposto, e sono avvinto dalle catene e mai allenta i vincoli Amore, e, sia che abbia dei meriti, sia che abbia commesso dei falli, brucia. Brucio ahi! Allontana, crudele ragazza, le fiaccole!

La catena prosegue con la Didone delle Heroides di Ovidio il quale descrive questo suo bruciare per Enea illustrandolo in maniera particolareggiata con due paragoni, il secondo dei quali prefigura il suicidio sulla pira: "Uror, ut inducto ceratae sulpure taedae;/ut pia fumosis addita tura rogis "(VII, 25-26), brucio come fiaccole coperte di cera e impregnate di zolfo; come i santi incensi gettati sui roghi fumosi.

L'amore come freccia, ferita, fiamma e affanno si trova anche nel melodramma giocoso Il viaggio a Reims[8]: se ne lamenta lord Sidney innamorato della poetessa Corinna: "Ah! perché la conobbi?/ Perché appena lo stral ferimmi il petto,/ Non fuggir, non lasciarla? Incauto, ahi! lasso!/ La fiamma alimentai ch'ognor più viva/ Or mi divampa in se; non trovo pace,/ E, in preda al mio deliro,/ La notte e il dì, d'amor gemo e sospiro./ Invan strappar dal core/ L'acuto dardo io tento;/ Più vivo ognor l'ardore/ Nel sen crescendo va./ Dell'anima fedele Timido/ i voti ascondo; Affanno più crudele/ Del mio no non si dà".

Il dardo d'amore nell'Eneide non ha nulla di giocoso: è come una canna mortale ficcata nel fianco: "haeret lateri letalis harundo " (IV, v.73). Il sentimento amoroso è dunque connesso al dolore, alla morte e al senso di colpa.
La causa è il terrore dell'istinto che è sintomo di decadenza e di calo del turgore vitale.
"Combattere gli istinti-questa è la formula della décadence ; fintanto che la vita è ascendente, felicità e istinti sono uguali"[9].
Di questa lotta contro gli istinti abbiamo un'iterata formulazione latina in Cicerone: "primum ut appetitus rationi pareat...praestantissimum est appetitum obtemperare rationi "(De Officiis , I, 141), la prima regola è che l'istinto obbedisca alla ragione...la regola più importante è che l'istinto si sottometta alla ragione. Può andare purché l'istinto non venga criminalizzato o soppresso, infatti : "l'umanità non si riduce affatto all'animalità; ma senza animalità non c'è umanità"[10].
"Molti provano, per un istante, una penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tale conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si erano accollati"[11].

Rimasta sola nella casa vuota, la digraziata regina si tormenta: "sola domo maeret vacua " (v. 82) o in altri momenti inganna se stessa trattenendo in grembo Ascanio "infandum si possit fallere amorem " (v. 85), per vedere se possa illudere l'indicibile amore.


giovanni ghiselli
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[1] J. Hillman, Il piacere di pensare, p. 52.
[2] J. Hillman, Variazioni su Edipo, p. 76.
[3] E. Morin, La testa ben fatta, p. 69.
[4] Huysmans meno benevolmente parla di "impudenti plagi" compiuti da Virgilio (Controcorrente, p. 42).
[5]A. La Penna-C. Grassi, op. cit., p. 356.
[6]Secretum , III, 40.
[7]Ep. , I, 11, 27.
[8] Libretto di Luigi Balocchi, musica di Gioacchino Rossini. Fu rappresentato per la prima volta nel 1825 per l'incoronazione di Carlo X di Borbone avvenuta appunto a Reims.
[9]F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli (del 1888), p. 57.
[10] E. Morin, La testa ben fatta, p. 37.
[11] H. Hesse, Klein e Wagner (del 1920).p. 126.

1 commento:

  1. Mi sento in buona compagnia che trascorro la mia vita a cercare di gestire l'istinto...spero di non fare la fine di Didone....Giovanna Tocco

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