mercoledì 2 dicembre 2015

I "Remedia amoris" di Ovidio, Parte II

Emblemata Amatoria

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L’amore dunque come malattia dalla quale dobbiamo liberarci
Se l'otium, la pigra mollezza, è alimento della malattia d'amore, la guarigione comincia già dall'impegnarsi in una vita attiva: Remedia amoris 143 s. qui finem quaeris amoris, / (cedit amor rebus) res age, tutus, eris"[1]. L'ozio come responsabile dell'amore riprovevole viene indicato anche da Menedemo al figlio Clinia: "Nulla adeo ex re istuc[2]  fit nisi ex nimio otio " (Heautontomorumenos[3], 109) , da nessun altro motivo reale deriva questa tua smania se non dall'ozio eccessivo.
Mi sembrano cruciale anche quest' altro distico sull'otium da evitare se si vuole guarire dall'amore: "otia si tollas, periere Cupidinis arcus, /contemptaeque iacent et sine luce faces" (Remedia, 139 - 140) , se togli di mezzo il tempo libero, si rompono gli archi di Cupido, e le sue fiaccole rimangono a terra disprezzate e senza luce. Invece dell'otium dunque viene consigliato un qualsiasi negotium[4] che tolga a Eros il terreno fertile della desidia.
L'amore ha bisogno di tempo libero: nel Duvskolo" di Menandro Sostrato, l'innamorato ricco, domanda al fratello della ragazza, Gorgia è: "ma per gli dèi, non sei mai stato innamorato di una, tu ragazzo? " (oujpwvpot j hjravsqh" tinov", meiravkion; v. 341) . E il futuro cognato, che ricco non è, risponde: "Non me lo posso permettere, caro mio" (oujd j e[xestiv moi, bevltiste, v. 342) Sostrato non ne capisce la ragione e domanda: " come ma, chi te lo impedisce? " (pw'"; tiv" e[sq j oJ kwluvwn; 344) pensando magari al vecchio misantropo, ma Gorgia fa vedere un panorama negativo più ampio: "il calcolo dei miei guai (oJ tw'n o[ntwn kakw'n logismov" - 344) .
/che non mi dà un momento di respiro" L'uxoricida della Sonata a Kreutzer di Tolstoj[5] mette l'ozio tra le esche ingannevoli della sua infausta passione amorosa: "Ma in realtà quel mio amore era prodotto, da una parte, dall'affaccendata madre e dalla sarta, dall'altra - dalla grande abbondanza di cibi che ingoiavo, e in più dalla vita oziosa che menavo" (p. 327) .
 Altrettanto pensa la vecchia Bovary dei grilli della nuora: "Ci vorrebbe un'occupazione, un bel lavoro manuale! Se come tante altre fosse costretta a guadagnarsi il pane, non avrebbe mica tanti fumi per la testa. Sai da dove vengono? Da quel mucchio di idee balorde, dal troppo ozio in cui vive"[6].

Le attività raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle "del foro e della guerra, il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco rinuncia alla carriera e alla rispettabilità" (p. 40) . In una nota[7] Conte menziona Amores I, 15, 1 ss. segnalando che in questa elegia di Ovidio "e in genere nei luoghi elegiaci pertinenti, le attività rifiutate si connotano negativamente (praemia militiae pulverulenta; verbosas leges e ingrato foro ai vv. 4 ss.) ed è invece rivendicata la positività dell'ignavia e dell'inertia (la poesia elegiaca è detta ingenii inertis opus) ; al contrario, nei Remedia, il poeta deve impegnarsi a sottolineare la positività dei mondi che il suo allievo deve scoprire (152 ss.) , ed è adesso la scelta dell'otium a subire la critica (quella stessa che poteva venire dai moralisti benpensanti, dai senes severiores) ". I Remedia per certi versi sono un controcanto all’Ars amatoria.
Altra operosità raccomandata per sfuggire al tormento amoroso è quella nell'agricoltura, " l'attività economica tradizionale del signore romano, ma che è raccomandata come modello di vita in cui i tratti dell'utile quasi cedono di fronte alle preponderanti attrattive estetiche che può offrire una tenuta di campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium, non può mancare la passione per la caccia (e in subordine, per la pesca) : l'inconciliabilità fra Diana e Venere è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel codice antropologico"[8] 
Cfr. l’Ippolito di Euripide.
Vediamo alcuni aspetti di questo poemetto, il proemio, quindi scegliamo alcuni "versi chiave"
"L'opera si presenta come un trattato di medicina, il cui contenuto si sviluppa in una serie di precetti (i precedenti si collocano nel mondo greco: nel II sec. a. C. Nicandro di Colofone aveva raccolto in esametri ricette e antidoti contro i veleni di origine animale e vegetale) . Trattazione scientifica dunque, per un argomento considerato di pertinenza scientifica"[9]. Il metodo e il lessico della scienza medica era stato usato, molto prima, nella letteratura greca da Tucidide il quale pensa di potere fare previsioni o "proiezioni", in avanti e pure all'indietro, avvalendosi dell'analisi dei fatti umani, dei documenti, insomma di tutti i segni concreti esistenti (tekmhvria) : un modo di procedere paragonabile a quello della contemporanea medicina ippocratica la quale partiva dall'osservazione dei sintomi e dell'analogia di casi simili per giungere alla diagnosi e alla prognosi.
La vicinanza della letteratura alla scienza del resto si ripeterà più volte nella cultura europea: un caso recente è quello verificatosi nella temperie positivistica del secondo Ottocento, con il Naturalismo e il Verismo: Verga nella Prefazione a L'amante di Gramigna scrive: "Caro Farina, eccoti non un racconto ma l'abbozzo di un racconto. Esso almeno avrà il merito di essere brevissimo, e di essere storico - un documento umano, come dicono oggi[10]... il semplice fatto umano farà pensare sempre; avrà l'efficacia dell'essere stato, delle lagrime vere, delle febbri e delle sensazioni che sono passate per la carne".

L’inizio del poemetto. Di solito, topicamente, è Amore che porta guerra. Nei Remedia deve difendersi.
Nei primi distici troviamo un dialogo tra il poeta e Cupido che apre il poemetto come se avesse ricevuto una dichiarazione di guerra, un conflitto rovesciato rispetto alla topica, non solo elegiaca, per cui è Amore che porta guerra: qui l'iniziativa bellica verrebbe sottratta dall'uomo al dio Amore.
"Legerat huius Amor titulum nomenque libelli: /"Bella mihi, video, bella parantur" ait". (vv. 1 - 2) Amore aveva letto il titolo di questo libretto e il suo nome: "guerra, lo vedo - affermò - la guerra si prepara contro di me.
Il dialogo iniziale con Cupìdo si trova anche nella prima elegia dei giovanili Amores dove il dio aveva tolto un piede a ogni secondo verso, e aveva dardeggiato il poeta con le sue frecce sicure[11] facendolo bruciare, sottoponendolo al suo impero, e costringendolo in conclusione a passare dall'esametro epico - eroico al distico dell'elegia amorosa. Dunque dall'intenzione di celebrare le guerre in esametri Ovidio era passato alla "maniera" di Gallo, Tibullo e Properzio accentuando la componente callimachea, cioè ironica e letteraria.
Come per il poeta di Cirene e per gli altri alessandrini, "cultura è per lui quella vasta forma del ricordo che non solo sa mettere spiritosamente in contatto cose fra loro distanti e divertire con sorprendenti trovate l'ascoltatore, ma che abbraccia anche, con largo sguardo, le varie parvenze della vita"[12].
Lo stesso scambio di battute con il dio si trova nel proemio degli Aitia dove Apollo parla di poetica con Callimaco e sostiene il poeta contro i suoi detrattori. Pure l'inizio del IV libro dei Fasti presenta un abbozzo di dialogo, nella fattispecie con Venere.
 Infine, per quanto riguarda Cupido guerriero e saettatore non imparziale, ricordo il Sonetto III del Canzoniere di Petrarca: "Era il giorno[13] ch'al sol si scoloraro/per la pietà del suo fattore i rai; / quand'io fui preso, e non me ne guardai, /che i be' vostr'occhi[14], Donna, mi legaro. // Tempo non mi parea da far riparo/contr'a' colpi d'Amor; però m'andai/secur, senza sospetto; onde i miei guai/nel comune dolor s'incominciaro. //Trovommi amor del tutto disarmato, / et aperta la via per gli occhi al core, /che di lagrime son fatti uscio e varco. /Però, al mio parer, non li fu onore/ferir me de saetta in quello stato, /a voi armata non mostrar pur l'arco."
 - libelli: anche Catullo chiama libellus la sua raccolta di poesie: "Cui dono lepidum novum libellum? (1, 1) , a chi dono il grazioso nuovo libretto? .
Così pure Properzio: "Fortunata meo si qua est celebrata libello! (III, 2, 17) , fortunata colei che è resa famosa dal mio libretto!
Si tratta comunque di poesia erotica. - bella…bella: l'epanalessi (ripresa ejpiv, lambavnw) è resa solenne dall'echeggiamento di quella della Sibilla cumana nel VI canto dell'Eneide: "Bella, horrida bella/et Thybrim multo spumantem sanguine cerno" (vv. 86 - 87) , guerre, guerre raccapriccianti vedo e il Tevere spumeggiante di molto sangue.

Sentiamo la risposta di Ovidio al rimprovero del dio: "Parce tuum vatem sceleris damnare, Cupido, /tradita qui toties te duce signa tuli" (Remedia Amoris, vv. 2 - 3) , risparmia al tuo vate l'accusa di delitto, Cupido, a me che tante volte sotto il tuo comando ho portato le insegne affidate.
"Ovidio sceglie lo schema retorico tipico della suasoria, quell'esercitazione declamatoria scolastica che le fonti ci dicono particolarmente apprezzata dal poeta, e che avrà la sua maggiore diffusione in età imperiale. La suasoria è in sostanza un'orazione che viene rivolta a un personaggio famoso della storia o del mito nel momento in cui deve prendere una decisione importante, per spingerlo in una direzione piuttosto che in un'altra. Si struttura in tre momenti: occorre anzitutto guadagnarsi la fiducia dell'interlocutore (conciliare) , fare poi leva sui suoi sentimenti (permovere) , dare infine il proprio insegnamento (docere) …Nei versi iniziali della sua apostrofe alla divinità, Ovidio concretizza dunque il principio del conciliare: rassicura il dio circa la propria fedeltà che è rimasta immutata negli anni, e gli ricorda di avere speso tutta la vita al servizio della sua militia"[15].
 - tuum vatem: Ovidio si sente il profeta del dio cui, fin dall'elegia proemiale degli Amores, il poeta ha lasciato un dominio assoluto sulla propria persona: "uror, et in vacuo pectore regnat Amor" (I, 1, 26) brucio e nel petto regna esclusivo Amore. Così fa pure Dante quando dedica se stesso alle Muse all'inizio del Purgatorio: "Ma qui la morta poesì resurga, /o sante Muse, poi che vostro sono" (I, 7 - 8) .

Eros si associa a Eris:
Negli Amores leggiamo: "Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido; /Attice, crede mihi, militat omnis amans " (I, 9, 1 - 2) , è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.

Già Tibullo aveva scritto: "hic ego dux milesque bonus! " (I, 1, 75) , in questo campo io sono comandante e soldato valido. Ovviamente nel campo amoroso. "Ma Ovidio lo ripete con maggior convinzione e ne trae conseguenze di grande importanza. Il soldato romano è legato da un giuramento al suo capo, non è libero di se stesso fino a quando dura il suo servizio militare"[16].

 Segue un exemplum tratto dal V canto dell'Iliade (vv. 330 sgg.) dove Afrodite viene ferita da Diomede: " Non ego Tydides, a quo tua saucia mater/in liquidum rediit aethera Martis equis" (Remedia, vv. 5 - 6) , io non sono il Tidide ferita dal quale tua madre tornò nel limpido etere con i cavalli di Marte. - saucia: è l'aggettivo canonico per le sofferenze erotiche causate dalle ferite d'amore: si trova già in Ennio che traduce questo verso della Medea di Euripide: " e[rwti qumo; n ejkplagei's j jIavsono" " (v. 8) , colpita nel cuore dall'amore di Giasone, accentuandone il pathos con l'allitterazione: "Medea animo aegro amore saevo saucia ", (v. 9) , Medea dall'animo sofferente, ferita da un amore crudele. Quindi in Catullo (64, 250) , in Lucrezio (IV, 1048) e nell'incipit del IV canto dell'Eneide. Ovidio lo utilizzerà ancora in questo stesso poemetto, più avanti (436) , concordandolo con turba e rivolgendosi in apostrofe alla folla ferita degli innamorati infelici. Nell'utilizzare la tradizione il poeta deve aggiungere il proprio genio: qui l'originalità sta nel fatto che Ovidio si avvale di Omero inserendo una ferita non metaforica in un contesto di piaghe dell'anima.
 Il poemetto prosegue con la rivendicazione di fedeltà dell'autore che afferma di non essersi mai sottratto all'amore: "Saepe tepent alii iuvenes; ego semper amavi, /et si, quid faciam nunc quoque quaeris, amo " (7 - 8) , spesso sono tiepidi gli altri giovani; io sempre ho amato, e, se chiedi cosa faccio anche ora, amo. - iuvenes; ego: l'accostamento dei due soggetti mette in rilievo l'antitesi tra i più e il genio erotico, non solo letterario del poeta che è milite ed eroe dell'esercito di Eros. " amo usato assolutamente in chiusura di pentametro è anzi un tratto tipico della lingua poetica elegiaca: vedi per esempio Catullo, c. 92, v. 4; Properzio, Elegie II, 8, 12; Ovidio Ars amandi 3, 598 e in particolare Heroides, 5, 132: unde hoc comperirem tam bene, quaeris, amo"[17], chiedi dove ho imparato questo così bene? amo. La ninfa Enone a Paride.
Da quest'ultima citazione vediamo che in amore non si dà apprendimento senza esperienza sul campo e senza una partecipazione emotiva almeno iniziale.

Una considerazione che si può ricavare anche dal successivo distico dei Remedia: "Quin etiam docui, qua posses arte parari, /et, quod nunc ratio est, impetus ante fuit" (vv. 9 - 10) , anzi ho perfino insegnato con quale arte ti si possa conquistare, e quella che è ora una teoria, prima fu slancio.
 - docui: Ovidio ribadisce la sua funzione di professore dell'amore, una specie di Diotìma (cfr. il Simposio di Platone) di Roma.
- ratio…impetus: l'elaborazione teorica è preceduta dall'intuizione, lo qumov", abbiamo visto nella Medea di Euripide (v. 1079) , prevale sui bouleuvmata, e i ragionamenti non sono altro che sentimenti travestiti (Svevo, Una Vita) . Ovidio insomma non ha tradito passando dall'Ars ai Remedia: l'amore va cercato quando dà piacere, fuggito quando infligge dolore.
"Nec te, blande puer, nec nostras prodimus artes, /nec nova praeteritum Musa retexit opus. /Si quis amat quod amare iuvat, feliciter ardens/gaudeat et vento naviget ille suo[18]; at si quis male fert indignae regna puellae, /ne pereat, nostrae sentiat artis opem" (vv. 11 - 16) , non tradisco te, grazioso fanciullo, né la nostra arte, né una Musa nuova disfa la tela precedente. Se uno ama ciò che dà piacere amare, goda ardendo con successo e navighi con il vento favorevole; ma se uno sopporta male la tirannide di una ragazza indegna, per non morire provi l'aiuto della mia arte. - blande: l'aggettivo qualifica tutta l'atmosfera che circonda Eros: più avanti esso viene attribuito allo stesso genere elegiaco (v. 379) e all'amante quando, ancora in buoni rapporti, scriveva (v. 717) .
 - prodimus: Ovidio non ha cambiato campo poiché quello che ora consiglia di evitare non è amore ma distruzione. - retexit: da retexo, nel senso di "disfo la tela" con allusione a Penelope che ingannava i proci.. - feliciter: Nella poesia erotica felix, contrapposto a miser, è colui che ha successo in amore e quindi può gioire del suo ardore amoroso e lasciarsi andare spiegando le vele al vento favorevole.
Felix è imparentato etimologicamente, con femina né potrebbe essere altrimenti. - indignae regna puellae: si noti l'allitterazione nella sillaba finale e l'iperbato. Bisogna liberarsi dal dispotismo dell'amore quando la tiranna non è meritevole, cioè quando la puella, invece di accrescere la gioia e potenziare la vita, è portatrice di morte. Infatti l'aiuto di Ovidio serve a salvarsi la vita (pereat) da un dispotismo che può mietere vittime.
L'accostamento tra l'amore indegno e il perire si trova già nella X Bucolica di Virgilio: "Indigno cum Gallus amore peribat" (v. 10) . In quel caso la donna indegna era Licoride, di fatto una meretrice di nome Citeride che piantò il padre dell'elegia latina per seguire Antonio nelle Gallie.
 Vittorio Alfieri nella Vita racconta il suo dolore disperato alla scoperta dell'indegnità dell'amante perché già prima di amare lui ella avea amato un palafreniere che stava a casa del marito. "Il mio dolore e furore, le diverse mie risoluzioni, e tutte false e tutte funeste e tutte vanissime ch'io andai quella sera facendo e disfacendo, e bestemmiando, e gemendo, e ruggendo, ed in mezzo a tant'ira e dolore amando pur sempre perdutamente un così indegno oggetto; non si possono tutti questi affetti ritrarre con le parole: ed ancora vent'anni dopo mi sento ribollire il sangue ripensandovi".

Avrebbe dovuto leggere il nostro poemetto nel quale seguono due exempla di suicidio: "Cur aliquis laqueo collum nodatus amator/a trabe sublimi triste pependit onus? / Cur aliquis rigido fodit sua pectora ferro? /Invidiam caedis pacis amator habes" (vv. 17 - 20) , perché un innamorato annodatosi un laccio al collo è rimasto sospeso a un'altissima trave, funesto fardello? Perché un altro si è trafitto il petto con l'inflessibile ferro? Tu amante della pace raccogli l'odiosità della strage. - laqueo collum (acc. di relazione) nodatus: lett. = annodato nel collo con un laccio.



continua



[1] G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore, p. 39.
[2] Pronome neutro derivato da istud+ il deittico - ce.
[3] Il punitore di se stesso, commedia di Terenzio del 163 a. C
[4] Composto dalla negazione nec + otium.
[5] Del 1889.
[6] Madame Bovary, p. 104.
[7]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore, n. 39, p. 52.
[8]G. B. Conte, introduzione a Ovidio Rimedi contro l'amore, p. 40.
[9] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 173.
[10]con riferimento alla poetica del naturalismo e a Zola che intendeva utilizzare nella letteratura il metodo sperimentale delle scienze avvalendosi appunto di documenti. Tucidide nel Proemio presenta il suo metodo di lavoro con il verbo xunevgraye che propriamente significa "compose una suggrafhv, ossia un'opera condotta sui documenti".
[11] "Certas habuit puer ille sagittas " (Amores, I, 1, 25)
[12] Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Il giocoso in Callimaco, p. 382. 
[13] Il 6 aprile del 1327, giorno della memoria della passione di Cristo. ma il sonetto fu composto intorno alla metà del secolo, dopo la morte di Laura.
[14] Si ricordi il topos delgli oculi in amore duces " (Properzio, II, 15, 12) .
[15]G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 176.
[16] P. Grimal, op. cit., p. 143.
[17] G. B. Conte, Scriptorium classicum 2, p. 176.
[18] Nota la metafora nautica

1 commento:

  1. La noia è causa di tanti mali,almeno l'amore (quando è sano) è il male più bello. Invece ,penso, che chi si uccide per amore commetta l'atto disperato di chi è incapace di amare persino la propria persona...Grazie Gianni per gli spunti di riflessione splendidi che ci regali. Giovanna Tocco.

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