sabato 26 dicembre 2015

I "Remedia amoris" di Ovidio, Parte IX

Amore fugge da Psiche
Francois-Edouard Picot (1817)

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Ora veniamo a Ovidio: "Hortor et ut pariter binas habeatis amicas/fortior est, plures si quis habere potest " (vv. 441 - 442) , vi consiglio di avere contemporaneamente due amanti per volta, è più forte uno se può averne diverse. Può succedere addirittura, anzi succede spesso, aggiungo, che l'amante serva a riconquistare l'amore del coniuge, moglie o marito, assaliti dal timore di perdere il compagno fino a quel momento trascurata. Gli adultèri, anzi gli amanti negli adultèri, non poche volte hanno il merito di salvare le coppie stanche.
Svevo dà il suggerimento opposto: "Un'amante in due è l'amante meno compromettente"[1].
Ovidio fa esempi mitici di amori nuovi che scacciano amori vecchi: a Tereo sarebbe piaciuta la bella moglie "sed melior clausae forma sororis erat " (v. 460) , ma era più bello l'aspetto della sorella rinchiusa. Un paradigma non troppo felice a dire il vero, poi altri assai meno noti. "Il nuovo catalogo di exempla mitici è redatto all'insegna del preziosismo, sia nella scelta dei miti - alcuni dei quali poco diffusi - sia nelle soluzioni lessicali"[2].
Quindi l'autore, con buon gusto, sente il peso dell'erudizione neanche tanto calzante e si affretta a sintetizzare: "Quid moror exemplis quorum me turba fatigat? /Successore novo vincitur omnis amor " (vv. 461 - 462) , perché perdo tempo con esempi di cui la calca mi stanca? ogni amore viene vinto da uno nuovo che gli succede.
Poi però gli viene in mente un exemplum più noto, efficace, e tale che gli consente un motto arguto: quello di Agamennone il quale, costretto da Calcante a lasciare Criseide, nel prendersi la somigliante e quasi omonima Briseide, avrebbe detto: "Est - ait Atrides - illius proxima forma, /et, si prima sinat syllaba, nomen idem " (vv. 475 - 476) , ce n'è una - disse l'Atride - vicinissima a lei per bellezza, e, se la prima sillaba lascia fare, il nome è il medesimo.
La seconda moglie in effetti di solito assomiglia alla prima anche se è più giovane. E' quasi una legge.
Achille me lo deve consentire, continua Agamennone, poiché sono re: se restassi senza donna, Tersite potrebbe prendere il mio posto. La storia dell'Atride capo della spedizione troiana in sé è assai tragica e notissima non solo per l'Iliade ma anche per la sua frequente presenza nella tragedia.
Ebbene Ovidio utilizza una vicenda del genere per consigliare di ridere sopra le perdite e i fallimenti, se non si vuole accrescere il dolore con il dolore e il danno con il danno.
"Ergo adsume novas auctore Agamennone flammas, /ut tuus in bivio distineatur amor. /Quaeris ubi invenias? Artes tu perlege nostras: /plena puellarum iam tibi navis erit " (vv. 485 - 488) , quindi, sotto l'esempio autorevole di Agamennone, accogli nuove fiamme, perché il tuo amore si divida ad un bivio. Chiedi dove si trovano? Leggi attentamente la mia Ars: subito la tua nave sarà piena di ragazze. - auctore, come il Discorso Ingiusto delle Nuvole di Aristofane utilizza Zeus per autorizzare l'adulterio, così Ovidio si avvale di Agamennone, senza dare peso alla sua brutta fine. - in bivio: in questo bivio, diversamente da quello di Eracle, non è necessario scegliere, anzi si devono seguire, a turno, entrambe le strade. - navis: di solito è allegoria dello stato, qui sembra rappresentare la domus dei sogni del libertino.
 La barca quale simbolo di uno stato d'animo ondeggiante sui flutti delle contraddizioni conseguenti all'amore si trova nel sonetto CI del Canzoniere di Petrarca: " O viva morte, o dilectoso male, /come puoi tanto in me, s'io nol consento? / Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio. /Fra sì contrari vènti in frale barca/mi trovo in alto mar senza governo, /sì lieve di saver, d'error sì carca/ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio, /e tremo a mezza state, ardendo il verno" (CXXXII, 7 - 14) .

Viene raccomandato il simulare.
 Ovidio quindi suggerisce varie simulazioni: fingiti freddo quando ardi come se fossi dentro l'Etna, fingiti sano (et sanum simula, 493) perché non si accorga se hai qualche dolore, e ridi quando dovresti piangere. Insomma: "Quod non est, simula positosque imitare furores; /sic facies vere quod meditatus eris " (vv. 497 - 498) , fingi quello che non è, e simula che i furori siano deposti, così farai davvero quello che avrai meditato. - simula: l'amante deve essere dunque grande simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, come il Catilina di Sallustio e il principe di Machiavelli per il quale " non può… uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro". Forse pure Ovidio potrebbe aggiungere "se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono, ma poiché sono tristi e non la osserverebbero a te, tu ancora non l'hai ad osservare a loro"[3].
"Intrat amor mentes usu, dediscitur usu; /qui poterit sanum fingere, sanus erit " (vv. 503 - 504) , l'amore entra nel pensiero con l'abitudine, con l'abitudine si disimpara; chi potrà fingersi guarito, sarà guarito. - usu... usu: l'amore e i pensieri d'amore, come tutte le altre attività umane, dipendono dalla pratica. - sanus erit: la maschera con il tempo diventa volto. A volte non è nemmeno necessario tenerla a lungo: " Non bisogna mai dire per gioco che si è scoraggiati, perché può accadere che ci pigliamo in parola"[4].

Il paraklausivquron anomalo
Seguono consigli sul comportamento da tenere davanti alla "ianua clausa " (v. 506) , la porta chiusa. Ovidio si pone fuori dal paraklausivquron topico: esorta l'amante respinto a sopportare: "feres. /Nec dic blanditias nec fac convicia posti/nec latus in duro limine pone tuum. /Postera lux aderit; careant tua verba querelis, /et nulla in vultu signa dolentis habe. / Iam ponet fastus, cum te languere videbit; /hoc etiam nostra munus ab arte feres " (vv. 506 - 512) , sopporta, non dire parole carezzevoli e non fare cagnara con l'uscio, e non stendere il fianco sulla dura soglia. Verrà il giorno seguente; le tue parole siano senza lagnanza, e non avere in volto nessun segno di uomo dolente. Subito deporrà la superbia quando ti vedrà indifferente; anche questo dono ricaverai dalla mia arte. - nec... nec: Ovidio utilizza il tovpo" del lamento davanti alla porta chiusa in maniera anomala. Questi loci possono essere impiegati, al pari di strumenti sintattici o lessicali, in contesti vari e con significati diversi. - languere: sembra che Ovidio stimi graditi e interessanti per le donne il languore e l'indifferenza, mentre secondo altri punti di vista la donna è molto attirata dal desiderio priapesco.
Del resto l'autore sa che le persone sono varie e dunque: "Nam quoniam variant animi, variabimus artes; /mille mali species, mille salutis erunt " (525 - 526) , infatti siccome sono vari i caratteri, varieremo i consigli; mille sono le forme del male, mille saranno quelle della guarigione. Il poeta consiglia quella "flessibilità", che ora è tanto di moda nel campo lavorativo. Corrisponde nella sfera erotica a quella che Guicciardini chiama "discrezione". In certi casi può essere risolutiva la sazietà, fino alla noia: " Taedia quaere mali: faciunt et taedia finem " (v. 539) , cerca la noia del male, anche la noia pone la fine.
 Altre volte può essere utile far cessare la diffidenza: "Fit quoque longus amor, quem diffidentia nutrit; /hunc tu si quaeres ponere, pone metum " (vv. 543 - 544) , diventa lungo anche un amore che la diffidenza nutre; se vorrai deporlo, metti via il timore. In questo caso chiaramente si amava non la persona ma la diffidenza e il sospetto suscitati da lei. La paura di perdere una donna è un grande incentivo a volerla: "Plus amat e natis mater plerumque duobus, /pro cuius reditu, quod gerit arma, timet " (vv. 547 - 548) , tra due figli la madre di solito ama più quello sul cui ritorno, siccome è in guerra, ha timore.
Cfr. Proust: Swann si innamorò di Odette dopo che una sera non l’ebbe trovata dai Verdurin dove andava di solito. Intervennero sospetto e gelosia.


"Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor", Amores, 2, 20, 36)

E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde: "kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17) , e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75) , femmina ovina o umana che sia.
 Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica: "Post - filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[5]. Lo stesso Snell qualche capitolo prima aveva ricordato che nel V secolo era comunque già avvenuto "quel distacco fra il mondo della storia e quello della poesia" codificato da Aristotele quando afferma "che la poesia è più filosofica della storia poiché la poesia tende all'universale, la storia al particolare"[6] (p. 141) . La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post - filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe: " Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[7].
 "Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti: " Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones, 1, 2, 107s.) . Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"[8], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
 E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.

Sentiamo qualche altra testimonianza.
Catullo cerca di sfuggire obstinata mente (8, 11) a questa legge che nega la realtà dell'amore facendone un'utopia: "nec quae fugit sectare, nec miser vive " (8, 10) , non dare la caccia a quella che fugge e non vivere da disgraziato.
Nell' Hercules Oetaeus attribuito a Seneca, la nutrice di Deianira per consolare la sua alumna le dice che Iole ridotta oramai a schiava è una preda oramai troppo facile per Ercole e, quindi, non più ambita: "illicita amantur; excidit quidquid licet" (v. 357) , sono amate le cose non consentite, tutto quello che è concesso decade.
Nella Gerusalemme liberata leggiamo: "Ma perché istinto è de l'umane genti/che ciò che più si vieta uom più desìa, /dispongon molti ad onta di fortuna/seguir la donna come il ciel s'imbruna" (V, 76) .
 Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo. "Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9) .
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini: "Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[9].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto: "Qualsiasi essere amato - anzi, in una certa misura, qualsiasi essere - è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[10].

L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso: "La verginella è simile alla rosa, /ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa, /né gregge né pastor se le avicina; /l'aura soave e l'alba rugiadosa, /l'acqua, la terra al suo favor s'inchina: /gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate. //Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde, /che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde. /La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de', /lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42 - 43) .

William Shakespeare,
Le allegre comari di Windsor, II, 2 (1602)
Love like a shadow flies when substance love pursues; /pursuing that that flies, and flying what pursues
L'amore come un'ombra fugge quando l'amore reale lo insegue, inseguendo quello che fugge, fuggendo chi l'insegue.

Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina: "Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[11].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia: " Il mio sogno è nutrito d'abbandono, /di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[12].
Sentiamo infine C. Pavese: "Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[13].



continua



[1] La coscienza di Zeno, p. 331.
[2]Ovidio, Rimedi contro l'amore, a cura di Caterina Lazzarini, p. 154.
[3] Il Principe, XVIII.
[4] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 5 agosto 1940.
[5] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 372.
[6] Aristotele, Poetica, 1451b.
[7]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 371.
[8]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore, p. 43.
[9] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[10] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[11] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[12] Cocotte, vv. 67 - 69.
[13] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937. 

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