venerdì 23 febbraio 2018

Shakespeare, "Riccardo III". Parte 3

ricostruzione del volto di Riccardo III (Simmonds)

II, 2
La duchessa di York, madre di Riccardo, Edoardo IV e Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo e di Clarence, replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas, I am the mother of these griefes-gravis: -Their woes are parcell’d-particula- late latin particella-, mine is general” (Riccardo III, II, 2), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti.

Cfr. Edipo re vv.93-94 "Parla a tutti. Di questi infatti io porto il dolore/più che per la mia vita "ej" panta": Edipo invece presenta aspetti antiautoritari: non devono esserci segreti nè muri tra la piazza e il palazzo. Tale vena paternalistica però lo porta a combattere contro sacerdoti e oracoli, cioè su posizioni che Sofocle condanna Edipo è un crocicchio di pene, un nodo di dolore che gli darà una straordinaria facoltà di comprendere. Egli ribadisce continuamente tale sua eccezionale capacità di soffrire e di capire attraverso la sofferenza. Questa, una volta compresa, ci porta alla razionalità.”
 Simile nodo di dolore è Ecuba che nelle Troiane di Seneca dice al nuntius il quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore:" quoscumque luctus fleveris, flebis meos:/ sua quemque tantum, me omnium clades premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061-1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un caro di Ecuba è infelice!

Richard chiama il complice Buckingham my other self, un altro me stesso (II, 3, 151) concistoro dei miei segreti, mio oracolo, mio profeta.

Cfr. Cicerone, De amicitia: Vero amico infatti è chi è come un altro se stesso (verus amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).
Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.
Curzio Rufo racconta che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333) scusò le donne del re sconfitto le quali avevano scambiato il suo più caro amico Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti…mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12), non hai sbagliato, made; difatti anche questo è Alessandro.

Un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace-solacium-solor- as before " (II, 3), questa terra malata[1] potrebbe avere ristoro come prima.

Anche il cielo viene ammorbato dal capo malato.
Così l'Oedipus di Seneca: “fecimus caelum nocens” (36).
Altrettanto pensa il re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi non conosce niente, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' il nobile Ross che parla. Cfr. Omero, Esiodo etc.

Riccardo è chiamato the boar da Hastings il ciambellano: to fly the boar before the boar pursues lat sequor-, prosequor-were to incense the boar to follow us, dice il lord ciambellano Hastings, fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe aizzare il cinghiale a inseguirci (III, 2).

Nel Primo Stasimo dell’Edipo re di Sofocle, il colpevole ricercato, cioè Edipo viene identificato con l'animale del sacrificio
Il Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
:"Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi (petrai'oς oJ tau'roς) inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv. 477-479).
"quello di cui la profetica ripe di Delfi disse: -ha compiuto infamie su infamie con mani sporche di strage"(Edipo re, vv.463-466); ovvero l'animale del sacrificio,"il toro delle rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima"(cfr. Virgilio, Georgiche, II,146-147:"et maxima taurus/victima).
Aristofane nella Parabasi delle Vespe (422) si pregia di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito proprio con la bestia dalle zanne aguzze (xusta;ς tw̃/ karcarovdonti, 1031).
E’ Cleone che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni immondi di Lamia[2] e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035)

Hastings dice che non darà il suo voto to bar-lat latin barra- my master’s heirs -heres (III, 2) per escludere gli eredi del suo re, non vorrà farlo a costo di morire to the death. Questa fedeltà infatti gli costerà la vita.

Riccardo chiama tongueless-old latin dingua- blocks (III, 7) pezzi di legno senza lingua i cittadini che non lo hanno acclamato.

Pindaro qualifica Aiace come a[glwssoς in Nemea VIII, 24
Nella Nemea VIII il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” (Foscolo, Sepolcri, 220 ss.)

Buckingham che è complice dei delitti di Riccardo ed è il regista della recita del principe il quale, come Tiberio negli Annales, finge la renitenza al suo fato di re, dice che la nobile isola ha il volto sfigurato dalle cicatrici dell’infamia “her face defac’d with scars of infamy” ( cfr. greco ejscavra, braciere, graticola III, 7, 125) in quanto il ceppo regale è innestato su ignobili piante, alludendo a supposte infedeltà della regina Elisabetta moglie del re Edoardo IV, fratello di Riccardo. 
Ma Riccardo persiste nella commedia del diniego dicendo che B vuole imporgli insensatamente the golden yoke-zugovn-iugum of sovereignity, l’aureo giogo della sovranità e si fa pregare ancora: will you enforce me to a world of cares? not allied to cura.
 Dice, ma subito dopo cede alle preghiere: call them again, I am not made of stones –gr. stiva-pietruzza- (III. 7. 223)
Riccardo fingendosi pio, era apparso tra due vescovi come gli holy and devout-devotus, devoveo, consacro- religious men (III, 7, 91) ed esce di scena concludendo così l’atto III come, let us to our holy work -e[rgon- again (III, 7, 245), via torniamo ai nostri santi esercizi.

Negli Annales di Tacito alla morte di Augusto i senatori asserviti rivolgono suppliche a Tiberio versae inde ad Tiberium preces (I, 11), ed egli varie disserebat de magnitudine imperii, sua modestia, della grandezza dell’impero e della propria insufficienza; solam divi Augusti mentem tantae molis capacem. Ma Tacito commenta plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat, c’era più ostentazione che verità e pure quando non voleva simulare suspensa semper et obscura verba, usava sempre parole vaghe e oscure, poi quando voleva simulare in incertum et ambiguum magis implicabantur, si avviluppavano sempre di più nell’indefinito e nell’equivoco.

Nell’Oedipus, Laio definisce il figlio “fratres sibi ipse genuit; implicitum malum- magisque monstrum Sphinge perplexum sua” (638-639) ha generato fratelli a se stesso; male aggrovigliato e mostro contorto più della sua Sfinge.
Cfr. il ruere in servitium (Annales, I, 7) o la libido adsentandi (Historiae , I, 1)



CONTINUA



[1]
[2] Mostro che si ciba di carne umana.

1 commento:

Ifigenia CLXVI. La festa finale. La decadenza umana e politica.

Salìi sul tram e tornai nel collegio dove indossai il mio decennale vestito di lino bianco. Quindi andai alla festa conclusiva del corso. ...