sabato 26 ottobre 2013

Donne dell’Iliade. La Magna Mater mediterranea, Andromaca, Elena, Ecuba



Magna Mater, Creta



Prima parte della conferenza che terrò venerdì  22 novembre 2013 nella Mediateca di San Lazzaro di Savena.
L’orario è ancora da definire.

Donne dell’Iliade. La Magna Mater mediterranea, Andromaca, Elena,  Ecuba

Nell’Iliade (VIII se. A. C.) la donna esiste come femmina umana e come divinità femminile, sostanzialmente subordinata a quella maschile, sebbene non manchi qualche sporadico ricordo della Magna Mater mediterranea, la povtnia prevalente sul maschio paredro, che le siede accanto al secondo posto.
Vediamo di che si tratta.

La grande madre mediterranea.
Di questa Signora suprema che risale al tempo della civiltà minoica, pregreca, si trova una traccia in Iliade  XXI, 470 dove Artemide è chiamata povtnia qhrw'n, signora delle belve.
Il termine povtnia ( presente anche nell’ Odissea in I,  14 per esempio, a proposito della nuvmfh Calipso ) contiene un'idea di potenza: doveva essere un appellativo della Magna Mater  mediterranea signora del mondo.
 [Artemi" del resto era solo uno dei molti nomi dati a questa matriarca primordiale che infatti il protagonista del Prometeo incatenato  invoca come "Qevmi"-kai gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva," Temide e Gea, una sola forma di molti nomi (vv. 209-210). Tale dea. la Grande Madre chiamata in vari modi, doveva essere in origine anche Giocasta la moglie-madre di Edipo che  Omero menziona quale "kalh;n  jEpikavsthn, la bella Epicasta (Odissea, XI, 271). Con questa incestuosa regina di Tebe siamo a due soli nomi che nell'Antigone vengono funzionalizzati:"mhvthr kai; gunhv diplou'n e[po"" (v.53), madre e moglie, doppio nome.   
Nelle Baccanti  di Euripide la "povtna qew'n" (v. 370) è diventata "  JOsiva" , la Pietà dionisiaca, di un culto seguito dalle donne che Penteo vuole maschilisticamente abolire.
 Nelle Metamorfosi  di Apuleio, Iside, la divinità egizia ai cui riti viene iniziato Lucio dopo varie peripezie, tornando da asino uomo,  fa l'elenco dei nomi con i quali  questa Grande Madre viene chiamata e venerata presso i vari popoli: "Primigenii Phryges Pessinuntiam deum matrem, hinc autocthones Attici Cecropeiam Minervam, illinc fluctuantes Cyprii Paphiam Venerem, Cretes sagittiferi Dictynnam Dianam, Siculi trilingues Stygiam Proserpinam, Eleusinii vetustam deam Cererem, Iunonem alii, Bellonam alii, Hecatam isti, Rhamnusiam illi, et qui nascentis dei Solis inchoantibus inlustrantur radiis Aethiopes utrique priscaque doctrina pollentes Aegyptii caerimoniis me propriis percolentes appellant vero nomine reginam Isidem "(XI, 5),  i Frigii primigeni mi chiamano madre degli dèi di Pessinunte[1], qui gli autoctoni Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i Cretesi sagittari Diana Dictinna, i Siculi trilingui Stigia Proserpina, gli Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi Ecate, quelli Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi del sole nascente, e gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di antica sapienza, onorandomi con le cerimonie che mi sono proprie, mi chiamano con il vero nome "regina Iside". Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il greco gunhv 'donna' e l'inglese queen  'regina'[2].
Il romanzo di Apuleio insegna che una vita senza  Iside è una vita da asino.
Ma nell’Iliade, di fatto,le divinità femminili sono  subordinate a quelle maschili, ed Era, per conseguire un suo scopo non può dare ordini ma deve ricorrere alla cosmesi, al trucco, all’inganno, alla seduzione, alla lusinga nei confronti di Zeus (Iliade XIV, 170 ss.). 
Nel I canto Tetide deve implorare l’onnipotente per impetrare un favore al figlio cui è stato negato l’onore meritato con il valore.

Andromaca, la moglie di Ettore, diverrà il prototipo della sposa buona, amorosa sottomessa nelle due tragedie di Euripide Andromaca e Troiane. Ma di questo più avanti.
Nell’Iliade questa “ottima  moglie” cerca di trattenere il valoroso marito dal mettere a repentaglio la vita.
Fin dal poema più antico della letteratura occidentale, Andromaca significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente devota: nel VI canto dell’Iliade dichiara il suo devotissimo amore all'eroe troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non esporsi troppo nella guerra sterminatrice:
"Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda madre/e anche il fratello; tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv. 429-432)
A lei allora rispose  “Ettore  grande, che agita il cimiero - ma del resto la contraccambia - certo anche a me tutto questo sta a cuore, donna; ma davvero terribilmente/.
mi vergogno[3] di Troiani e Troiane dal lungo strascico,
se come un vile fuggo lontano dalla guerra;
né il cuore mi esorta, poiché ho imparato a essere generoso
sempre, e a combattere con i primi Troiani,
cercando di conservare la grande gloria del padre e la mia stessa.
Io infatti so bene questo nell'anima e nel cuore:
giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata
(e[ssetai h\mar o{t j a[n pot j ojlwvlh / [[Ilio"    iJrh;)
e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia[4].
Ma non tanto dolore mi accora per il futuro dei Troiani
né della stessa Ecuba, né di Priamo sovrano
né dei fratelli, che molti e generosi
cadranno nella polvere buttati giù dai nemici,
quanto per te (o{sson seu`), quando uno degli Achei dalla corazza di bronzo
ti trascinerà piangente, togliendoti  libero giorno” (Iliade, VI, 441-455).
Vedremo che secondo Euripide, invece, Ettore aveva anche altre donne e dei figli bastardi che Andromaca addirittura allattava .

Elena nell’Iliade rappresenta al suo apparire la bellezza in sé; (kalo;n autov). La sua avvenenza colpisce i  compagni di Priamo che per la vecchiaia avevano smesso la guerra ma erano ajgorhtai; esqloiv (III, 150) oratori abili, simili alle cicale che nel bosco stando su una pianta mandano voce di giglio (151).
Ebbene questi anziani, come la vedono,  dicono che non è nevmesi~[5],  (v. 156) non è motivo di sdegno che per una donna siffatta tanti uomini soffrano  a lungo dolori: terribilmente somiglia alle dèe immortali a vederla.
Tuttavia il prezzo di quella visione è troppo alto, quindi i vecchi aggiungono; “ma anche così, vada via sulle navi: non rimanga a Troia quale ph`ma (sciagura, danno v. 160) per noi e per i nostri figli.
Ma Priamo, più coraggioso[6] e più affascinato degli altri, la protegge: le chiede di sedersi vicino a lui, poiché non lei è colpevole ma gli dei sono colpevoli (qeoi; ai[tioi, v, 164): sono stati loro a muovere la funesta guerra dei Danai.

Nell’Iliade  Elena del resto è per lo più  una  pentita: “ fossì morta prima” (wJ~ pri;n w[fellon ojlevsqai ,XXIV, 764) è il lamento che le sale dalle labbra durante il funerale di Ettore
La bellona, come tutte le donne, non perdona l’insuccesso. 
Nell’Iliade quelli di Paride, ma anche il proprio.
La figlia di Leda accusa se stessa davanti a Ettore, soprattutto per la scelta sbagliata che ha fatto: io ho avuto sciagure ma almeno fossi stata in seguito la moglie di un uomo migliore (ajndro;~ e[peit j w[fellon ajmeivnono~ ei\nai a[koiti~ , VI, 350) che conoscesse l’indignazione e le molte onte degli uomini.
Ma questo[7] non ha cuore saldo (frevne~ e[mpedoi, 352) né l’avrà in seguito[8].
Elena a tratti disprezza Paride, mentre stima Ettore e prova affetto per lui.
Nel compianto funebre dice che solo lui e Priamo, il suocero, eJkurov~ furono buoni con lei, mentre i cognati e le cognate e pure la suocera hJ eJkurhv, la rimbrottavano ( XXIV, 770).
Più avanti vedremo quali aspetti assume la maliarda in altre opere. Elena,  come una parola del vocabolario, e, al pari di  altri personaggi del mito,  assume significati diversi in diversi contesti.

Vediamo ancora solo un aspetto Ecuba nell’Iliade.
Segnalo il gesto della madre dolorosa che  mostra il petto[9] a Ettore per indurlo a non affrontare Achille: la vecchia regina, aperta la veste, con una mano solleva il seno, e prega il figlio di ricordare che gli aveva dato la mammella che fa scordare le pene:"ei[ potev toi laqikhdeva[10]  mazo;n ejpevscon : -tw'n mnh'sai" (XXII, vv. 83-84)[11].

giovanni ghiselli
Ps. Il blog http://giovannighiselli.blogspot.it/  è arrivato a 111880


[1]Si tratta di Cibele.
[2]E. Benveniste, op. cit., p. 15.
[3] Nella Civiltà di vergogna "il bene supremo  non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima (...) La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a", dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti" Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30
[4] Polibio assisté,  alla distruzione di Cartagine, nella primavera del 146, e   racconta del pianto,  di Scipione vincitore che citò questi due versi dell'Iliade [4] (448-449) con i quali Ettore prevede la caduta di Troia e versò delle lacrime
A Polibio che  domandò il significato di quel piangere, dicono che il vincitore senza schermirsi pronunciò chiaramente il nome della sua patria "fasi;n ouj fulaxavmenon ojnomavsai th;n patrivda safw'"",  Storie, 38,  22, 3) per la quale temeva quando rifletteva sul destino delle cose umane.
[5] Il pittore Zeusi (V-IV sec.) dopo averla dipinta per il tempio di Giunone non aspettò il giudizio della critica, ma scrisse sulla tela ouj nevmesi~.
[6] Non solo la guerra ma anche la bellezza può fare paura.
Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443-3444),  riporta questi della Canzone  XIV di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53-55):
"Quante volte diss'io allor pien di spavento
Costei per fermo nacque in paradiso!".
 Quindi fa seguire un commento relativo alla paura suscitata dalla bellezza:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta."
[7] Paride.
[8] Nel III libro Afrodite aveva sottratto Paride alla furia di Menelao che stava per ucciderlo. Il perdente si era salvati dunque con una fuga vergognosa secondo la morale degli eroi i cui motti soo “non cedere” e “primeggiare sempre”.
[9] Il  denudamento del seno verrà attribuito da Eschilo al personaggio di Clitennestra che mostra il petto a Oreste per indurlo a compassione:" ejpivsce", w\ pai', tovnde d j ai[desai, tevknon,-mastovn"(Coefore , vv. 896-897), fermati, figlio, abbi rispetto di questo seno, creatura.
[10] Alceo attribuisce al vino (oi\nonlaqikavdea, fr. 96 D. , v. 3)  questo aggettivo formato da lanqavnw e kh̃do~.
[11] “ Sulla terra sono molte buone invenzioni, le une utili, le altre gradevoli: per esse la terra è amabile. E certe cose vi sono così bene inventate, da essere come il seno della donna: utili e al tempo stesso gradevoli” F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 252. 

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