domenica 20 ottobre 2013

Solone e Il Buon Governo




Altro spezzone della conferenza del 22 ottobre su Solone

Martedì 22 ottobre
Ore 15.00
BOLOGNA, Sala del Risorgimento, Museo Civico Archeologico, Via de' Musei, 8
Solone poeta e legislatore, conferenza di Giovanni Ghiselli

Il Buon Governo e il Cattivo Governo sono temi di totale e drammatica attualità

L’Eujnomivh. Il Buon Governo
Un'altra elegia di Solone molto nota, e di contenuto in gran parte politico è quella così detta del Buon Governo (fr. 3 D) nella quale cresce la responsabilità dell'uomo relativamente al proprio destino. La traduciamo tutta e commentiamo i versi più significativi, ossia più accrescitori di conoscenza: "La nostra città  non andrà mai in rovina per destino di Zeus e volontà dei beati dèi immortali:  infatti tale custode magnanima (megavqumo~ ejpivskopo~), figlia di padre potente Pallade Atena le tiene sopra le mani (cei`ra~ u{perqen e[cei). Ma i cittadini stessi (aujtoivajstoiv) con la loro follia (ajfradivh//sin[1]) vogliono distruggere la grande città sedotti dalle ricchezze,  e ingiusta è la mente dei capi del popolo (dhvmou q j hJgemovnwn a[diko~ novo~), cui è destinato soffrire molti dolori in seguito alla gran prepotenza (u{brio~ ejk megavlh~ a[lgea polla; paqei`n): infatti non sanno trattenere l'avidità (katevcein kovron) né godere con ordine le gioie presenti nella serenità del convito (daito;~ ejn hJsucivh/[2]). Ma si arricchiscono fidando in opere ingiuste  e non risparmiando  le proprietà sacre nè in alcun modo le ricchezze pubbliche, rubano per arraffare (klevptousin ejfj aJrpagh`/) chi da una parte chi dall'altra né osservano i venerandi fondamenti di Giustizia, che, pur mentre tace, conosce il passato e il presente, e con il tempo in ogni caso giunge a fare pagare. Questa piaga ineludibile oramai arriva su tutta la città, ed essa subito cade nella squallida servitù (ej~ kakh;n doulosuvnhn), che risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra dormiente (stavsin e[mfulon povlemovn q j eu{dont j ejpegeivrei), la quale distrugge l'amabile giovinezza di molti: infatti per opera dei malevoli tosto la città molto amata si rovina nei partiti cari agli ingiusti. Questi mali nel popolo si aggirano: e dei poveri molti giungono in terra straniera venduti e legati con ceppi indegni. Così il danno comune entra in casa a ciascuno: né valgono più le porte del cortile a trattenerlo,  e salta oltre il recinto pur alto, e trova in ogni caso, anche se uno  sia rifugiato nel fondo del talamo.
Questi precetti l'animo mi spinge ad insegnare agli Ateniesi, che il Malgoverno procura moltissimi mali alla città, kaka; plei'sta povlei Dusnomivh parevcei mentre il Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata Eujnomivh d  j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei e spesso mette i ceppi addosso agli ingiusti: leviga le asperità, fa cessare l'insolenza, oscura la prepotenza, dissecca i fiori nascenti dell'accecamento (a[th~ a[nqea), raddrizza i giudizi tortuosi (eujquvnei de; divka~ skoliav~), mitiga le azioni superbe, e fa cessare le opere della discordia, e fa cessare la rabbia della contesa terribile, e sono sotto di lui tutte le cose tra gli uomini armonizzate e assennate" (pavnta a[rtia kai; pinutav).

Religione, e superstizione. Greci e Romani
Si può notare anche qui, a proposito di Pallade Atena, la dea eponima della città di Solone, il rapporto di fiducia e di confidenza che l'uomo greco riesce ad avere con la divinità, mentre il romano avrà una relazione più formalizzata con il dio, costellando la vita privata e quella statale di una serie di riti che garantivano la pax deum: “Apud antiquos non solum publice, sed etiam privatim nihil gerebatur nisi auspicio prius sumpto”[3], presso gli antichi non si faceva nulla, non solo di pubblica ma anche di privato, se prima non si erano tratti gli auspici.
Era una specie di alleanza con gli dei che non si stabiliva attraverso la purezza morale, ma con le vittime espiatorie, talora anche umane: Tito Livio (XXII, 57) racconta che dopo il disastro di Canne (216 a. C.) si presero vari provvedimenti, e si compirono riti propiziatori con sacrifici, tra i quali: "Ex fatalibus Libris sacrificia aliquot extraordinaria facta; inter quae Gallus et Galla, Graecus et Graeca in Foro bovario sub terram vivi demissi sunt ", secondo i Libri fatali furono compiuti alcuni sacrifici straordinari; tra i quali un uomo e una donna galli, un greco e una greca furono sepolti vivi nel Foro boario. Niente comunque si intraprendeva nella vita pubblica e privata se non si era sicuri dell'approvazione degli dei.
Lo storico greco Polibio che visse a Roma nel circolo degli Scipioni (II sec. a. C.) sostiene che la deisidaimoniva (6, 56, 7), la superstizione, se altrove può essere oggetto di biasimo, a Roma tiene insieme lo Stato: "kaiv moi dokei' to; para; toi'" a[lloi" ajnqrwvpoi" ojneidizovmenon tou'to sunevcein ta;   JRwmaivwn pravgmata”.
Essa venne istituita pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a tali mezzi, ma la moltitudine soggiace a sfrenata avidità, a ira violenta e bisogna trattarla con tali apparati e misteriosi timori. Il terrore degli dèi viene esagerato e drammatizzato nella vita pubblica e privata". In vita mia ho visto brandire il terrore del tabù sessuale, poi quello delle stragi, adesso è il terrore della disoccupazione e della miseria.
Del resto “Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri… Io chiamo Stato il luogo dove si trovano tutti i bevitori di veleno, buoni e cattivi”[4]. 
Come sappiamo contro questa religio (superstizione) mostruosa si leverà la voce della ragione attraverso  Lucrezio nel De rerum natura: "tantum religio potuit suadere malorum", a delitti così grandi poté indurre la superstizione (I, 101).

Ma torniamo al Buon governo di Solone.
Dal capo discende benessere o malessere al suo popolo e alla sua terra.
Solone ai vv.5 e sgg. attribuisce ai cittadini, e in particolare ai loro capi la causa della rovina comune. Questa responsabilizzazione dell'uomo quale artefice del suo destino, comincia con il primo libro dell'Odissea, quando Zeus afferma il libero arbitrio degli uomini dicendo che essi incolpano gli dèi, ma è per la loro follia che soffrono dolori contro il fato (v.34).
 Risale all’Odissea, e pure alle Opere e i giorni di Esiodo  anche la correlazione presente in questa elegia tra la salute, sia fisica sia morale, del capo e quella della sua terra (vv. 32 ss. il Buongoverno mostra ogni cosa ordinata e armonizzata 32 Eujnomivh d  j eu[kosma kai; a[rtia pavnt j ajpofaivnei).
Del resto, secondo alcuni  studi di antropologia tra i quali cito solo Il ramo d'oro  di J. G. Frazer, tale credenza risale a miti e a riti  più antichi di Omero, e sono confluiti anche in altre culture, non esclusa quella cristiana. Questo significa che Il governante è il demiurgo, quasi l'autore della sua gente: dalla impareggiabile potenza e dalla integrità di lui, dipendono la vita e il benessere della polis.
Nell’Odissea il buon governo è attribuito a una donna. Il poluvmhti~ Ulisse ancora non riconosciuto, dice a Penelope: "Raggiunge l'ampio cielo la tua fama, / come quella di un re irreprensibile che pio, regnando su molti uomini forti, / tenga alta la giustizia; allora la nera terra produce / grano e orzo, gli alberi si appesantiscono di frutti, / figliano continuamente le greggi e il mare offre i pesci, / per il suo buon governo (ejx eujhgesivh"), insomma prosperano le genti sotto di lui" (XIX, 106-114).
L'altro lato della stessa concezione secondo la quale il bene e il male di un solo uomo ridondano in favore e in danno di un  popolo intero , per il principio della responsabilità collettiva, lo troviamo  in Esiodo (Opere, vv.240-244): "Spesso anche un'intera città di un uomo malvagio soffre, / uno che si rende colpevole e architetta scelleratezze. / Su di loro dal cielo il Cronide fa piombare grandi malanni, / fame e peste insieme (limo;n oJmou` kai; loimovn),e le genti vanno in rovina, / le donne non fanno figli (oude; gunai`ke~ tivktousin) e le case diminuiscono".

Il rex non può essere contorto
Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". La radice deriva dall'indoeuropeo *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- (con protesi di oj- ) in latino reg-[5] da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto.  Quindi "in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto[6]. Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene, "at pueri ludentes  Rex eris - aiunt  - si recte facies" [7]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere contorto.
Nemmeno la virtù può esserlo: “Et haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
Nel De clementia[8] Seneca ricorda a Nerone che è il principe a stabilire i buoni costumi per il suo Sato: “constituit bonos mores civitati princeps” (III, 20, 3).
La premessa è che la immensa multitudo dei cittadini illius spiritu regitur, illius ratione flectitur,  è retta dal suo spirito, viene piegata dalla ragione di lui, mentre si spezzerebbe per i propri sforzi se non venisse sostenuta dalla saggezza del reggitore (III, 1, 5). Nella cooperazione tra il principe e lo Stato, questo costituisce la forza del corpo del quale Cesare è il caput (III, 2, 3). 
Ricordo pure l'Oedipus senecano dove il protagonista si accusa dicendo "fecimus coelum nocens (v.36), abbiamo reso colpevole il cielo.
Nel  Macbeth[9], un nobile scozzese, Lennox riferisce quanto si dice sia avvenuto nella notte dell’assassinio del re: "some say the earth was feverous, and did shake" (II, 3), la terra era febbricitante e ha tremato. Quindi un altro nobile, Ross, fuori dal castello del delitto fa notare a un vecchio che il cielo, quasi sconvolto dal misfatto umano (as troubled with man's act), minaccia la sua scena sanguinosa, e il giorno è buio come la notte. Infatti, risponde l'old man: "Tis unnatural, Even like the deed that's done" (II, 4), è innaturale, come l'azione che è stata perpetrata. In questi ultimi due esempi la contaminazione” oltrepassa la luna”[10].
Questo topos vale anche per il costume femminile: il cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre , viene biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito di Euripide: "wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni.  Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case nobili: "ejk de; gennaivwn dovmwn" (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv. 411-412).
Tale idea  non manca nella letteratura italiana là dove si conserva il succo della tradizione classica, anche quando questo sia stato assimilato da un organismo cristiano. Faccio l'esempio di Dante, Purgatorio  XVI, 103-105: "Ben puoi veder che la mala condott a/ è la cagion che il mondo ha fatto reo / e non natura che in voi sia corrotta".
Erasmo da Rotterdam utilizza questo topos nell'Elogio della follia[11]: "Aliorum vitia neque perinde sentiri neque tam late manare; principem eo loco esse, ut si quid vel leviter ab honesto deflexerit, gravis protĭnus ad quam plurimos homines vitae pestis serpat" (55), i vizi degli altri né si sentono allo stesso modo né si diffondono così ampiamente; il principe si trova in posizione tale che se in qualche maniera, perfino di poco, egli si scosta dalla rettitudine, subito una grave peste della vita si espande su un numero enorme di persone.
“Non vi è, nel destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo mostruoso, quando ciò avviene”[12].

Il culto di Divkh
Non manca nell' elegia Buongoverno di Solone il culto di Dike  che viene realizzata dal Buongoverno e dai buoni governanti i quali conservano l'ordine sociale svuotando le rivendicazioni estreme dei poveri attraverso l'accoglimento delle richieste moderate.
Il cattivo governo invece, e l'egoismo dei nobili, spinge il popolo alla rivoluzione, a quella contesa terribile e distruttiva (e[ri~,  v.38) che già Esiodo (Opere e giorni, 14 e sgg.) aveva distinto dalla buona, siccome  questa sta alla base del progresso umano e sveglia al lavoro anche l'ozioso: grazie a lei il vasaio gareggia con il vasaio, il mendico con il mendico, e l'aedo con l'aedo (Opere e giorni, v. 26). La e[ri~ cattiva e deleteria fa crescere la guerra,  la più crudele è distruttiva delle guerre è la stavsi~ , la guerra civile, risvegliata dalla squallida schiavitù, kakh; doulosuvnh (v, 18)  (h{ stavsin e[mfulon povlemovn q  j eu{dont j ejpegeivrei, v. 19, la quale risveglia la lotta dentro la stirpe e la guerra).
La guerra civile compie una trasvalutazione nichilistica. In questo “Sinistro carnevale, mondo a rovescio"[13], .perfino le parole cambiano il loro significato: le brutte diventano belle.
Ce lo ricordano Tucidide[14] e Sallustio[15]. Sarebbe interessante soffermarsi su questo. Un’altra volta

Giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Odissea, I, 34.
[2] Mangiare insieme infatti dovrebbe essere una comunione.
[3] Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium, II, 1.
[4] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 54 e p. 55.
[5] G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[6] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.
[7] Orazio, Epistulae  I, 1, 59-60.
[8] In tre libri, scritti nel 55 d. C. per  Nerone diciottenne, con l’intento, forse, di distoglierlo dall’ammazzare Britannico.
[9] 1605-1606.
[10] Cfr. Shakespeare, Coriolano, V, 1.
[11] Del 1510.
[12] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 298.
[13] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42-43.
[14] Nei conflitti interni molti valori  si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira (427-425 a. C.), quando ci fu una  tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario: "Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito.
[15] Nel Bellum Catilinae , Catone , parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole: "iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est" (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.

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