giovedì 17 ottobre 2013

La sepoltura dei morti. Sul caso Priebke





La sepoltura dei morti è un gesto minimo, e obbligatorio, della pietas umana “dal dì che nozze tribunali ed are / diero alle umane belve esser pietose / di se stesse e d’altrui”.
Da allora, continua Ugo Foscolo, “toglieano i vivi / all'etere maligno ed alle fere / i miserandi avanzi che Natura / con veci eterne a sensi altri destina (I sepolcri, 91-96).
Epigrafe di questo splendido carme è una legge delle Dodici Tavole, il primo codice romano che risale alla metà del V secolo a. C.: “Deorum Manium jura sancta sunto”. I diritti degli dèi Mani siano sacri, insomma siano sacre le leggi che riguardano i morti  

Non solo e non tanto le leggi scritte, quanto quelle della coscienza o degli dèi, come le chiama Sofocle  nell’Antigone.
In questa tragedia Creonte, il capo dei Tebani,  vuole impedire la sepoltura del nipote  Polinice che, esiliato dal fratello Eteocle e rifugiatosi in Argo,  ha radunato un esercito e ha attaccato la propria patria  guidando le truppe ostili alla città beota, con altri sei capi. La schiera dei Sette contro Tebe  è stata respinta dai guerrieri difensori, ma il capo dei Tebani aggrediti, Eteocle, è morto ammazzando il fratello comandante degli aggressori.
Ebbene, un bando del nuovo capo, il loro zio Creonte, cognato di Edipo, ordina che Eteocle sia sepolto con tutti gli onori, mentre il fratello traditore sia lasciato insepolto, pasto per i cani e gli uccelli che lo fissano per la gioia del cibo  (Sofocle, Antigone, vv. vv.29-30)
Nell’Antigone di Alfieri, la protagonista eponima, sorella dei due morti, definisce “cruda legge” (II, 176) e “inuman divieto” (II, 180) la proibizione di seppellire Polinice.
Infatti lei, la sorella Ismene e i due fratelli maschi sono nati tutti dalle stesse viscere[1], quelle di Giocasta e dallo stesso seme, quello di Edipo.

Contro  il decreto disumano del tiranno, Antigone  si rifiuta di obbedire dicendogli queste parole: "Secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto / né Giustizia che convive con gli dei di sotterra / determinò tali leggi tra gli uomini, / né pensavo che i tuoi bandi avessero tanta / forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare / i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti[2].
Lo stesso pensa il coro dell'Edipo re  che nella prima strofe del secondo Stasimo, punto nodale della tragedia, canta: "Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare / la sacra purezza delle parole / e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi / sublimi, procreate / attraverso l'aria celeste di cui Olimpo è padre da solo né le / generava natura mortale di uomini / né mai dimenticanza / potrà addormentarle: / grande c'è un dio in loro e non invecchia" (vv. 863-872).
Non insultare i morti che non possono difendersi è una delle leggi non scritte.
Ma un tiranno non può essere pio. Lo dice chiaramente, nell'Aiace  di Sofocle, Agamennone a Odisseo che lo esorta a non calpestare il suicida: "to; toi tuvrannon eujsebei'n ouj raJ/dion" (v. 1350), non è facile che sia pio chi detiene il potere assoluto.

La coraggiosa ragazza Antigone dunque, trasgredisce il divieto di Creonte e seppellisce, simbolicamente, il proprio fratello cospargendogli la faccia con una manciata di terra. Il capo dei Tebani fa togliere la sottile copertura  dal volto di Polinice e fa arrestare la nipote che non rinnega il proprio gesto pietoso.
Il Creonte tiranno[3] dell'Antigone è nemico dell'uomo: tanto che fa disseppellire  il nipote morto e seppellire in una caverna la nipote viva, Antigone, che poi si impicca. Un suicidio cui seguono, a catena, quelli di Emone, fidanzato di Antigone e figlio di Creonte, e quello di Euridice, madre del primo e moglie del secondo. Nell’esodo della tragedia di Sofocle, lo sciagurato duce si trova desolato sulla scena dove, pentito troppo tardi  dice di se stesso: "Si porti via l'uomo stolto / che, o figlio, senza volere uccisi te, / e anche te , ahimé infelice, non so / a quale dei due debba guardare, dove appoggiarmi: tutto infatti / va di traverso nelle mie mani, e sul capo / mi è saltato un destino difficile da sopportare" (Antigone,  vv. 1339-1346).
Il Coro negli ultimi versi mette in rilievo con l’empietà anche la stupidità di Creonte e degli uomini siffatti: "Il comprendere è di gran lunga il primo requisito / della felicità; è necessario poi non essere empio / in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi "(1347-1350)

L’atto disumano di disseppellire i morti si può commentare anche con un paio di versi di una tragedia dell’elisabettiano Webster: fanno parte della  nenia funebre cantata da Cornelia "in vari modi di follia", sul cadavere del figlio Marcello, ucciso dal fratello Flaminio: "Chiamate il pettirosso e lo scricciolo, che volano sopra i boschetti ombrosi, e con foglie e fiori coprono i corpi soli al mondo degli insepolti. Chiamate al suo lamento funebre la formica, il topo dei campi e la talpa, che levino mucchi di terra per tenerlo caldo e quando le ricche tombe vengono depredate non soffra danno: ma tenete lontano il lupo, che è nemico degli uomini, altrimenti con le sue unghie li dissotterrerà (“But keep the wolf far hence, that's foe to men,/For with his nails he' ll dig them up again”)[4].

Io sono contrario alla pena di morte. A maggior ragione sono ostile a quanti vogliono lasciare insepolto un cadavere, fosse pure la salma del peggiore degli uomini, posto che sia possibile compilare una graduatoria di quanti, anche se hanno oltraggiato e violentato la vita su questa terra, non pesano più su di lei, non possono fare altro male. Comunque sia chiaro a voi che mi leggerete che io scrivo per seppellire l’ex esecutore di ordini criminali, non certo per lodarlo.
Del resto chi diede quegli ordini orribili, Kappler, fu lasciato scappare, visibilmente e  risibilmente, nascosto in una valigia portata via a mano dalla moglie settantenne.
Non abbiamo perduto tante occasioni per riempirci di ridicolo e disprezzo agli occhi del mondo.  

Giovanni Ghiselli

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[1] Cfr. Sofocle, Antigone, 511,
[2] Sofocle, Antigone, vv. 450-455)
[3] Antigone, v. 1172.
[4] J. Webster, Il diavolo bianco (del 1612),  I, 2.

4 commenti:

  1. Io invece sono contraria sia a un funerale decente sia alla sepoltura di un uomo come quello, se uomo si può chiamare una persona che ne ha fatte massacrare oltre 300 altre, né mai si è pentita anzi, si è sempre scaricata di dosso le colpe dicendo che eseguiva ordini e ha concluso la sua dannosa vita senza subire alcuna giustissima punizione. Perché è così che è andata.
    Personalmente ritengo che né la vecchiaia né la morte diano alcuna dignità a chi si comporta in modo ignobile, perciò non rispetto alcun vecchio in quanto vecchio né morto in quanto morto, rispetto solo chi fa del bene, chi al limite si fa ammazzare piuttosto di compiere un crimine, quello sì, merita il massimo dei rispetti e dell'amore! E certo che ora questo non fa più del male, ci mancherebbe che ne facesse anche da morto!
    Ci riempiamo di ridicolo e disprezzo anche perché non siamo mai decisi in una cosa o nell'altra, soprattutto non siamo mai decisi per quel che riguarda quell'orribile passato che ha visto anche l'Italia colpevole di stragi a danno di innocenti; e proprio qui sta il punto: per non dover fare i conti con il nostro peccato, soprassediamo su quelli altrui. Non vogliamo vedere che anche noi siamo macchiati di sangue; se avessimo punito sul serio certi aguzzini avremmo dovuto anche guardarci attentamente scoprire quelle macchie e pagare anche noi.

    Maddalena Roversi

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  2. Io penso che, per quanto male uno possa aver inflitto, quando è morto è morto. Il fatto poi che egli non abbia avuto pietas nella propria vita non giustifica gli altri nel non averla a loro volta: sarebbe la legge del taglione che giustifica la pena di morte e ogni tipo di crimine. Non stiamo parlando di celebrare della gesta ma di seppellire un cadavere tale quale saremo tutti noi, speriamo il più tardi possibile. Non si rimedia all'ingiustizia con l'ingiustizia.
    Condivido in pieno quanto scrive Gianni.
    alessandro

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  3. Molto commovente e altrettanto condivisibile. Il vecchio nazista poi, poche gioie avrà dell'urna per non aver lasciato eredità d'affetti, ma l'urna è giusto che l'abbia.
    Margherita

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  4. apparirò schiumante di crudeltà, me insisto: a parte il fatto che nessuno l'ha condannato a morte ed è giusto così, comunque non si è fatto un giorno di galera né - ripeto - mai si è pentito o ha mostrato cordoglio per quei morti, oltre 300 come si sa. Se parliamo di giustizia, che giustizia c'è per loro? Perché non c'entra la vendetta qui, ma appunto la giustizia; anche gli Dei della Grecia si indignerebbero, per una cosa del genere.
    Per me, che sia cremato e messo nell'urna e consegnato a chi lo vuole va bne, ma non va bene una cerimonia né il parlarne: non lo merita. Lui non è come il fratello di Antigone, è tutt'un'altra razza di persona.
    Nessuna legge del taglione, ché se ci fosse lui sarebbe stato fucilato e gettato in una cava.
    Ma invece così i morti restano senza pace, si sorvola su una riflessione che scatenerebbe pianti e rabbie, ma sfogherebbe quel desiderio di giustizia che rimane invece soffocato e lascia rancori mai sopiti. Fare i conti con questo e con gli orrori che italiani hanno perpetrato contro altri italiani, ci renderebbe migliori, ci insegnerebbe che fare il male davvero non paga e fare il bene innalza. Così invece è tutto appiattito, quelli che ne vengono fuori male alla fine sono le vittime e i loro congiunti rimasti con la bocca amara e le lacrime inascoltate.
    Maddalena

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