lunedì 5 maggio 2014

La scuola corrotta nel paese guasto. Diciannovesimo capitolo


Gli appunti presi il 13 e il 14 giugno del 1981. Ripete, in forma grezza, cose già dette. Si può anche saltare.

In questo capitolo trascriverò gli appunti presi la notte della catastrofe e i due giorni seguenti. Intendo copiarli come li trovo, senza rielaborarne la forma né cucire insieme le pezze letterarie, appoggiate tra le parole, fino a farne dei travestimenti, siccome voglio conservare tutto il pathos doloroso che, pur rintuzzato qua e là con l'ironia, mi costrinse comunque a iniziare questo lungo epos arrivato vicino al termine dopo parecchi anni. 
Lo concluderò con il racconto della seconda parte del giorno 15 giugno 1981, quando abbozzai la prima pagina. Nel frattempo io sono passato alla parte dei non più giovani, e la ragazza da quella dei più senz'altro, o se vogliamo dei Manes, i buoni: come incarnazione della carne è morta da anni, ma questo lavoro conserverà qualche cosa della nostra storia lontana. Forse, oltre una vicenda amorosa ricca di casi, la mia opera è riuscita a mostrare alcune immagini della dedalica terra, bella e varia come le femmine umane, nonché diversi aspetti significativi della scuola, della società, dei costumi che si andavano sconciando in quegli anni, e magari pure qualche parvenza della provvida, artistica Mente che regge l'universo e tutto porta a buon fine. Anche la tribolata peripezia di un uomo che cerca sempre, siccome vuole capire, e di una ragazza desiderosa di fama e successo; anche la singola vita di una persona qualsiasi, come sono io. Anzi, è proprio per il sentimento di appartenere all'umanità che ho messo a disposizione di tutti questa storia nella quale, credo, ognuno potrà riconoscere qualcosa di sé.

Sabato 13 giugno 1981, ore due della notte. Ifigenia è precipitata a capofitto con l'attore famoso. E' andata a cena con lui, è salita in camera sua, si è sdraiata nel suo letto, l'ha abbracciato, ma non l'ha baciato. Che cosa vuol dire? Pedicavitne ille eam?[1] Con il latino evito le parolacce. Il latino è la lingua del pudore.
Il nostro rapporto effettivamente era stanco assai. Non si parlava più, non era interessante per nessuno dei due l'opinione dell'altro. L'idea di passare due giorni con lei mi metteva addosso il malumore. Non è stata colpa di nessuno: la tensione (tovno") era caduta ed è bastato un incontro con un altro perché tutto si afflosciasse (implodesse? No: è una parola orribile, per giunta di moda; la usano i cretini incolti che vogliono sembrare intelligenti, profondi e di vaste letture) nella rovina finale. Questa volta non ho i rimpianti della notte del 15 marzo quando, accompagnata lei a casa, mi ritrovai solo nel mio studio biancheggiante di luna.
Tutto il senso di noia e stanchezza che mi pesavano addosso, dipendevano dal rapporto malato con lei. Oramai ci affaticavamo a vicenda. Se fossimo andati ancora avanti ci saremmo uccisi con reciproghe piaghe, come i figli di Edipo. Tutto doveva cambiare, anche nell'eventualità (remota) che dovessimo tornare insieme come prima (cfr. il Gattopardo). Non facevo più niente con gioia: nemmeno lo sport, o la scuola. Il sole, il primo fra tutti gli dei, la fiamma che nutre la vita, il santo volto di luce (Sofocle), lo annebbiavo con la mia angoscia (Kafka). Ho tagliato la striscia di cuoio dopo due anni e mezzo. Cordone ombelicale che mi legava a Ifigenia. Una volta era il laccio della gioia del bello.

Cercano di estrarre quel bambino dal cunicolo. Sono le sei del mattino. La televisione trasmette sempre il salvataggio mancato di quella creatura.
Ricordati e giuralo sullo Stige:
1) Non devi ingrassare, ossia mangia poco e fai sport in tutte le stagioni.
2) Devi continuare a studiare.
3) Devi ricominciare a scrivere.
Intanto questo è il monologo dell'abbandonato il 13 giugno del 1981 per un attore famoso. Le beffe della fortuna hanno accumulato in questo giorno di prima estate gli avvenimenti di un secolo. L’attore famoso di Pavese era Raf Vallone. Il mio rivale è un po' meglio a onore del vero. Buon segno: diverrò scrittore più bravo e più letto di Pavese. Se non altro, non ce l'ho con le donne. Non sto soffrendo troppo: me l'aspettavo, l'avevo messo in conto. Lei non era tipo generoso e capace di amare. In un primo tempo la lusingava essere l’amante del professore bravo, lei due volte colpita con note di biasimo in quanto impreparata, ultimamente le facevo comodo per l'esame di recitazione.
Mi usava e non voleva darmi niente in cambio. Anche il sesso faceva malvolentieri. Pensava di non ricevere una mercede adeguata. Mercede, sì mercede. Mistofori di Caria e Pezetèri[2]. L'armi, qua l'armi: io solo combatterò, procomberò sol io[3]. Eppure il primo anno eravamo pazzi di gioia, sott'altra luce che l'usata errando[4]. Il suo sesso, passer, era vivo nel letto, sull'erba, sulla terra, sul moscone, in automobile, nei cessi dei treni (questo c’è anche  in La città delle donne di Fellini) e dei bar. "Lugete, o Veneres Cupidinesque... passer mortus est meae puellae"[5]. Anche il gallo è morto: non canterà più coccodì, coccodà[6].

La via all'insù è durata nove mesi. Dopo l'estate colei era spiritualmente invecchiata: da leggera, agile e spiritosa, era diventata goffa, pesante, insicura. Una bellezza fradicia di sciagure (Edipo re, v.1396.). E il commento a questa tragedia quando lo riprendi in mano? Una cosa alla volta: ora si va in bicicletta.
E' mezzogiorno. Sono arrivato a Monghidoro da dove lei mi telefonò a Moena la prima volta che ci andai da quando eravamo amanti. Temevo che mi tradisse e pure che mi si attaccasse pessuma ac divorsa inter se mala[7]. E poi?
Nella chiesa del paese ho pregato: per lei, che sia felice, vivat valeatque[8]. Temo però che la sua scarsa razionalità la porti a fare degli errori in pregiudizio della felicità. Non è del tutto disonesta[9], dal momento che mi ha parlato. In ogni caso è debole e superficiale. Le piace provocare, stuzzicare, creare scene per farsi credere importante; mentre al cuore e all'intelligenza non dà importanza poiché ella difetta di tali qualità. Poi è carente di immaginazione come l'amasio di Oscar Wilde (De Profundis). Lo capisti bene quando non ti scrisse a Debrecen: allora si videro i limiti della persona.
Tu hai bisogno di una donna morale, sensibile, intelligente. Di fronte a queste qualità supreme, l'età e l'aspetto esterno passerebbero in secondo piano.
E' solo mezzogiorno e trentacinque: il tempo non passa mai, altro che "fugit irremeabile tempus"! O era piuttosto "irreparabile"? "Nescio, sed fieri sentio et excrucior"[10]. E' da ieri mattina alle sette che non dormo.
Non aspettare una telefonata da lei: non volere vederla, poiché potrebbe incantarti. Evitane la baskaniva, il fascinum o malìa che dire si voglia. At tu destinatus, obdura[11].
Starai male per un poco, siccome perdi pur sempre uno scopo nella vita, ma così ti metti in condizione di trovare l'AMORE che con lei da due anni non c'era.
Confronta il viaggio a Marina di Ravenna del giugno del 1979 con quello di ieri: due anni fa la creatura ti aspettava emozionata e tremante come un uccellino dopo avere chiesto ai suoi amici di andare via per trovarsi sola con te al momento dell'incontro che fu un volo nelle tue braccia, "neosso;" wJsei; ptevruga" ejspivtnwn ejmav"" (come un uccellino rifugiandoti nelle mie ali, Euripide,
Troiane, 751).
Ieri, a Le Grand Hotel di quella caotica e babilonica spiaggia è arrivata in ritardo, è corsa dentro quella caverna buia e affollata di schiavi, come quella platonica, ha bisbigliato qualcosa nell'orecchio di una, poi ti ha detto, con imbarazzo, reticenze e mezze bugie che era "stata" con l'eterno istrione. Poveretta! Se penso alla vitalità prepotente e sana di allora, alle attese di felicità con me, e le confronto con la stanchezza sudata, con il traguardo mortale raggiunto nella camera dell'Hotel Savioli, provo pena per lei e dispetto per me.

Ho visto una rana schiacciata sulla strada della Futa. Eri tu. Una canzone degli anni cinquanta, o primi anni sessanta faceva così: "l'altra notte, ho sognato un villaggio sul fiuuuume." Poi andava avanti finché diceva: "Con un dolce sorriso che alludeva all'amor: ERI TU ".
Ma tu eri gonfia di libidine, di stupidità, di ipocrisia, ed eri pronta a farti calpestare da uno peggiore di te, anche di me. Intanto il bambino caduto nel pozzo scivolava via dalle mani viscide dei soccorritori, e moriva.
Due anni fa, dopo il brindisi con la passerina, il palpitare affrettato del cuore, i sorrisi e le lacrime di felicità, andammo sulle sdraie a guardare il cielo; e, anche se dicevamo sciocchezze, ci ascoltavamo a vicenda perché l'uno era meraviglioso e molto interessante per l'altro, mentre parlava della stagione bella e dell'amore che ci teneva insieme. Allora io superavo i pregiudizi della mia generazione disgraziata e della mia famiglia di gente infelice: il veto alla ragazza non illibata, e proletaria per giunta. Eppure questi fattori hanno contribuito all'insuccesso finale. Se io fossi stato il tuo primo uomo probabilmente (e me ne vergogno) avrei avuto maggiori riguardi per te, e forse anche tu per me; una tua situazione socio-economica più elevata, avrebbe significato una visione meno depressa del mondo, altre esperienze di vita, argomenti in comune, e una brama meno struggente da parte tua di soldi, fama, successo. Questa è la tua vera miseria.
Credo che se avrò il coraggio di accoppiarmi un'altra volta, la prossima donna dovrà essere prima di tutto intelligente e morale, ma avrò un occhio anche per l'educazione della persona. A proposito, sai che cosa è morale? Favorire la vita.

La televisione aspetta la morte di quel bambino.
E quando con i tuoi sbaciucchiamenti mi impedivi di vedere il telegiornale, i film, gli spettacoli teatrali? Mi stancavi e mi spingevi al vagheggiamento di un'altra. Tu te ne accorgevi e dicevi, non senza qualche ragione: "Per te è una fortuna tutto questo!". E siccome io, poco lungimirante, non lo capivo, aggiungevi: "Mi cercherai, e non mi troverai!".
Com'è vero!
Adesso ho tempo abbondante e non so che farmene.
Ifigenia ha un limite fondamentale: riesce a comunicare solo con il sesso; tutta la sua vitalità, tutto il suo genio è concentrato lì. Non è lei che ha la vagina, è la vagina ad avere lei (Otto Weininger, Sesso e carattere). Tre anni fa per parlare con me volle venire nel mio letto; ieri sera, per imparare qualcosa dall'attore famoso, l'ha seguito in camera. Perché mi devono capitare donne cui prude tanto il sesso? Eppure io gratto “un bel po', ma proprio un bel po'”, per dirla alla pesarese. Fino a 71 volte al mese durante il primo anno. E ogni volta dicevamo: “se quest’ è un accident che dio ne manda cent”[12].
Devo trovare una donna che abbia qualcosa da dire fuori dall'alcova. Gli esseri umani sanno parlare. Chi è fuori dal logos è anche estraneo al pathos[13].
C'è un cielo grigio e afoso. Spero che mi telefoni. Eppure so che non devo tornare con lei. Ne verrebbe fuori un rapporto con tutti i difetti di prima, e un'aggiunta di sadomasochismo. Questa mattina all'alba, mentre cercavo di addormentarmi, mi veniva in mente la sua espressione da bambina quando avvicinava il naso a uno dei miei occhi, me lo faceva chiudere, quindi rideva contenta. Poi diceva: "Tanto, tanto caro". Pazza, figliola, monella. (Thomas Mann, La montagna incantata).
Sembra incredibile che la libidine trasformi una persona così radicalmente: lei, la mia creatura che amavo, pater ut gnatos diligit , non ut vulgus amicam[14], ieri con aria dura e imbarazzata, ha evitato il contatto con me siccome ne aveva trovato uno più prestigioso. Il vecchio trombone soffiando a perdifiato nella sua tartarea tromba (Tasso), l'ha tratta nel precipizio con sé (Virgilio). I miei suoni più sommessi sono stati presi per segnali di debolezza e languore. Ha pensato che non sono un vincente, e tanti saluti!

In uno sprazzo di ottimistica fiducia, o di piaggerìa, mi chiese un monologo. L'avevo iniziato così:

Arrivammo sullo Starnbergersee al tramonto. Ci fermammo nell'albergo più vicino alla croce di Ludwig. Credevamo di trovare l'estate poiché eravamo partiti con il caldo, invece il lago si stava oscurando nel freddo, e un cigno rabbrividiva sull'acqua increspata da un vento gelido. Pensai allo spirito malato del sire.
La notte aveva sepolto il cielo con l'ombra (Eneide, VI). La sala da pranzo era piena di borghesi soddisfatti, poiché si mangiava bene e il servizio era buono. Parlavamo del lunatico re, delle sue stravaganze, della sua solitudine immensa, della sua morte: con simpatia poiché detestava anche lui la canaglia borghese, e con enfasi, siccome non avevamo altro da dirci.
Dopo cena camminammo lungo il lago per un sentiero sprofondato tra grandi alberi ancora spogli ma capaci di oscurare la luce incerta di una luna tenue. Cercavamo la croce. Avevo paura. La notte aveva tolto colore alle cose, alla mia pelle e al suo volto. Si sentivano cagne ululare nell'ombra (Eneide, VI).

Sotto questo abbozzo, poche sere fa, scrissi: "ti amo, ti amo". Poi guardai Ifigenia che mi fissava e rispose: "anche io, tanto!"
Però non è una gran cosa: al massimo può servirmi come materiale grezzo per un capitolo sul viaggio in Baviera. Ieri, quando mi ha detto, histrionali studio[15], che veniva dalla camera di quello, la mia faccia deve avere assunto l'aspetto di un teschio svigorito (Odissea, XI). Infatti colei mi guardava anche con pena.
L'istrione decrepito per una sera potrà averti parlato di teatro meglio di me, ma le considerazioni che facevamo insieme osservando e leggendo, non le farai né con lui, né con altri: il nostro prossimo viaggio in Grecia ci avrebbe suggerito riflessioni e discorsi vivi, intelligenti; avrebbe offerto dialoghi belli al capolavoro che progettavamo. Non è poi vero che non si parlava.
La spinta in avanti che mi hai dato tu, non l'ho mai ricevuta da nessuna donna. Päivi mi ha motivato "solo" a studiare. Tu a vivere e a scrivere. Vedo che comincio a farlo con maggiore obiettività e che il risentimento lascia il posto alla comprensione. Però non mi devo intenerire troppo: ieri lei mi ha inferto un grossa mazzata nella testa. Se mi rialzerò sarà merito solo della mia vitalità faustiana, o, detto in maniera meno letteraria, da gatto randagio.

Sono a Pesaro al mare, il mare mio. Nel giugno di due anni fa Ifigenia era a Modena, e io temevo che mi tradisse, o non mi amasse abbastanza, e spasimavo per una sua telefonata. Ricordo un giorno che pioveva a dirotto. Veniva giù acqua calda. Ero con Ezio e Alfredo davanti al cinema Odeon: aspettavamo l'inizio di un film del festival pesarese. Loro mangiavano pane e salame; io telefonai a casa per avvertire che non rientravo. Rispose la zia Rina. Disse con disappunto che aveva chiamato una ragazza, tale Ifigenia. Tripudio. Danza (pirrica? No, meglio salica) sotto la pioggia che divenne aurea, come quella di Danae; mi impregnai di gioia solo per quell'avviso di telefonata: vedevo cadere dal cielo fili d'oro sulla strada e sui tetti della città.
Rivediamo la scena del Grand Hotel di Riccione. Ifigenia non c'è e i suoi conoscenti che mi conoscono, mi evitano. A mezzanotte e un quarto è già chiaro come stanno le cose. Poi lei arriva con volto scuro, freddo, quasi ostile. Viene dalla camera del famoso il quale l'ha convinta del fatto che un attore non deve avere identità né morale. E' roba da piccolo borghesi. Se c'è gente moralisticamente immorale è proprio la borghesia feroce. "Una classe che non ha esitato a scatenare il fascismo, il razzismo, la guerra, la disoccupazione"[16].
I princìpi estetici e morali sono così assenti dalla vita dei più che la gente, quando ne parla, lo fa per dirne male o per riderne. Io sto solo perché prendo sul serio sia l'onestà sia la bellezza; che questa sia mercificabile, quella ridicola, sono luoghi comuni di una lurida società capovolta: “Mutatus ordo est, sed nil propria iacet;/ sed acta retro cuncta”, è mutato l'ordine naturale e nulla si trova al suo posto; ma tutto è invertito (Seneca, Oedipus, vv. vv. 366-367). Ifigenia quando era più morale e voleva insegnarmi a essere buono, era splendidissima, felice e cominciava a rendere felice anche me.
Purtroppo l'ho compreso tardi, quando lei oramai non lo capiva più, sicché siamo stati quasi sempre sfasati.
Il mare è ventoso. Non è piacevole starci. Ma l'aspetto deve tenere, e l'abbronzatura è l'altro grande cosmetico, oltre la ginnastica di Platone. E’ una delle giornate più lunghe: quasi quanto il Bloom's
day[17]. Sto cercando di immaginare la telefonata che farà, se la farà, questa sera alle otto. Starà sulle sue, come se l'offesa fosse lei. E' la tattica delle donne quando la fanno grossa all'uomo e, nondimeno, vogliono continuare a sfruttarlo. Sorprendile una volta con le mutande abbassate, e non te lo perdonano più (Joyce, appunto).
Ora devi abituarti alla mancanza di lei. L'abitudine anestetizzerà il dolore (Proust). Eppure quello di oggi non lo dimenticherò mai; nel ricordo lo accoppierò con le grida di aiuto di Alfredo. Tanta pena però non deve ricadere su femmine umane innocenti: ricordalo! Non fare come le cretine che odiano tutti gli uomini, siccome hanno ricevuto dei torti da uno o da dieci o da cento maschi. Del male che ci siamo fatto a vicenda, siamo responsabili soltanto noi. Ce n’è stato abbastanza di male! (Ecuba di Euripide). Devo rendere eterni questi avvenimenti. Assomigliano alla storia del genere umano: dall'età dell'oro con allegre esplosioni di sperma quando non esisteva la guerra né la miseria ed eravamo vicini agli dei (Mahabharata), all'età del ferro, l’era della compiuta peccaminosità (Fiche), nella quale tutti usano e odiano tutti. Presto gli uomini avranno i capelli bianchi fin dalla nascita (Esiodo).  Devo accrescere l'intensità delle percezioni di chi mi legge.
Le tre viole che raccolsi il 15 marzo dunque erano i tre mesi che ci restavano ancora. E le altre tre? Ancora tre mesi? Solo se saranno funzionali al romanzo. Quando l'amavo, prendevo i suoi difetti per altrettanti pregi: l'insicurezza per mitezza, mentre quella è feroce; la mancanza di profondità per semplicità e naturalezza, mentre è artefatta quasi fino alla volgarità (cfr. "rozza e affettata" di Manzoni). Scambiavo i suoi nervi spezzati per sensibilità fine, la sua disponibilità a fare sesso per sensualità; il disordine mentale e l'insufficienza dell'educazione per spontaneità. Forse mi aveva colpito anche una certa somiglianza con mia madre e con mia sorella. All'inizio cercavo di frequentarla poco, siccome non aveva granché da dire ("non spazia molto" diceva Fulvio), ma una domenica che non telefonò, sentii una stretta al cuore. Una necessità ansiosa di vederla (Proust, Swann per Odette).
Ma cosa fa ora la disgraziata, randagia sulla spiaggia babelica? Manca mezz'ora alla sua telefonata: voglio caricarmi d’ira per non lasciare che mi faccia del male, se mi trova rilassato. Sono stanco di questa storia caotica. Devo darle una forma e un significato con il metodo mitico (Eliot) e la rielaborazione letteraria. Ifigenia-Elena di Troia; Ifigenia-Ifigenia; Ifigenia-Desdemona. Con Menelao, Paride, Achille, Agamennone, Otello. "Your wife, my lord; your true and loyal wife"[18]. 

Qui sulla spiaggia ventosa un giorno del luglio del '79 vennero Danilo e la moglie da Romano di Ezzelino. Ho le foto. Ifigenia è una bellezza; Danilo è ubriaco perfino in fotografia. "Bevevano i nostri padri? bevevano le nostre madri? E noi che figli siamo beviam beviam beviamo! ".
Si rovinerà quel ragazzo, ma non con le donne. Ma quali ragazzi? Ci stiamo avviando ai quaranta, l'età cupa dei vinti (Gozzano? Sì). Poi la vecchiaia, "l'orrida vecchiaia dai denti finti e dai capelli tinti", sempre Gozzano. La casta Susanna (Ifigenia, si fa per dire) in mezzo ai vecchioni aveva addosso qualcosa di primitivo e di bello: una pelle di cerbiatto. Danilo era ubriaco fradicio, eppure sbavava per lei: "che bea putèa, cara da dio!". Io pure, dentro di me, sebbene avessi un'aria quasi compunta. Gesuita, pretificato istrione! (Joyce).
Ieri la ragazza era una calcolatrice spietata. Ha perso, o non ha mai avuto, la primitività, dote che nell'arte dei commedianti è decisiva (T. Mann, Doctor Faustus). Al telefono cercherà di blandirmi per farsi aiutare a preparare l'esame. "Quanto sei bello, quanto sei buono, morale e ottimo a scrivere: bravo! bravo!  arcibravo!"[19]. Vada a dirlo al guitto prometeico; si faccia aiutare da quel titano sfuggito alla scitica rupe! "Faccia il nostro grande attore, grande attrice pure te!”[20].
Diventerà morale quando sarà del tutto infelice, se non è del tutto scema. Manca mezz'ora. Vado a casa.

Mancano dieci minuti. Sono molto innamorato e infelice. Potremmo rimetterci insieme se lei dicesse che ieri sera non è tornata da lui siccome ama me. Dio fai che sia così. Io amo quella ragazza con tutti i suoi difetti, e lei ama me nonostante tutto. Le otto meno quattro. Il sole si è nascosto da poco dietro uno spigolo del tetto della casa di fronte. Ora salgo con i piedi sul tavolo per cercare di vederlo e pregarlo. Non sono riuscito a rivederlo. Brutto segno, ma lo prego lo stesso.
Ha telefonato. E' finita. Ha detto che sono una gran persona e che devo continuare a coltivarmi: leggendo, ricordando, parlando e scrivendo. Ma lei per qualche tempo deve stare sola. Fine della storia. Era gentile e amichevole. Ora sono più calmo. Tre anni buttati via per un abbaglio. Si accorgerà presto quanto sia falso quel mondo e quanto di autentico ci fosse nel nostro amore. Nel mio di sicuro. Starà peggio di me poiché fare il male, è male più grande che subirlo: "mei'zon mevn famen kako;n to; ajdikei'n, e[latton de; to; ajdikei'sqai" (Platone, Gorgia, 509c). Sono fiero del fatto che non l'ho mai umiliata come lei me, ieri sera.
14 giugno, domenica. I grandi dolori insegnano grandi cose e non vanno evitati. Il tw'/ pavqei mavqo" di Eschilo[21] è vero, e anche la ferita che fiorisce in tanta luce di Hesse[22]. Ifigenia mi ha dato l'occasione per scendere nelle profondità della mia anima, per indagare me stesso, “ejdizhsavmhn ejmewutovn[23]", come Eraclito. Per il famoso in fondo non provo rancore: è un vecchio in cerca di riscontri della propria vitalità, uno anche simpatico. Se sono più intelligente e morale di lui, dagli imbrogli di questa notte posso trarre di più. E' giunto il momento di una maggiore profondità e incisività in tutto quello che faccio. E' finito il tempo di fare "solo" belle lezioni scolastiche.
15 giugno 1981 ore 14. Ultimo giorno di scuola e fine con Ifigenia. E' durata esattamente i tre anni della sua supplenza al liceo. L'aveva messo in conto, e forse anche io. Una Debrecen lunga tre anni.
Poco fa ci siamo congedati: Búcsú est[24]. Era molto carina e commossa: quasi quanto le finniche sui treni azzurri che le riportavano ai laghi azzurri. Quelle piangevano; Ifigenia ha detto di sperare che un giorno potremo tornare insieme.
Anche io lo spero, ma adesso devo scrivere il mio capolavoro. Cominciare da quei giorni radiosi del '78, ultimo anno di rapporti umani vivaci per quanto ho potuto vedere, e arrivare a questo giugno doloroso, non solo per me credo, facendo incursioni nel passato, fino agli anni Sessanta, anche Cinquanta quando ero fanciullo e non avevo ancora visto l’inizio delle mie gioie. Tanto meno la fine[25]. Devo scrivere perché Ifigenia me ne crede capace, poi per trarre qualche cosa di buono da tanto dolore. Immagini luminose dal buio di questo tempo peggio che brutto: squallido e insignificante.

giovanni ghiselli

P. S.

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[1] Che l’abbia sodomizzata il famoso? Cfr. Catullo, Carmi, 16, 1: "Pedicabo ego vos et inrumabo".
[2] Mercenari e soldati. Cfr. Pascoli, Alexandros, vv. 4-6
[3] Cfr. Leopardi, Canzone all'Italia, vv. 37-38.
[4] Cfr. Leopardi, Il pensiero dominante, vv. 103-104.
[5] Cfr. Catullo, Carmi, 3, v. 1 e v. 3, Piangete Veneri e Amorini, è morto il passero della mia ragazza.
[6] Canzone. Studentesca. La cantavamo a Debrecen in lingue diverse. Negli anni della Sarjantola, di Kaisa e di Päivi. Bei tempi.
[7] Sallustio, Bellum Catilinae, 5. Vizi orribili e opposti tra loro.
[8] Viva e stia bene. Cfr. Catullo, Carmi, 11, v. 17.
[9] Col senno di adesso: in seguito ne avrei trovate altre molto meno oneste.
[10] Fugge il tempo non percorribile all'indietro, irrecuperabile. Non lo so, ma sento che accade e mi tormento, Cfr. Catullo, Carmi, 85, v. 2.
[11] Ma tu risoluto, tieni duro. Cfr. Catullo, Carmi, 8, v. 9.
[12] Si dice a Pesaro quando si brinda festeggiando un successo.
[13] “Il pathos in tal senso è una potenza in sé stesso legittima dell’anima, un contenuto essenziale della razionalità e della volontà libera” (G.W.F. Hegel, Estetica, Tomo I, p. 306, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978).
[14] Come un padre ama i figli, non come il volgo l'amante. Cfr. Catullo, Carmi, 72, vv. 3-4.
[15] Cfr. Tacito, Annales, 16. Con libidine da istriona, o meglio, per l'istrione.
[16] Don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa.
[17] Il 16 giugno, giorno nel quale si svolge l'Ulisse di Joyce.
[18] Shakespeare, Otello, IV, 2. Vostra moglie, mio signore, la vostra fedele e leale moglie… Si fa per dire.
[19] Cfr. Don Giovanni, Da Ponte-Mozart, I, 15.
[20] Cfr. Don Giovanni, Da Ponte-Mozart, I, 9.
[21] Attraverso la sofferenza, la comprensione. Eschilo, Agamennone, v. 177.
[22] In Siddharta, trad. it. Adelphi, Milano, 1975, p.135.
[23] Ho indagato me stesso.
[24] Sera dell'addio, l'ultima del mese di Debrecen
[25] Cfr. Leopardi, Le ricordanze.

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