mercoledì 21 maggio 2014

Percorso sull’amore nei classici

Breve premessa
La presente antologia propone un percorso che passa attraverso  autori i quali  hanno dato forma alla concezione amorosa nella cultura europea. Per quanto riguarda la storia dei  costumi, ai testi letterari sono stati affiancati alcuni brani storiografici. Non è questo certamente uno studio esaustivo, ma può offrire un filo conduttore in uno dei temi predominanti nelle lettere, nelle arti in genere, e ancora più in generale nella psiche delle donne e degli uomini di tutti i tempi. La scelta dei brani è congruente con lo scopo del lavoro che non è solo didattico ma anche educativo. Il metodo consiste nello scegliere alcuni argomenti topici che ruotano intorno al grande motivo unificante dell'amore, illustrarli attraverso testi significativi tradotti integralmente, e commentati con particolare riguardo alle parole chiave. Gli autori  della letteratura greca costituiscono il nucleo dei temi sviluppati che poi si ampliano attraverso quella latina e raggiungono il compimento attuale con l'apporto della cultura europea moderna e contemporanea. Questa ricerca può costituire uno stimolo di lavoro per i colleghi dei licei italiani e uno strumento proficuo per la formazione culturale e umana degli allievi. Lo studio è nato per preparare gli studenti  del Liceo Galvani di Bologna dove l'autore, Giovanni Ghiselli, insegna greco e latino e per fornire strumenti di lavoro agli specializzandi della SSIS dell'Università dove lo stesso tiene lezioni di  Didattica della Lingua e Letteratura Greca con laboratorio. Il saggio introduttivo espone i criteri metodologici in maniera dettagliata.


La fobia dell'amore e del sesso. Apollonio Rodio e Virgilio.
 Le Argonautiche, che descrivono la fase iniziale dell'amore di Medea per Giasone, sono piene di anatemi di Eros: il dio, quando arriva, mandato dalla madre Afrodite, per costringere Medea ad amare e aiutare Giasone, è invisibile, sconvolgente (tetrhcwv~, Argonautiche, 3, 276), come l’assillo (oi\stro~) che si scaglia sulle giovani vacche[1].
Rapidamente questo dio del dolor prese una freccia dolorosa: “poluvstonon ejxevlet j ijovn” (v. 279). La freccia ardeva profonda nel cuore della ragazza, come una fiamma (flogi; ei[kelon, v. 287), ed ella consumava l’anima in una dolce afflizione: “glukerh'/ de; kateivbeto qumo;n ajnivh/” (v. 290).
Quindi ardeva in segreto Eros funesto: “ai[qeto lavqrh/ ou\lo~   [Erw~ ” (vv. 296-297).
Come Giasone appare splendidissimo al desiderio di Medea, il giovane prestante  viene paragonato a Sirio che si leva alto sopra l'Oceano, bello e splendente però reca sciagure infinite alle greggi: così il figlio di Esone portava il travaglio di un amore angoscioso (Argonautiche, 3, vv. 957-961).
L'infelicità è connessa all'amore prima ancora che questo si realizzi: quando la ragazza si avvia incontro a Giasone, che è stato salvato da lei e le ha promesso le nozze, la Luna la osserva e, con parole ambigue tra la simpatia e il dispetto, le dice: il dio del dolore ("daivmwn  ajlginovei"", 4, v. 64) ti ha dato il penoso Giasone per la tua sofferenza. Va' allora e preparati in ogni modo a sopportare, per  quanto sapiente tu sia, il dolore luttuoso.
Questo presunto amore di Medea e Giasone non dona gioia ai due amanti, anzi produce orrori: dopo che i due scellerati hanno concordato l’assassinio del fratello di lei, lo stesso autore del poema rivolge un'apostrofe ad Eros quale latore di infiniti dolori: “ Eros atroce, grande sciagura, grande abominio per gli uomini ("Scevtli j   [Erw", mevga ph'ma, mevga stuvgo" ajnqrwvpoisin") da te provengono maledette contese e gemiti e travagli, e dolori infiniti si agitano per giunta. Ármati contro i figli dei miei nemici, demone, quale gettasti l'accecamento odioso nell'animo di Medea (oi|o" Mhdeivh/ stugerh;n fresi;n e{mbale" a[thn)", Argonautiche, 4, vv. 445- 449).
L'amore sembra legato alla pena da un vincolo di necessità. Si ricorderà che anche Virgilio apostrofa l’amore come un dio malvagio  : “Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!” (Eneide, IV, 412).


I stazione

L'importanza di un matrimonio felice o almeno non troppo infelice. La difficile, ma non impossibile comprensione dell'adulterio, anzi proprio dell'adultera.
Ettore e Andromaca nel VI dell'Iliade (vv. 429-432; 440-455) Odisseo e Nausicaa nel VI dell'Odissea (vv. 180-185).
 Amore volgare e Amore celeste in Platone. Tiziano: amor sacro e amor profano. La trasfusione delle anime. L'intesa è il principio vitale del matrimonio. La potenza di una coppia solidale. Ovidio e Leopardi. 
 Primi accenni alla Medea di Euripide. L'Ulisse di Joyce: amore, matrimonio e adulterio. L'attrattiva degli occhi: Leopardi, Dante, Petrarca e altri.
L'indulgenza nei confronti dell'adultera: Joyce, la Yourcenar, Saffo, Carisio di  Menandro e Cristo nel Vangelo di Giovanni.
Condanne dell'adulterio: Teocrito. Callimaco e Catullo: la chioma di Berenice. La polvere come brutto segno. Con Catullo l'amore diventa servitium dell'uomo alla domina. Virgilio e Orazio tentano di assecondare le diverse leggi di Augusto contro l'adulterio. Queste verranno eluse. L'ipocrisia del despota. W. Reich e la Psicologia di massa del fascismo. 1984 e la Jiulia di Orwell. La repressione sessuale, l'adorazione dei capi e il consumismo. 

Donne dell’Iliade e dell’Odissea.
I nuclei dell'Iliade e dell'Odissea risalgono, nella prima composizione e trasmissione orale, alla cosiddetta età oscura, seguìta all'invasione dorica che, poco prima del 1100 a. C. , abbatté la potenza della civiltà micenea. Nell'ottavo secolo visse Omero al quale tradizionalmente si attribuisce la più antica redazione scritta dei poemi epici la cui comunicazione in ogni caso continuò a lungo ad essere orale[2]. Nel corso dei secoli successivi questi Libri o Bibbie che costituiscono "le fondamenta vere e proprie della coscienza"[3] dei Greci prenderanno la forma definitiva che ora leggiamo. La lingua usata da Omero è mista, artificiale e fortemente stilizzata (Kunstsprache ), e quindi presenta forme, talora oltretutto modificate dalla necessità metrica, di vari dialetti: accanto allo  ionico predominante, e più recente, sussistono vocaboli arcado-ciprioti, che sarebbero derivati dal miceneo in quanto riconosciute nelle tavolette in Lineare B decifrate da Ventris e Chadwick nel 1952, inoltre parole eoliche, e pure alcuni atticismi dovuti alla redazione ateniese pisistratea.

Le donne omeriche più significative, secondo l'ottica del nostro percorso, sono Andromaca e Nausicaa.
La moglie di Ettore significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente devota[4]: nel VI canto dell'Iliade dichiara il suo amore all'eroe troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non esporsi troppo nella guerra sterminatrice:

vv. 429-432
testo greco.
 " Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda madre/e anche il fratello, tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv. 429-432).-ejssi: forma eolica=ei\.
-povtnia: è il corrrispondente maschile di povsi", "sposo". v. 430-parakoivth" : (“sposo”) formato da parav e koivth, letto. Vedremo che questo è il mobile fondamentale nel nostro percorso.
Tra Odisseo e Penelope che non si vedevano da venti anni il segno certo, evidente (shvmatj ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento non è, come con Euriclea quello della cicatrice, ma quello del letto comune agli sposi (eujnh'" hJmetevrh" , del letto nostro, dice Penelope a Odisseo, v. 226).
Il letto è comunque un mobile ambiguo.  
Vedremo meglio più avanti l'importanza del letto che in alcune tragedie (p. e. nell'Alcesti e nella Medea di Euripide) costituisce appunto "il mobile più importante"[5] della casa; mentre nell'Agamennone di Eschilo significa il luogo di un agguato:" ma una rete è la compagna di letto (ajll j a[[rku" hJ xuvneuno" ), la complice/dell'assassinio" vv. 1116-1117). In questo caso il letto (eujnhv) diviene una trappola e la moglie (xuvneuno" è appunto formato da suvn ed eujnhv) è quella che la tende.
La sposa dunque ha una doppia valenza.
In greco  si può dire anche a[loco" : nello stesso canto dell'Iliade  Andromaca è a[loco" poluvdwro" (VI, 394) la sposa dai molti doni, fatti del resto da Ettore, il quale la portò via dalla casa di Eezione dopo che ebbe dato "muvria e{dna" (XXII, 472), infiniti regali di nozze. Ebbene il sostantivo femminile a[loco" è formato da aj-copulativo + levco" , "letto", derivato dalla radice lec-loc- che dà luogo anche a lovco" ,  "imboscata".
Quindi si tratta di un termine dal doppio senso. In Andromaca prevale quello dell'accoglienza e della protezione, offerta e richiesta. Altrettanto in Alcesti.
 Il contrario, ovviamente in Clitennestra.
 
 
Torniamo a povtnia del v. 429, aggettivo attribuito a mhvthr.  
Dalla radice indoeuropea *potis si forma anche il latino potis, e , "che può", "potente".
 
L' idea di potenza contenuta dall'epiteto che accompagna le dee o anche, come qui, le madri, può risalire a una precedente epoca matriarcale ipotizzata da Bachofen[6] in maniera talora fantasiosa. Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia del resto "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il gr. gunhv 'donna' e l'ingl. queen  'regina'[7]. Vedremo che Andromaca sarà, in due tragedie di Euripide[8], il tipo della moglie casalinga, silenziosa, sottomessa; è piuttosto nel poema omerico più recente che si possono trovare residui di matriarcato.
Qualche cosa della non bassa condizione della donna nell'Odissea si vede già alla fine del primo canto quando, scesa la sera, i proci tornarono a dormire nelle loro case e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato molto tempo prima, ancora  giovanissima per venti buoi, pertanto doveva essere stata anche bellissima, e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto, ed evitava l'ira della moglie:"eujnh'/ d jouj pot j e[mikto, covlon d  j ajleveine gunaikov"" (I, 433).

 Nell'Iliade in effetti Amintore, il genitore di Fenice, dovette pagare caro il tradimento inflitto alla sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale poi lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.).


Torniamo al VI canto e vediamo la posizione del marito buono. Seguono sette esametri (433-439) che il filologo alessandrino Aristarco[9] espungeva come spuri. Quindo abbiamo la risposta di Ettore.

Testo Greco vv. 440-455.

“A lei allora rispose  Ettore grande, agitatore dell'elmo
:"certo anche a me tutto questo sta a cuore, donna; ma davvero terribilmente
mi vergogno di Troiani e Troiane dal lungo strascico,
se come un vile fuggo lontano dalla guerra;
il cuore mi esorta, poiché ho imparato a essere generoso
sempre e a combattere con i primi Troiani,
cercando di conservare la grande gloria del padre e la mia stessa.
Io infatti so bene questo nell'anima e nel cuore:
giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata
e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia.
Ma non tanto dolore mi accora per il futuro dei Troiani
né della stessa Ecuba, né di Priamo sovrano
né dei fratelli, che molti e generosi
cadranno nella polvere buttati giù dai nemici,
quanto per te, quando uno degli Achei dalla corazza di bronzo
ti trascinerà piangente, togliendoti  libero giorno.
mevga" : (v. 440) la grandezza di Ettore non  è solo quella del "marito buono" e degno, già segnalata e contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito" di Dostoevskij o il marito spiaciuto  del Parini, o di Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure quella dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".
“D’altra parte il marito ahi quanto spiace
E lo stomaco move ai dilicati
Del vostr’orbe leggiadro abitatori
Qualor de’ semplicetti avoli nostri
Portar osa in ridicolo trionfo
La rimbambita fe’, la pudicizia
Severi nomi!” (Parini, Il mattino, vv. 267-272)
Pèra dunque ch’ha te nozze consiglia (v. 308)

  Il modello dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade , il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare.
Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli ( nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille). 
Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna"[10]. Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[11], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere.
Eros si associa a Eris Chi si intende non poco di schermaglie e battaglie amorose è Ovidio.
Negli Amores  scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato
 
 ejmoivmevlei : (v. 450) è il motto dell'uomo morale.
 
Don Milani in L'obbedienza non è più una virtù  scrive:"Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande-I CARE -. E' il contrario esatto del motto fascista-Me ne frego-" (p. 34).
 
-aijdevomai: (v. 444)  questo verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo  non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[12], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[13].
Medea ammazza i figli per non essere derisa dai Corinzi quale donna debole, donna abbandonata.

.-qumov" : (v. 444) è in Omero "ciò che provoca le emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che il qumov" abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona le ossa e le membra coi loro muscoli...La gioia ha generalmente sede nel qumov"...Inoltre è generalmente il qumov" che fa agire l'uomo...Se qumov" è in genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione, dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar sede talvolta nel qumov" anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno sente qualcosa, kata; qumovn, qumov" è in questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima", ma dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle "emozioni". Però anche qumov" verrà in seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola con "volontà" o "carattere") e anche la funzione singola: dunque anche quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non abbiano le nostre parole "anima" e "spirito". Nel modo più chiaro appare ciò nell'Odissea  (IX, 302) dove Ulisse dice: e{tero" dev me qumo;" e[ruken:" un altro qumov" mi trattenne", e qui dunque qumov" si riferisce a un particolare moto dell'animo"[14].
Con qumov" sono composte le parole che designano due delle tre parti dell'anima nella Repubblica di Platone: qumoeidhv" è l'elemento irascibile che deve essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel presiedere all' ejpiqumhtikovn, l' elemento appetitivo, la parte maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e).-
.-ajrnuvmeno" : participio di a[inumai “cerco di mantenere” Lo stesso verbo nella medesima forma si trova nel Proemio dell'Odissea a proposito del protagonista il quale " soffrì molti dolori sul mare nell'animo suo,/cercando di salvare la sua vita (h[n te yuchvn) e il ritorno dei compagni."(vv. 4-5).
 
 Più concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il resto. Non per niente Nietzsche ha trovato in alcuni versi dell’Odissea il ribaltamento della sapienza silenica:" Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[15]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[16]
vv. 448-449 giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata
e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia.
 
Polibio nel XXXVIII libro delle sue Storie ricorda che Scipione emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[17] sia scoppiato in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi invariabilmente, abbia citato questi due versi , quindi all'amico storiografo che lo interrogava abbia risposto facendo il nome della sua patria per la quale temeva quando rifletteva sul rapido destino delle cose umane.-

v. 453 La polvere  ( kovniς, lat cinis  ) i fratelli cadranno nella polvere
La polvere nella letteratura antica è segno di aridità, sterilità e morte.

Nell'Agamennone  di Eschilo  la  polvere è definita "assetata sorella del fango" (vv. 494-495) . Platone attribuisce alla polvere e all'aridità significati negativi: nel mito di Er della Repubblica  le anime che vengono dal viaggio millenario sottoterra sono "mesta;" aujcmou' te kai; kovnew"" (614d), piene di squallida aridità e di polvere.
Nel carme 66 di Catullo, i versi di biasimo dell'adulterio (79-88) aggiunti alla Chioma di Berenice di Callimaco associano la polvere all'impurità delle spose infedeli:"sed quae se impuro dedit adulterio,/ illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis ", ma se qualcuna si concede all'impuro adulterio, ah la polvere leggera beva inutilmente i doni cattivi di quella (84-85).
Pure nell'Oedipus  di Seneca il morbo del cielo (Fecimus coelum nocens , abbiamo reso funesto il cielo, si autoaccusa Edipo, v.36) si riflette nell'aridità della terra:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirce; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inopi nuda vix undā vada "(41-44), l'acqua ha abbandonato i fiumi e il colore le erbe, e Dirce è secca; come un rigagnolo scorre l'Ismeno e con l'onda senz'acqua bagna a stento il letto vuoto. 
Nella Waste land  di Eliot  si legge:"I will show you fear in a handful of dust " (v. 30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.
D'Annunzio ambienta il dramma La città morta  (del 1898) "Nell'Argolide "sitibonda" presso le rovine di Micene "ricca d'oro" dove Bianca Maria "tenendo tra le mani un libro aperto-l'Antigone di Sofocle- legge con voce lenta e grave" (I, 1).


Ettore dunque è immerso nella civiltà di vergogna e fa gran conto della sua reputazione di eroe che del resto è pure la sua identità: egli, come Achille, come Aiace, cerca l'onore (timhv ) la cui perdita per il campione omerico è la tragedia massima. Il compenso che il prode si aspetta in cambio dell' ajrethv dimostrata obbedendo a obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia:
Achille si rifiuta di combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti nello stesso onore:" ejn de; ijh'/ timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[18]. Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:"tivmhsovn moi uiJovn"[19], onora mio figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[20]) .
 
L’onore e il disonore della donna stanno nel letto (cfr. Euripide,  Medea: “La donna infatti per il resto è piena di paura- sostiene-e vile davanti a un atto di forza e a guardare un'arma;-ma quando venga offesa nel letto,-non c'è non c'è altro cuore più sanguinario. ( o[tan d j ej~ eujnh;n hjdikhmevnh kurh'/-ouj e[stin a[llh frhvn miaifonwtevra)vv. 263- 266).
 
Generoso come difensore troiano è stato il figlio di Priamo e pure buon marito che  rispetta e ama la moglie. Meno rispettoso della sua è Agamennone il quale, sempre nell' Iliade , afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non le era inferiore "per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere" (I, 115).
Nell'Agamennone  di Eschilo anzi pare  che sia stato questo  amore ancillare troppo elogiato a mettere  in moto il risentimento della moglie legittima:"kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio",-Crushivdwn meivligma tw'n uJp j  jIlivw/"(vv. 1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle Criseidi sotto Ilio , grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo.
Non bassa comunque è la situazione della sposa troiana. 
 
 Particolarmente significativo dell'alta condizione della donna nell'epos omerico, è il  consiglio che Nausicaa dà a Ulisse nel VI canto: il naufrago deve chiedere aiuto non al re ma alla regina sua madre se vuole vedere il dì del ritorno (vv. 310-315).
  "La posizione sociale della donna non fu mai più, presso i Greci, così elevata come sul declinare del periodo cavalleresco omerico. Arete, la consorte del principe dei Feaci, è onorata dal popolo come una dea. Ne compone i litigi col suo presentarsi e determina le decisioni del marito col suo intervento o col suo consiglio[21]. Per ottenere di ritornare ad Itaca con l'aiuto dei Feaci, Odisseo, dietro suggerimento di Nausicaa, non si rivolge in primo luogo al padre di lei, al Re, ma abbraccia implorando le ginocchia della sovrana, ché decisiva è la benevolenza di questa per far esaudire la preghiera[22]. Quanta sicurezza nel contegno della stessa Penelope, così sola e abbandonata, di fronte allo sciame dei pretendenti che tumultuano protervi: ella infatti può sempre contare sul rispetto assoluto della sua persona e della sua dignità di donna[23]. I modi cortesi dei nobili signori con le donne del loro ceto è prodotto di un'annosa cultura e di un'alta educazione sociale. La donna è rispettata e onorata non solo quale essere socialmente utile, come nella famiglia contadina secondo l'insegnamento d'Esiodo[24], né solo quale madre della prole legittima, come nella borghesia greca posteriore, per quanto anche per i nobili, appunto, fieri del proprio albero genealogico, la donna debba avere importanza quale genitrice di un'eletta stirpe[25]. Essa è la rappresentante e la custode d'ogni elevato costume e tradizione. Questa sua dignità spirituale influisce anche sul comportamento amoroso dell'uomo. Nel primo canto dell'Odissea , che rappresenta in tutto idee morali più raffinate che le parti più antiche dell'epopea, troviamo un tratto notevole quanto alla relazione tra i due sessi. Quando Euriclea, la fida e onorata servente, scorta con la fiaccola Telemaco sino alla stanza da letto, il poeta, al modo epico, ne narra brevemente la vita. Il vecchio Laerte la comperò un giorno, quand'era una bella fanciulla, a carissimo prezzo. Per tutta la vita la tenne nella sua casa in onore pari a quello in cui era la nobile consorte, ma, per riguardo a questa, senza mai divider con essa il letto"[26].


Nel VI canto dell'Odissea Ulisse augura a Nausicaa quello che secondo lui è il bene più grande che le possa capitare. Versi 180-185  in greco.
Traduzione.
"A te gli dèi concedano tanto quanto tu desideri nel tuo cuore,/un uomo (a[ndra) e una famiglia e la concordia degli animi (oJmofrosuvnhn, 181) vi diano/nobile: infatti non c'è nulla di più forte e prezioso (kreĩsson kai a[reion) di questo,/di quando concordi (oJmofronevonte) nei pensieri reggono la casa/l'uomo e la donna: molto dolore per i malevoli,/e gioie per i benevoli; ma soprattutto ne hanno buona fama loro"(vv. 180-185 ). - a[ndra : ho preferito tradurlo con "uomo" invece del tradizionale "marito".
Tanti mariti infatti non sono uomini cfr. Dostoevskij, Parini)
 Una donna non potrebbe augurarsi un marito che non fosse anche un uomo, e in effetti tanti mariti sono uomini apparenti. Ecco perché Temistocle dei due pretendenti alla mano della figlia scelse quello che era un uomo a quello ricco dicendo: preferisco un uomo senza denaro al denaro senza uomo[27] e[fh zhteĩn a[ndra crhmavtwn deovmenon mãllon h] crhvmata ajndrovς. Disse che cercava
Similmente la Giovanna amata da Federigo degli Alberighi, riconosciuta la grandezza dell'animo di quell'uomo che aveva perso tutto il suo patrimonio per corteggiarla, volle sposarlo dicendo:"ma io voglio avanti uomo che abbia bisogno di ricchezza che ricchezza che abbia bisogno d'uomo"[28].
Del  resto poi lo sposo prescelto divenne pure "miglior massaio".
- oJmofrosuvnhn: indica lo stesso modo di sentire e pensare che è imprescindibile per l'accordo di una coppia; anzi, quando c'è questa condizione invidiabile, nessuna opposizione, nessun incidente, può sciuparla o mortificarla. In questo caso l'amore non è volgare. Non solo: tale similitudine e concordia di anime (oJmov" e frhvn) arriva alla fusione reciproca o alla trasfusione dell'una nell'altra.
Nel Simposio  di Platone, Pausania distingue l'amore volgare, figlio di Afrodite Pandemia, da quello celeste, figlio di Venere Celeste appunto; ebbene l'amante volgare (oJ ejrasth;" oJ pavndhmo" ) si innamora piuttosto del corpo che dell'anima (oJ tou' swvmato" ma'llon hj; th'" yuch'" ejrw'n, ) e non è costante, poiché ama una cosa che non è costante: non appena appassisce il fiore del corpo, vola via lontano, disonorando le sue parole e le sue promesse; quello invece che si entusiasma per un carattere nobile ne resta innamorato per tutta la vita , poiché si è fuso con qualche cosa di stabile ( ejrasth;" dia; bivou mevnei, a{{te monivmw/ suntakeiv" 183e-sunthvkw). 
Tiziano dipinse nel 1514 un'opera neoplatonica che raffigura Amor sacro e amor profano in due donne, una vestita e una quasi nuda; ebbene la Venere volgare è quella vestita e adorna di effimeri orpelli terreni, mentre la svestita rappresenta la Venere Celeste: la sua nudità infatti significa la bellezza eterna, universale, e la verità filosofica, mentre una fiamma tenuta alta nella mano sinistra simboleggia l'amor di Dio.
Il dipinto, a olio su tela, si trova a Roma nella Galleria Borghese.
Infatti, rimanendo sulla pittura italiana del Cinquecento, ne La scuola di Atene [29] di Raffaello, dove sono raffigurati i maggiori filosofi dell'età classica, Platone con la mano destra indica il cielo e Aristotele la terra.
 Il passaggio dall'uno all'altro amore viene sentito e dichiarato dal passionale Dimitri Karamazov:"questo amore mi tortura, mi tortura!...Prima, mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[30].
 Esiste una versione latina di questa trasfusione di anime che, pur se prelude a un tradimento, e quindi, dentro il contesto, può far pensare a una "cinica autoironia"[31] del narratore, rievoca in endecasillabi faleci una notte d'amore, omosessuale oltretutto, comunque con una delicatezza e una profondità degna della migliore poesia amorosa latina:"qualis nox fuit illa, di deaeque,/quam mollis torus. haesimus calentes/et transfudimus hinc et hinc labellis/errantes animas. valete, curae/mortales. ego sic perire coepi " (Satyricon, 79), che notte fu quella, dei e dee, che morbido letto. ci stringemmo ardenti e ci trasfondemmo con le labbra a vicenda le anime deliranti. addio, affanni mortali. così io cominciai a morire.
Si tratta di una mezza nottata di amore tra Encolpio e Gitone che però viene sottratto a Encolpio da Ascilto iniuriae inventor…oblitus iuris umani (79)
Anche quando non si arriva alla fusione, l'accordo e l'intesa costituiscono la forza e la coesione inscindibile della coppia.         
Nell'Andria di Terenzio, Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
 
Del resto il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il  volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
 
Similmente Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale...L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[32]. Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[33].
- krei'sson (182) comparativo di solito collegato ad ajgaqov" ( da una radice ajgaq- imparentata con il tedesco gut  e l' inglese good  ) ma formato sulla radice krat-/kret-/kart-che si trova in kravvvvvvvvvvvvto", "potenza". Indica quindi una superiorità in termini di forza.
In effetti una coppia solidale è una potenza.
 
 
 
Leopardi nella Storia del genere umano sostiene che il massimo della felicità e della forza amorosa è concessa da "Amore, figliuolo di Venere Celeste". E spiega:" Quando viene in sulla terra sceglie i cuori più teneri e più gentili delle persone più generose e magnanime; e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina e mirabile soavità, ed empiendoli di affetti nobili e di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa del tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge due cuori insieme, abbracciando l'uno e l'altro a un medesimo tempo e inducendo scambievole ardore e desiderio in ambedue; benché pregatone con grandissima istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non gli consente di compiacergli, trattone alcuni pochi; perché la felicità che nasce da tale beneficio è di troppo breve intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l'essere pieni del suo nume vince per sé qualunque più fortunata condizione fosse in alcuno uomo ai migliori tempi". 
L'altro comparativo (a[reion, v. 182) anch'esso  collegato ad ajgaqov", è formato sulla radice ajr(e)- che si trova anche in ajrethvv , "virtù".
A proposito di questa graduatoria, che considera quale "cosa più bella" l'accordo con il compagno o la compagna, possiamo utilizzare la favola ovidiana di Filemone e Bauci che, dopo avere accolto e ospitato piamente nella loro casetta agreste Giove e Mercurio respinti da altri abitanti, empi del luogo[34], ottengono in premio la possibilità di vedere esaurito un desiderio. Ebbene i due vecchi sposi si consultano, quindi Filemŏne esprime il desiderio comune: essere sacerdoti custodi del tempio degli dèi e di morire nello stesso momento " poscimus, et quoniam concordes egimus annos,/auferat hora duos eadem, nec coniugis umquam/busta meae videam neu sim tumulandus ab illa" (Metamorfosi , VIII, 708-710), vi preghiamo, poiché abbiamo passato concordi tanti anni, che la stessa ora ci porti via insieme, né io veda mai la tomba della mia sposa né debba essere sepolto da lei.
 
Passando al Novecento, l'Ulisse di Joyce  impiega tale tovpo" quando Leopold Bloom "Abbassa gli occhi al volto e alla figura di Stephen ", lo osserva con amore paterno e gli fa un augurio:"Il viso mi ricorda la sua povera mamma. Il profondo seno bianco....Una ragazza. La miglior cosa che possa capitargli"[35]
Il verbo oJmofronevonte ( v. 183) è participio presente duale non contratto (=oJmofronou'nte) da oJmofronevw  riprende la oJmofrosuvnh del v. 181.
  Odisseo dunque insiste sulla concordia affettiva e mentale. Egli comunque non si innamora della ragazza:"Bisogna prendere congedo dalla vita come Odisseo da Nausicaa-benedicendola, più che restandone innamorati"[36].
Snell parte da oJmovfrwn di Iliade  XXII, 263 e nota che " L'Odissea  conosce due derivati da questa parola: il nome oJmofrosuvnh, cioè la condizione di avere la stessa mente, e il verbo oJmofronevein, "avere la stessa mente". Entrambi si trovano nel canto VI (vv. 180 sgg.)[37]. Odisseo augura a Nausicaa[38].....Anche qui le parole greche cercano di spiegare, un pò laboriosamente e a fatica, che Odisseo ha in mente più che la comunione convenzionale, qualche cosa di intimo e caloroso; anche qui, tuttavia, è conservato il modo di vedere primitivo: si tratta del comportamento pratico verso amici e nemici. Quando parla di unanimità, Omero si riferisce sempre a una comunità consacrata per tradizione: famiglia, consiglio e assemblea, esercito e gruppo di combattimento; in questa"unanimità", dunque, alcuni individui danno uno speciale contenuto ai legami comunitari tradizionali, ma non fondano forme sociali nuove"[39].
Quanto ai nemici di chi ama ( dusmenevessi , i maldisposti v. 184), costoro sono i produttori e i mercanti delle cose inutili o nocive che uomini e donne devono comprare per gratificarsi  compensando, male, l'incapacità di amare.
Concludo il commento  ai versi omerici con l'esordio del discorso di Aristofane (445 ca a. C.-388) nel Simposio  platonico che è un elogio incondizionato del dio Eros: è il dio che più ama gli uomini (qew'n filanqrwpovtato", 189d), ") poiché è il loro soccorritore e il medico di quei mali, una volta guariti i quali, ci sarebbe grande felicità per il genere umano:" ejpikourov" te w]n tw'n ajnqrwvpwn kai; ijatro;" touvtwn w|n  ijaqevntwn megivsth eujdaimoniva a}n tw`/  ajnqrwpeivw/ gevnei ei[h (189d).
Quindi Aristofane procede spiegando la potenza (th;n duvnamin) di questo dio. Una potenza, abbiamo visto riconosciuta da Leopardi che pure si sentì negata "anche la speme"[40].
 
 Nella letteratura europea ha avuto più spazio la calunnia, la quale identifica l'amore con il male, che questa grande verità dell'Aristofane di Platone.
Questo  luogo dell'Odissea  viene ripreso da Euripide nel prologo della Medea , pur con un arretramento di posizione: la salvezza più grande, afferma la nutrice, accontentandosi di un bene minore, sta nel fatto che la donna non sia in disaccordo con l'uomo:" h{per megivsth givgnetai swthriva-o{tan gunh; pro;" a[ndra mh; dicostath'/" (vv. 14-15). Ma sappiamo che nemmeno questo viene concesso alla maga della Colchide e all'eroe tessalo.
Ricorro ancora a Joyce per indicare una possibilità di accordo salvifico, perfino della stima e dell'amore dovuti all'attrazione e all'ammirazione, anche in condizioni difficili, addirittura in presenza e con coscienza dell'adulterio :" Molly dà dei punti a tutte. E' il sangue del sud. Moresco. Anche la forma, la linea. Mani cercavano le opulente. Fa un po' il paragone con quelle altre. Moglie chiusa in casa, segreto di famiglia. Mi permetta di presentare la mia. Ed ecco che ti tirano fuori qualcosa d'indefinito, non sai come chiamarla...Come l'uomo e la donna. Calamita e acciaio. Molly e lui[41]....Perché io? Perché eri così diverso dagli altri[42]...la loro compagna più bruna con non so quale fascino nella sua posa, Nostra Signora delle Ciliegie, con un grazioso orecchino formato da due di esse, per dare risalto alla calda tinta esotica della pelle in delicato contrasto con il fresco frutto ardente[43]".
Certamente non piccola parte dell'inclinazione verso la persona amata  dipende dall'attrazione fisica:" Mia moglie è , per così dire spagnola, a metà per meglio dire...Ha il tipo spagnolo. Piuttosto scura, una vera bruna, nera di capelli. Io, per quel che mi riguarda, sono fermamente convinto che il carattere dipende dal clima"[44]. Una convinzione questa, un tovpo" , già presente in Erodoto. Il capitolo finale delle Storie  (IX, 122) contiene un monito  attribuito a Ciro, il fondatore dell'impero persiano. Alcuni sudditi gli avevano proposto di trasferire il popolo dei Persiani dalla loro terra "piccola, scabra e montuosa" in un'altra "migliore". L'occasione era offerta dalla vittoria sul re dei Medi Astiage. Ma Ciro li scoraggiò dicendo che "da luoghi molli di solito nascono uomini molli ("filevein ga;r ejk tw'n malakw'n cwvrwn malakou;" a[ndra" givnesqai", IX, 122, 3): infatti non è della stessa terra produrre frutti meravigliosi e uomini valenti in guerra. Sicché i Persiani si allontanarono desistendo, vinti dal parere di Ciro, e preferirono comandare abitando una terra infeconda piuttosto che essere servi di altri coltivando pianure fertili. Questo passo finale dell'opera di Erodoto trova una certa corrispondenza nello scritto del Corpus Hippocraticum[45]  Peri; ajevrwn, ujdavtwn, tovpwn, Sulle arie, le acque, i luoghi di probabile paternità ippocratica[46].
  Entrambe le opere infatti affermano che c'è una "unità indissolubile" tra la terra, il clima, gli uomini e "le forme della loro esperienza umana[47]".
C'è pure in Joyce come si è visto.
 Si diceva dell'importanza dell'attrazione fisica. Il richiamo visivo è più profondo quando viene dagli occhi. Il legame di coppia, anche il più spirituale, riceve il primo e basilare impulso dall'attrazione fisica. Atena rende Odisseo più attraente affinché Nausicaa, vedendolo, se ne innamori:"Atena, prole di Zeus, lo rese più grande a vedersi e più robusto (meivzonav t j eijsidevein kai; pavssona ), e dal capo folti fece scendere i capelli, simili ai fiori del giacinto (Odissea , VI, 229-231).
 
La somiglianza più alta dell'essere umano è quella con gli dèi immortali. La consegue Odisseo in seguito all'intervento di Atena  Nausicaa dice alle ancelle:" prima in effetti mi sembrava davvero essere uno volgare (ajeikevlio" ) , ma ora assomiglia agli dèi (nu'n de; qeoi'si e[oike) che abitano l'ampio cielo ( Odissea , VI, vv. 242-243).   Questa similitudine con dio costituisce per la creatura dotata la più alta forma di identificazione, il massimo della sua identità: "quando è privo di ogni charis, l'essere umano non assomiglia più a nulla: è aeikelios . Quando ne risplende, è simile agli dei, theoisi eoikei . La somiglianza con se stessi, che costituisce l'identità di ciascuno e si manifesta nell'apparenza che ognuno ha agli occhi di tutti, non è dunque presso i mortali una costante, fissata una volta per tutte. Tra i due poli opposti del non rassomigliare a nulla e del rassomigliare agli dèi, essa si situa in posizioni variabili a seconda del prestigio o della celebrità di cui uno gode, della paura e del rispetto che uno ispira...La grazia e la bellezza del corpo, facendo vedere chi siete, danno la misura della vostra time, della vostra dignità o della vostra infamia".
Viceversa:"A volte capita che anche gli uomini tentino di fare ciò che gli dèi possono realizzare facilmente, ma in peggio, quando cercano di distruggere nel cadavere di un nemico odiato ogni rassomiglianza del morto con lui stesso. Oltraggiando il suo corpo, sfigurandolo, strappandogli la pelle, smembrandolo, lasciandolo imputridire al sole o divorare dagli animali, si vuol far scomparire ogni traccia della sua figura e della sua antica bellezza per non lasciare di lui che orrore e mostruosità. Oltraggiare - cioè imbruttire e disonorare a un tempo si dice aeikizein , rendere aeikes  o aeikelios  , non simile "[48]. ajeikivzw, ajeikhvς , ajeikevlioς
Per comprendere questa riflessione bisogna ricordare che ajj -eikhv" è formato sulla radice eijk-/oijk-/ijk-  come e[oika, "sono simile", quindi significa "indegno" e "dissimile", ossia, secondo Vernant, indegno di se stesso e dissimile da se stesso.

Gli occhi
 
L'attrattiva particolare degli occhi. Il legame dello sguardo con l'amore. Oculi sunt in amore duces . Gli occhi come simbolo dei genitali.
Per risalire verso gli archetipi di questa considerazione ci fornisce alcune indicazioni Leopardi.
L'importanza capitale degli occhi nel sembiante divino e umano viene chiarita dal poeta di Recanati nello Zibaldone  :"Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore  apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(2546-2548).
In effetti Dafni, l'innamorato del romanzo di Longo Sofista   nota che gli occhi di Cloe erano "megavloi kaqavper boov"" [49], grandi come quelli di una giovenca.
Il nesso tra lo sguardo e la brama amorosa viene evidenziato da Teocrito[50] quando, nell'Epitalamio di Elena , fa lodare la bellezza della sposa di Menelao da un coro di fanciulle spartane le quali mettono in rilievo che il desiderio è suscitato soprattutto dagli occhi di lei: "wJ"  JElevna, ta'" pavnte" ejp j o[mmasin  i{meroi ejntiv", come Elena nei cui occhi risiedono tutte le seduzioni (XVIII, 37).
 Gli occhi infatti lanciano strali amorosi e pure li ricevono, talora con profonde ferite.
Saffo[51] nel frammento 2 D. lamenta la perdita dell'uso della lingua e degli occhi colpiti da paralisi in seguito alla visione dell'amata : "appena infatti ti guardo per un momento, allora non / è permesso più che io dica niente / ma la lingua mi rimane spezzata… / e con gli occhi non vedo nulla (v 7-9 e v. 11).
Catullo[52], traducendo l'ode della poetessa greca, denuncia con spavento la totale afonia e l'oscuramento visivo che nasce da un'occhiata amorosa: "nam simul te, / Lesbia, aspexi, nihil est super mi / postmodo vocis, / lingua sed torpet… geminā teguntur-lumina nocte. " (51, 6-9, 11-12), infatti appena ti vedo, Lesbia, non mi rimane nemmeno un filo di voce in bocca, ma la lingua si paralizza... gli occhi si coprono di una doppia notte.
Più avanti vedremo l'insieme di queste due liriche e le commenteremo da un' altra visuale.  
Quale attrattiva di Cinzia ha catturato Properzio[53] per sempre se non gli occhi? La prima elegia dei quattro libri del "romano Callimaco" si apre nel nome e con gli occhi di Cinzia: "Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis " (I, 1, 1), Cinzia per prima ha preso me infelice con i suoi occhi; una cattura non solo dolorosa ma anche definitiva: "Mi neque amare aliam neque ab hac desistere fas est: /  Cynthia prima fuit, Cynthia finis erit " (I, 12, 19-20),  io non posso amare un'altra né staccarmi da lei: Cinzia è stata la prima, Cinzia sarà l'ultima.
Vedremo che la fedeltà del poeta, nella sua immaginazione, andrà oltre la morte.
Gli occhi, ribadisce più avanti Properzio, per chi ancora non l'avesse capito, sono i comandanti nella guerra amorosa:"si nescis, oculi sunt in amore duces " (II, 15, 12).
Dagli occhi parte la ricerca amorosa anche secondo Ovidio[54], poeta tutt'altro che incline a suggerire la fedeltà eterna.
Il Sulmonese che consiglia di usare l'argomento "tu mihi sola places" come mezzo di seduzione, fa scattare l'operazione erotica dallo sguardo scrutante dell'uomo il quale deve individuare e mettere nel mirino la preda adatta, ossia non impossibile:"elige cui dicas " tu mihi sola places". /  Haec tibi non tenues veniet delapsa per auras; / quaerenda est oculis apta puella tuis" (Ars amatoria [55], vv. 42-44), scegli una cui dire: "tu sola a me piaci". Questa non ti verrà incontro scendendo per i soffi leggeri dell'aria; con i tuoi occhi devi cercare la ragazza adatta.
Nell'esordio poetico degli Amores [56] , e con il tono del lusus  ironico di derivazione callimachea, lontano comunque dal pathos di Catullo e di  Properzio, Ovidio aveva scritto:"Non mihi mille placent, non sum desultor amoris" ( I, 3, 15) a me non ne piacciono mille, non sono un saltimbaco dell'amore.
L'ironia porta al lettore l'eco rovesciata di questa affermazione.
Nella Vita Nuova di Dante[57] si ritrovano gli occhi della donna mirabile che ingentilisce l'oggetto dei suoi sguardi: "Ne li occhi porta la mia donna Amore, /  per che  si fa gentil ciò ch'ella mira/ (cap. XXI, sonetto Ne li occhi porta, vv. 1-2).
"dico sì come questa donna riduce questa potenzia in atto secondo la nobilissima parte de li suoi occhi", commenta l'autore stesso.
  La potenza dello sguardo di lei del resto può anche avere effetti paralizzanti, non senza vaghi echi catulliani :"ov'ella passa, ogn'om ver lei si gira,/e cui saluta fa tremar lo core,/sì che, bassando il viso, tutto smore,/…" (Ne li occhi porta, vv. 3-5. Gli echi catulliani sono più evidenti nel sonetto Tanto gentile del XXVI capitolo:"  Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia quand'ella altrui saluta, / ch'ogne lingua deven tremando muta, / e li occhi no l'ardiscon di guardare… Mostrasi sì piacente a chi la mira, / che dà per li occhi una dolcezza al core" (vv. 1-4, 9-10).
Sant' Agostino personaggio del Secretum di Petrarca, ricorda a Francesco [58]  la pericolosità dello sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger d'occhi  risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis species , luxuriam incendit; levis oculorum flexus, amorem dormitantem excĭtat " ( III, 50). E’ un dialogo di tre giorni tra Tetrarca e Agostino. I peccati di Francesco sono l’amore per Laura e il desiderio della gloria. (1358). Francesco confessa “l’amarissimo gusto delle ricadute”.
Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute  di Shakespeare[59] Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato come una pecora, ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico, e rappresentano i libri, le arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero; senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3).   
Sicché l'amore  viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy de Maupassant (1850-1893) :" Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[60].
Gli occhi delle donne che ci attirano non sono solo delle cose belle  secondo Proust (1871-1922) insomma non sono soltanto materia:"Se pensassimo che gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi che conosce…le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[61].
Anche Svevo (1861-1928)  ha capito che l'attrazione più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto…Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[62].
T. Mann (1875-1955) spiega, a ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere...ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[63].
 Molto più avanti[64] si legge :" Quando il desiderio carnale...s'è fermato sopra una persona con un determinato viso, allora si parla d'amore. Io non desidero soltanto il suo corpo, la sua carne; anzi dico che se nel suo viso qualche cosa anche piccola fosse diversamente conformata, probabilmente non desidererei più neppure il suo corpo...Questo dimostra che amo l'anima sua e l'amo con l'anima. Poiché l'amore per il viso è amore spirituale".
Gli occhi sono comunque legati all'amore e al sesso
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[65].
 "Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[66].
 
Torniamo a Joyce e al tema dell’adulterio.
 Leopold Bloom tira fuori la foto di Molly per mostrarla a Stephen, il giovanotto che era "di gran lunga il meglio di tutto il mazzo", e gliela illustra così:"Mrs. Bloom, mia moglie la prima donna [67] ...E poi diceva che il ritratto era bello, il che, si dica quel che si vuole, era vero, per quanto attualmente ella fosse decisamente più grossa " [68].
Tornato a Itaca, ossia a casa, in Eccles Street 7, Ulisse- Bloom si pone una serie di domande rispondendosi da solo. E dice a se stesso che il letto non deserto ma occupato dalla moglie presenta  questi vantaggi :"La rimozione della solitudine notturna, la qualità superiore della calefazione umana (femmina matura) a quella inumana (bottiglia dell'acqua calda), lo stimolante del contatto mattutino...[69]" e qualcos'altro.
Meglio una moglie adultera quindi che la bottiglia dell'acqua calda. "E poi? Egli baciò i tondi molli gialli aulenti meloni del sedere, su ciascun tondo melonoso emisfero, nel loro molle solco giallo, con oscura prolungata melonaulente osculazione" (p. 979).
Nell'ultimo capitolo Molly-Penelope sembra contraccambiare, se non altro, la simpatia del marito e minimizza l'importanza dell'adulterio che non basta a eliminare un'intesa profonda. Il  pensiero della donna torna sempre al suo Ulisse  cui vorrebbe offrire un'occasione per ristabilire dei rapporti sessuali normali:"Ill just give him one more chance"; gli porterà la colazione a letto, si vestirà davanti a lui per eccitarlo:" Ill put on my best shift and drawers let him have a good eyeful out of that to make his micky stand ", mi metterò la mia camicia migliore e le mutande, facciamogli vedere qualche cosina in modo da fargli rizzare il cinci[70]…è tutta colpa sua se sono un'adultera come diceva quello là in loggione. Oh quanto chiasso se fosse tutto qui il male che facciamo in questa valle di lacrime lo sa Iddio che non è poi un gran che tutti lo fanno solo che non si fanno vedere io penso che questo è quel che si pensa ci sta a fare una donna o Lui non ci avrebbe fatto come ci ha fatto così attraenti per gli uomini poi se vuol baciarmi il sedere mi spalancherò le mutande e glielo spiattellerò in faccia grosso al naturale..." (p. 1044).
Molly rappresenta la naturalezza che spesso manca agli uomini; anzi E. Pound  interpreta questa donna come "Gea-Tellus, simbolo della Terra... il suolo dal quale l'intelletto tenta di saltare via, e nel quale  ricade in saecula saeculorum."  L'assimilazione della donna alla terra, vedremo, è topico nella letteratura antica.
 Intanto mi preme indicare un'altra adultera che nega ogni significato al suo tradimento: si tratta della Clitennestra della Yourcenar che fa l' autodifesa:"Signori della Corte, esiste un solo uomo al mondo: il resto, per ogni donna, non è che un errore o un malinconico surrogato. E l'adulterio non è sovente che una forma disperata della fedeltà. Se qualcuno io ho tradito, si tratta certamente di quel povero Egisto. Avevo bisogno di lui per sapere fino a che punto fosse sostituibile colui che amavo"[71].
L' indulgenza verso l'adulterio del resto non se l'è inventata la Penelope di Joyce né la Clitennestra della Yourcenar: si trova già in Saffo (VII-VI sec. a. C.), in  Menandro e addirittura nelle parole di Cristo. Viceversa Catullo lo condanna, ma non sempre.
Vediamo l'ode più ideologica di Saffo, quella chiamata "La cosa più bella"(fr. 16 LP):"alcuni una schiera di cavalieri, altri di fanti,/altri di navi dicono che sulla terra nera/sia la cosa più bella, io quello/che uno ama./Ed è facile assai rendere questo/comprensibile a ognuno: infatti quella che di gran lunga superava/nella bellezza gli esseri umani, Elena, dopo avere lasciato/il marito che pure era il più valoroso di tutti,/andò a Troia navigando/e non si ricordò per niente della figlia/né dei suoi genitori, ma Cipride la/trascinò, in preda all'amore. (vv. 1-12)...Anche a me ora ha[72] fatto ricordare/di Anattoria assente./Di lei ora vorrei vedere l'amabile passo/ e il fulgido scintillio del volto/piuttosto che i carri dei Lidi e i fanti/che combattono nell'armatura". (vv. 15-20)
Saffo afferma il proprio gusto di persona e di donna: al mondo maschile della guerra, quando la Lidia era una grande potenza militare, ella contrappone quello femminile dell'amore, e non dell'amore matrimoniale, bensì dell'Eros come rapimento dei sensi e dell'anima travolti da Afrodite.
Comincia di qui la palinodia su Elena[73], una rivalutazione che però non ha bisogno, come quelle operate da Stesicoro (VII-VI sec. a. C.) e da Euripide, (nell' Elena del 412 ) di sostenere che la bella donna in realtà rimase fedele a Menelao, siccome a Troia andò solo un fantasma; né adduce il motivo patriottico, come farà Isocrate[74]  nell' Encomio di Elena[75]  sostenendo che la splendidissima fu la causa dell'unità del mondo greco contro la barbarie asiatica (67) in una guerra che prefigurò l'unità antipersiana auspicata dall'oratore; né deve accumulare una caterva di giustificazioni come  Gorgia, il maestro di Isocrate, nel suo Encomio di Elena :" ella in ogni caso sfugge all'accusa poiché fu presa da amore, fu persuasa dalla parola, fu rapita con la violenza, e fu costretta da necessità divina"(20); infatti la riabilitazione di Saffo è semplice e diretta: la poetessa approva la scelta amorosa della donna che ha seguito il richiamo della cosa più bella, un uomo che le piaceva più del marito, e quindi ha lasciato Menelao, senza tenere conto di convenzioni sociali, convenienze economiche o pastoie di qualsiasi genere[76]..
 Cfr. le Troiane di Euripide.
 
Vediamo altri casi di comprensione per l'adulterio, anzi proprio per l'adultera. Ne L'arbitrato  (Epivtreponte"), commedia di Menandro (attivo tra il 320 e il 292 a. C.) troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il marito che si crede tradito, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie Panfile, presunto, ma da lui ritenuto reale, è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j , v. 594).
Il protagonista di questa commedia  ripropone la formula antica della dovxa , la reputazione, ma poi la supera con quel "io l'uomo senza peccato", ejgwv ti" ajnamavrthto",  che anticipa il Vangelo  di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp& aujth;n balevtw livqon (8, 7). Qui non si tratta di un adulterio presunto. Infatti gli scribi e i farisei portano al tempio una donna còlta in adulterio (mulierem in adulterio deprehensam, gunaĩka ejpi; moiceiva kateilhmmevnhn ) e chiedono al Cristo, che insegnava in quel luogo, se dovesse essere lapidata secondo la legge mosaica. Lo dicevano per metterlo alla prova e magari poterlo accusare. Gesù allora si diede a scrivere con il dito sulla terra. E siccome lo incalzavano, il Redentore rizzatosi disse loro:" qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat  ". E riprese a scrivere per terra. Tutti gli altri uscirono, e il Cristo, rimasto solo con la donna, la assolse, come tutti gli altri, aggiungendo:"vade et amplius iam noli peccare " (8, 11), vai e non peccare più. Che significa: scegli tra i due uomini quello che ami. Certamente non il marito.
 "La comprensione permette di considerare l'altro non solo come ego alter, un altro individuo soggetto, ma come alter ego, un altro me stesso con cui comunico, simpatizzo, sono in comunione. Il principio di comunicazione è dunque incluso nel principio d'identità e si manifesta nel principio di inclusione"[77].
A volte la lapidazione viene attuata attraverso le calunnie che colpiscono la donna indicata come adultera soltanto perché è bella e intelligente: come Marta, L'esclusa di Pirandello[78] :"Aveva voluto vendicarsi nobilmente, risorgere dall'onta ingiusta col proprio ingegno, con lo studio, col lavoro? Ebbene, no ! Da umile, oltraggiata; da altera, lapidata di calunnie. E questo, in premio della vittoria! E amarezze, ingiustizie, e quell'esistenza vuota per sé, esposta alle brame orrende d'un mostro, ai gracili, timidi desiderii d'un povero di spirito, alle pettorute vigliaccherie di quell'altro; sassi, spine ovunque, per quella via lontana dalla vita" (p. 133). 

Riporto anche alcune condanne dell'adulterio.
Teocrito nell' Encomio di Tolomeo (XVII) fa l'elogio del padre e della madre del Filadelfo ossia di Tolomeo I Soter e Berenice che si piacevano e amavano reciprocamente: mai nessuna donna piacque al marito quanto Tolomeo amò la sua sposa. Ebbene lei lo contraccambiò e questa è la condizione per la quale un uomo può affidare la casa ai figli:"oJppovte ken filevwn baivnh/ levco" ej" fileouvsh"". (XVII, 42), quando innamorato entri nel letto di lei innamorata.
Le nozze, seppure endogamiche, dei loro figli Tolomeo II Filadelfo e Arsinoe sono altrettanto sante; anzi il loro iJero;" gavmo" (XVII, 130) matrimonio sacro è assimilato alla ierogamia di Era e Zeus, fratello e sorella anche loro.

 Altrimenti c'è la rovina del gevno" : l'animo di una donna che non ama  è rivolto sempre a uno di fuori, i parti sono facili e i figli non assomigliano al padre (vv. 43-44).
La moglie fedele dunque è necessaria per garantire la trasmissione del patrimonio accumulato a figli "di paternità indiscussa".
Secondo F. Engels (1820-1895) è questa la ragione più vera della famiglia monogamica e della sottomissione della donna:"la monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[79].
Ma torniamo alla fedeltà delle spose dei primi Tolomei. 
Catullo  nel carme 66 traduce la Chioma di Berenice di Callimaco e aggiunge cinque distici ( 79-88) che contengono un biasimo dell'adulterio. La storia d'amore è nota. La regina  aveva promesso di offrire  la propria capigliatura al tempio di Arsinoe Zefirite se suo marito Tolomeo III Evergete (246-221) fosse tornato sano e salvo dalla spedizione contro Seleuco II re di Siria (246 a. C.). Sciolto il voto, la treccia sparì e l'astronomo Conone affermò di averla scoperta in cielo in una costellazione dove gli dèi l'avevano assunta.
 Callimaco per assecondare questo elogio cortigianesco raccontò l'episodio in distici elegiaci e lo inserì negli Aitia . "Questo poeta rese omaggio anche in altre occasioni alle donne della famiglia reale, e quando l'astronomo di corte Conone riscoprì in cielo, trasformata in costellazione, la ciocca di capelli che la moglie dell'Evergete aveva deposto in un tempio come offerta votiva per il felice ritorno del marito, il poeta, ormai vecchio, dedicò alla giovane regina un galante carme augurale, la Chioma di Berenice, che dovette indubbiamente esser letto con la stessa sorridente intelligenza con cui era stato composto. Da allora, nel regno tolemaico, le donne ebbero sempre una posizione di rilievo nella politica, fino alla diabolica Cleopatra, che seppe incantare con i suoi vezzi un Cesare e arrivò a sognare di stabilirsi, signora del mondo, sul Campidoglio a fianco di Antonio"[80].

Dunque Berenice maior è moglie di Tolomeo I; Arsinoe di Tolomeo II; Berenice minor di Tolomeo III.

Igino, liberto di Augusto e rettore della nuova biblioteca voluta dal princeps  sul Palatino, dà notizia di questi fatti:"sunt aliae septem stellae ad caudam leonis, in triangulo conlocatae, quae crines Berenices esse Conon Samius...et Callimachus dicit " (De astronomia , II, 24), ci sono altre sette stelle alla coda del leone disposte a triangolo, e di queste Conone di Samo e Callimaco affermano che sono la chioma di Berenice.  Il bibliotecario aggiunge il commento che Conone voleva entrare nelle grazie dell'Evergete disturbato dalla sparizione di quei capelli.
  Catullo fa altro: dà voce al rimpianto della treccia per la testa della regina:"invita, o regina, tuo de vertice cessi " (v.39), con un esametro che sarà ripreso da Virgilio (Eneide  VI, 460 invitus regina tuo de litore cessi), quindi rielabora la maledizione callimachea, la quale forse trae origine da Erodoto[81], dei Calibi-Iupiter ut Chalibon[82] omne genus pereat!48- che hanno scoperto il ferro responsabile di quel distacco; poi attribuisce alla splendente capigliatura un'esecrazione delle donne adultere e un auspicio della benedetta concordia tra gli sposi:"Sed quae se impuro dedit adulterio,/illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis;/namque ego ab indignis praemia nulla peto./Sed magis, o nuptae, semper concordia vestras/semper Amor sedes incolat assiduus " (66, vv. 84-88), ma quella che si concede all'impuro adulterio, ah! la polvere leggera beva inutilmente le sue offerte malvagie; infatti io non voglio offerte dalle donne indegne. Ma piuttosto, o spose, sempre la concordia abiti le vostre dimore, sempre un amore duraturo.
La polvere è un segno negativo già nella tragedia greca. Vediamo questi versi dell'Antigone :":"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce ( favo" ) nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue (foiniva...kovni") /degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (vv.599-603). Qui vediamo un'alternanza di luce, polvere e sangue.
"Poiché la lezione della saggezza tragica è che il grado estremo della sofferenza, quando consuma e fa a pezzi la vita, libera una luce nascosta nel luogo più refrattario alla diafanità, la caverna cieca che è il cuore dell'uomo"[83].
Contro la luce vitale  ci sono, quali segni di morte, il sangue degli omicidi, la polvere della sterilità e  la pazzia. Nell'Agamennone  di Eschilo  la  polvere è definita "assetata sorella del fango" (vv. 494-495) . Generalmente essa costituisce un segno non  buono, siccome richiama aridità e sterilità.

La concordia , l'abbiamo visto nella oJmofrosuvnh di Omero, è il presupposto necessario dell'amore duraturo.
 Catullo ha pure tradotto in latino un' ode di Saffo, quella della paralisi indotta dall'amore (fr. 31 LP) aggiungendo una gnome sull'otium che in qualche modo allude negativamente a Elena di Troia.
 
Diciamo due parole in generale su questo poeta che per la prima volta rende la donna e l'amore protagonisti della poesia latina.
A partire dal liber del Veronese, e nella successiva elegia, l'amore diviene un'esperienza totalizzante e la femmina umana assume il ruolo  della dominatrice, la vera domina  nella relazione che dunque per l'uomo amante diventa un servitium. Con Catullo comincia a delinearsi un codice di comportamento che prosegue con gli elegiaci. Dopo di lui  altri poeti sentiranno l'esigenza di porre una donna-padrona al centro del loro canto.
"Di fatto, nelle civiltà del potere maschile l'uomo potente si sottomette al potere domestico della sposa, al potere erotico dell'amante, l'una e l'altra Padrone (padrona di casa, padrona d'amore. Può essere soggiogato dall'amata come Pirro divenuto schiavo della sua schiava Andromaca in Euripide)"[84].
Catullo in effetti è il primo vero poeta d'amore della letteratura latina. "A Roma non si può parlare di una produzione di poesia d'amore prima di Catullo: questa realtà, che ai nostri occhi può apparire sorprendente, ha una duplice spiegazione, legata al modo di far cultura e di concepire il rapporto uomo-donna. Sino al periodo della declinante repubblica il comporre poesia priva d'impegno civile non doveva essere giudicato degno della gravitas del cittadino romano: anche i primi letterati, tutti schiavi o liberti, sino all'eques  Lucilio, se si prescinde dalla loro produzione drammatica, concepirono l'epos come la logica attività poetica"[85]. I ceti al potere, continua Fedeli, "si accontentarono di mantenere il controllo sul sapere storico e su quello giuridico", mentre una "sporadica produzione di carmi erotici" risale probabilmente al circolo di Lutazio Catulo (console nel 102 a. C.) ma "solo con Catullo si assiste alla diffusione di un canzoniere in cui una donna occupa il ruolo centrale, perché nel mondo del poeta costituisce il culmine di tutti gli affetti" (p.144).
Catulo scrisse epigrammi erotici di tipo callimacheo. Precorse i neoteroi. Ci sono arrivati 2 epigrammi omoerotici: in uno aspettava di salutare l’aurora ma da sinistra apparve Roscius.
Consisteram exorientem Auroram forte salutans
Cum subito a laeva Roscius exoritur
Pace mihi liceat caelestes dicere vestrā
Mortalis visus pulchrior esse deo
 
L'identificazione della donna amata con la domina imperiosa che ama meno o addirittura non ama l'uomo asservito si può commentare con una riflessione psicologica di C. Pavese:"Una beffarda legge della vita è la seguente: non chi dà ma chi esige, è amato. Cioè, è amato chi non ama, perché chi ama dà. E si capisce: dare è un piacere più indimenticabile che ricevere; quello a cui abbiamo dato, ci diventa necessario, cioè lo amiamo. Il dare è una passione, quasi un vizio. La persona a cui diamo, ci diventa necessaria"[86]. E più avanti:" Chi ha, gli sarà dato"[87].
Qui enim habet, dabitur ei, et abundabit; qui autem non habet, et quod habet, auferetur ab eo” (Matteo, 13, 12)
 
Il carme 51 di Catullo accusa in particolare l'otium  che all'autore procura un'esagerata eccitazione amorosa (otio exultas , v. 14) e, alludendo probabilmente al caso di Elena di Troia, conclude:"Otium et reges prius et beatas /perdidit urbes " (vv. 15-16), lo stare senza far niente ha già mandato in rovina re e città opulente.

L’adulterio vizio dell’ozio. Egisto e Madame Bovary.
Sentiamo Ovidio:"Quaeritis Aegisthus quare sit factus adulter;/in promptu causa est; desidiosus erat " ( Remedia amoris, vv. 161-162), volete sapere perché Egisto divenne adultero? il motivo è a portata di mano: non aveva nulla da fare.
Per lo stesso motivo si diventa obesi, quando mangiare è un modus vivendi.
Gli altri Greci infatti facevano la guerra, e ad Argo non c'erano processi a impegnarlo. Dunque fece:"Quod potuit, ne nil illic ageretur, amavit " (v. 167),  quello che poté per non stare là senza far niente: fece l'amore.
 Anche Madame Bovary divenne adultera poiché si annoiava:"per lei, ecco, l'esistenza era fredda come un solaio esposto a settentrione, il silenzioso ragno della noia tesseva e ritesseva la tela nell'ombra, in ogni cantuccio del suo animo" (p. 36).

Questo è un topos non solo erotico, sul quale torneremo, ma anche storico- politico :  in un discorso attribuito da Tucidide ad Alcibiade che vuole persuadere gli Ateniesi ad approvare il progetto vertiginoso di conquistare tutta la Sicilia, il grande seduttore ateniese afferma:"kai; th;n povlin, eja;n me;n hJsucavzh/, trivyesqai te aujth;n w{sper kai; a[llo ti "(VI, 18, 6), e la città, se rimane ferma, si logorerà da sola, come qualsiasi altra cosa.    

Virgilio (70-19 a. C.) pone gli adùlteri tra i grandi criminali del Tartaro in attesa della pena; anzi, nel catalogo dei dannati, questi delinquenti sessuali si distinguono dagli altri malnati per essere già stati puniti in terra con una morte violenta:"quique ob adulterium caesi ", quanti furono uccisi per adulterio.
I rimanenti criminali di questa sezione degli inferi sono coloro che hanno odiato i fratelli, maltrattato il padre, o hanno ordito frode al cliente, o hanno accumulato egoisticamente ricchezze, o hanno seguito armi empie o tradito i padroni ( Eneide   VI , vv. 608-614).
C'è da notare che tra i peccatori pessimi delle Rane  di Aristofane  ci sono quelli che hanno maltrattato il padre e la madre (v. 149) e pure chi ha sodomizzato un ragazzo senza pagarlo (v. 148), ma non chi ha commesso adulterio.  Virgilio infatti volle assecondare i progetti moralizzatori di Augusto che  preparava leggi contro l'adulterio.
 
 La lex Iulia de adulteriis coercendis  fu approvata nel 18 a. C.  Essa "non si limitava a sottoporre a regolamentazione la violazione della fede coniugale. Inserita nel quadro generale della politica demografica e moralizzatrice di Augusto, stabiliva, in linea assai più generale, che fosse punito come crimen  (vale a dire come delitto pubblico, perseguibile su iniziativa di qualunque cittadino) qualsiasi rapporto sessuale al di fuori del matrimonio e del concubinato, eccezion fatta per quelli con le prostitute e con donne a queste equiparate, o in ragione del mestiere esercitato, o perché già condannate, in precedenza, per condotta immorale. Il termine adulterio, insomma, è usato da Augusto in senso lato, e comprende anche lo stuprum [88]. La sfera della morale sessuale, sostanzialmente, viene sottratta, con la sua legge, alla competenza della giurisdizione familiare, e diventa "affare di Stato"...La pena prevista dalla lex Iulia  per l'adulterio, non fu la morte, ma la relegatio in insulam , accompagnata da una sanzione patrimoniale. La regola stabilita del secondo caput  della legge, che concedeva l'impunità al marito e al padre dell'adultera qualora uccidessero il complice di costei (e, solo nel caso del padre, qualora uccidesse anche la figlia) era la previsione di un'impunità speciale, concessa esclusivamente al padre e al marito, e subordinata al verificarsi di una serie di circostanze (quali la sorpresa degli adùlteri in flagranza), specificamente e tassativamente elencate dalla legge. Ma la pena dell'adulterio, in linea generale, non era la morte"[89].
Un'altra  legge volta a frenare, o per lo meno a regolarizzare e ordinare l'amore, fu la lex Iulia de maritandis ordinibus  , sempre del 18 a. C.  Questa multava i celibi e premiava i coniugati fecondi, come avrebbe fatto, molti anni più tardi, Mussolini. Tuttora del resto gli insegnanti celibi sono pesantemente penalizzati nel punteggio. 
La lex Iulia poi venne ribadita dalla lex Papia Poppea ( del 9 d. C. ) che concedeva per giunta agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum ).
"L'inibizione sessuale è dunque la base dell'incapsulamento familiare degli individui…è il mezzo a cui si ricorre per creare il legame alla famiglia autoritaria"[90].
Questa poi veicola nei giovani il precetto della sottomissione al capo. Del resto tante severe leggi matrimoniali non raggiunsero l'effetto desiderato. Già Augusto vedeva che la forza delle sue norme favorevoli al matrimonio veniva elusa, per cui tentò di potenziarle:"tempus sponsas habendi coartavit, divortiis modum imposuit "[91], abbreviò il tempo del fidanzamento, pose un limite ai divorzi
 Queste regole verranno sempre eluse e anzi lo saranno dagli stessi imperatori che concedevano lo ius trium liberorum a scapoli incalliti: come Marziale che ottenne il beneficio sia da Tito sia da Domiziano:"Natorum mihi ius trium roganti/Musarum pretium dedit mearum/solus qui poterat. Valebis, uxor./Non debet domini perire munus " (II, 92), a me che sollecitavo il privilegio dei tre figli lo ha concesso come premio per la mia Musa colui che solo poteva. Tanti saluti, moglie. Non deve andar perduto il dono di un dio.
Giovenale nella seconda satira nota la contraddizione di Domiziano che mentre era adulter incestuoso con la nipote Giulia "tunc leges revocabat amaras/omnibus atque ipsis Veneri Martique timendas " (II, 30-31), proprio allora richiamava in vigore leggi amare per tutti e tremende per gli stessi Venere e Marte. Domiziano infatti aveva rimesso in vigore la lex Iulia de adulteriis et stupro vel de pudicitia emanata da Augusto nel 18 a. C. Pertanto un moralista all'antica non faceva che esclamare:"Ubi nunc, lex Iulia, dormis? " (II, 37), legge Giulia dove sei? Dormi?   

Di questo andazzo legislativo  troviamo un'altra anticipazione nella seconda satira[92] di Orazio (65-8 a. C.) che sconsiglia l'adulterio con le matrone (ne paeniteat te,/desine matronas sectarier , I, 2, 77, 78), se non vuoi pentirtene, smetti di cercare le matrone) anteponendogli la "sana" frequentazione delle puttane. La togata , ossia più o meno la cortigiana, o per lo meno una donna parecchio e notoriamente dissoluta [93],  oltre essere meno problematica e rischiosa, è meno artefatta e ingannevole:"mercem sine fucis gestat, aperte/ quod venale habet ostendit " (vv. 83-84), porta la merce senza orpelli, e mostra apertamente quello che ha da vendere. Su questa satira torneremo, spiegando meglio questi versi e leggendone altri , nel capitolo relativo all'adulterio . 
 Delle prime leggi sui matrimoni si trova  traccia  in una delle strofe saffiche del Carmen Saeculare del 17 a. C.  :" Diva, producas subŏlem patrumque/prosperes decreta super iugandis/feminis prolisque novae feraci/lege maritā " (vv. 17-20), Dea[94] fa crescere la prole e da' successo ai decreti del senato sulle donne da unire in matrimonio e sulla legge nuziale feconda di nuova prole.
Tutto questo non bastò a frenare la corsa già in atto verso i magna adulteria  denunciati da Tacito (55 ca-120 ca d. C.) all'inizio delle Historiae[95] (I, 2). Infatti:" corruptissima republica plurimae leges (Annales  III, 27).
Era costume diffuso il celibato prevalidā orbitate (Annales 3, 25).

  Oltre la scarsa efficacia del potere in questa sfera c'è anche da notare l'ipocrisia del "moralizzatore" Augusto il quale, secondo Svetonio (70 ca-140 ca d. C.), era infamato dai suoi nemici per avere ottenuto l'adozione prostituendosi a Cesare e per avere sottoposto gli avanzi della sua pudicizia  ad Aulo Irzio che gli aveva dato trecentomila sesterzi. Che l'erede di Cesare commettesse adultèri lo ammettevano anche gli amici, sebbene lo scusassero dicendo che lo faceva non per libidine ma per calcolo:"quo facilius consilia adversariorum per cuiusque mulieres exquireret " (Vita di Augusto 69), per indagare più facilmente i disegni degli avversari attraverso le mogli di ognuno di loro.
Arriviamo dunque alle conclusioni del capitolo.
La calunnia dell'amore e il deturpamento del sesso è  una delle tante manovre delle propagande funzionali al potere.
 Omero aveva già capito che la concordia, l'affetto e l'amore dell'uomo e della donna costituiscono non solo la gioia ma anche la forza di entrambi; come l'hanno capito bene i furfanti che tendono a seminare zizzania tra uomini e donne appunto per indebolire il genere umano e sottometterlo, con scopi diversi. Negli ultimi tempi principalmente con quello di indurlo a comprare le schifezze prodotte dall'industria. Femmine e maschi umani sessualmente e affettivamente felici infatti non avrebbero bisogno di gratificarsi consumando, né sentirebbero la frustrazione di non consumare. L'infelicità amorosa per giunta conduce alla sottomissione e all'adorazione dei capi e delle mode.
L’astinenza sessuale spinge a mangiare fuor di misura.
 Il tiranno che bandisce la gioia semina morte e produce rovina, anche a se stesso. E' il commento del messo che sta per raccontare la catastrofe finale dell'Antigone provocata dalla tirannide di Creonte che ha proibito, tra l'altro, al figlio Emone di amare la sua donna:":"ed ora tutto è buttato via. Infatti quando/l'uomo abbandona la gioia, io non ritengo/che sia vivo costui ma lo considero un cadavere che respira" (vv. 1165-1167).-
"L'inibizione sessuale sbarra all'adolescente la via che porta a un modo di pensare e di sentire razionale…i sentimenti religiosi nascono dalla sessualità inibita"[96].
Adesso la religione (intesa come religio  lucreziana) è quella del consumismo, ed esso è una delle conseguenze del "sesso che se ne va a male, che diventa acido"[97].
Orwell in 1984 fa un discorso più ampio descrivendo un regime repressivo, tra l'altro, della libertà erotica poiché l'astinenza sessuale  produceva isterismo che " si poteva facilmente trasformare nell'infatuazione per la guerra e nell'adorazione dei capi". Ma c'è una ragazza, Julia, che comprende e si ribella facendo l'amore con gioia, e spiega:""Quando fai all'amore, spendi energia; e dopo ti senti felice e non te ne frega più di niente. Loro non possono tollerare che ci si senta in questo modo...Tutto questo marciare su e giù, questo sventolio di bandiere, queste grida di giubilo non sono altro che sesso che se ne va a male, che diventa acido. Se sei felice e soddisfatto dentro di te, che te ne frega del Grande Fratello e del Piano Triennale, e dei Due Minuti di Odio, e di tutto il resto di quelle loro porcate?"[98]. Spogliandosi questa ragazza bruna "faceva un gesto magnifico, proprio quello stesso magnifico gesto dal quale sembra che venga distrutta tutta intera una civiltà" (p.133).
Il  protagonista del romanzo vede nell'istinto della donna sensuale "un colpo inferto al Partito...un atto politico". Quando la sua giovane amante si spoglia infatti la osserva pieno di ammirazione, quindi le dice:"Sta' a sentire. Con più uomini sei stata e più ti voglio bene. Hai capito?"[99].
Un messaggio a favore dell'amore e contro la guerra, tra loro inconciliabili, si trova anche nella commedia di Aristofane, Lisistrata, del 411. Il nome parlante significa "colei che dissolve l'esercito". La protagonista infatti è una donna 
 
[1] Si pensi a Io la fanciulla trasfigurata in mucca del Prometeo incatenato, tormentata da un assillo appunto (oi\stro~ , v. 566) e fissata dallo sguardo del pastore Argo dai diecimila occhi: “ E subito l'aspetto e la mente furono/stravolti: divenni cornigera, come vedete, e punta/da un assillo dall'acuto morso, con salti furibondi/balzai verso la corrente Cercnea dolce da bere/e alla fonte di Lerna: e il bovaro nato dalla terra/Argo violento nell'ira mi scortava/ spiando i miei passi con occhi fitti” (vv. 673-679).
[2] Per la genesi e la storia dei poemi omerici vedi la parte introduttiva (pp. 9-47) della mia antologia Ulisse, il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , Loffredo, Napoli, 200.
[3] Hegel, Estetica , p. 1381.
[4] La ritroveremo nelle tragedie di Euripide Troiane e Andromaca
[5] J. Kott, Mangiare Dio , trad. it. Edizioni Il Formichiere, Milano, 1977, p. 120.
[6] J. J. Bachofen, Il potere femminile , trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1977. Mutterrecht 1861
J. J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975.
[7] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , trad. it. Einaudi, Torino, 1976., p. 15.
[8] Andromaca e Troiane .
[9] Di Samotracia  (215-144 ca.)   convinto dell'origine ateniese di Omero, tendeva ad atticizzare il testo e si oppose ai separatisti attribuendo l'Iliade  alla gioventù del poeta e l'Odissea  alla sua vecchiaia.  Aristarco corredò la sua edizione critica di segni marginali che completano quelli già usati dai curatori precedenti. Tra questi segni "diacritici", che si trovano in un codice della biblioteca Marciana di Venezia, "un manoscritto pergamenaceo del decimo secolo, e dei più importanti della tradizione medievale di Omero" (C. Del Grande, Storia della Letteratura Greca , p. 45,) segnalo, per curiosità e anche perché, data la loro evidenza, si possono ricordare, l'ojbelov", lo spiedo, ossia un trattino, che "infilzava" il verso spurio; l' ajsterivsko" ,  la stelluccia, che segnalava un verso ripetuto; e l'ojbelov" met& ajsterivskou , lo spiedo con stelluccia davanti a ripetizione abusiva. Come gli altri filologi alessandrini Aristarco  era fautore dell'analogia, la quale vuole individuare norme e regole nell'uso della lingua; inoltre asseriva che bisognava spiegare Omero con Omero ( "  JvOmhron ejx JOmhvrou safhnivzein", cfr. Schol. B a Z 201).
[10] Umano troppo umano , (vol.2, p.211)
[11] Iliade , IX, 443.
[12] Anche in Iliade, XXII, 105.
[13] E. Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30.
[14] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 30 e sgg.
[15] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.
[16] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 33.
[17] Avvenuta nel  146 a. C. 
[18] Iliade , IX, 319
[19] Iliade , I, 505
[20] Iliade  , I, 507
[21] h 71-74.
[22] Per il suggerimento di Nausicaa, v. z 310-315. Cfr. h 142 sgg. Anche Atena parla a Ulisse della riverenza di Alcinoo e dei suoi figli per Arete: h 66-70.
[23] a 330 ss.; p 409-451; s 158; f 63 ss.
[24] La casa, il bove e la moglie sono i tre elementi fondamentali della vita del contadino in Esiodo, Opp. 405 ( citato da Aristotele, Pol. I 2, 1252 b 10, nella sua famosa trattazione economica). In tutta la sua opera Esiodo considera l'esistenza della donna da un punto di vista economico, non solo nella sua versione della storia di Pandora, con cui vuole spiegare l'origine del lavoro e della fatica tra i mortali, ma anche nei precetti sull'amore, il corteggiamento e il matrimonio (ib. 373, 695 ss.; Theog. 590-612).
[25] Il "medio evo" greco, mostra, più chiaramente che altrove, il proprio interesse a questo lato del problema nella abbondante produzione poetica in forma di catalogo dedicata alle genealogie eroiche delle antiche famiglie, e più di tutto nei cataloghi di eroine famose, da cui quelle derivavano, del tipo delle  jHoi'ai, giunteci col nome di Esiodo.
[26] Jaeger, Paideia  1, pp. 63-64.
[27] Plutarco, Vita di Temistocle, 18.
[28] Boccaccio, Decameron, V, 9.
[29] Palazzi Vaticani, Stanza "della Segnatura", 1509-1511.
[30] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov  (del 1880), p. 709.
[31] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 178.
[32] Enten-Eller (Aut-Aut) , Validità estetica del matrimonio , trad. it. Adelphi, Milano, 1981,  p. 163 del Tomo Quarto.
[33] Una vita , p. 208.  
[34] Della Frigia.
[35] J. Joyce, Ulisse , trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 803.
[36] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, p. 88.
[37] I vv. 180-185 son stati spesso espunti sull'esempio del Bekker che, col suo senso piccolo-borghese delle convenienze, non voleva attribuire a Odisseo "un'impertinenza così indiscreta, così imprudente" (Homerische Blätter  , 2, pp; 55 sgg.).
[38] Segue la traduzione dei vv. 180-185 fino a eujmenevth/si.
[39] Bruno Snell, Poesia e società , trad. it. Laterza, Bari, 1971, pp. 33-34.
[40] La sera del dì di festa, v. 15; e, poco più avanti:"non io, non già, ch'io speri,/al pensier ti ricorro" (vv. 20-21).
[41] Ulisse , pp. 511-512.
[42] Ulisse , p. 521.
[43] Ulisse , pp. 581-582.
[44] Ulisse, p. 842.
[45] Messo insieme tra la fine del V secolo e gli inizi del IV a. C.
[46] Ippocrate visse tra il 460/450 e il 380 a. C. circa.
[47] S. Mazzarino (Il pensiero storico classico , I, p. 161.
[48] J. P. Vernant, Tra mito e politica , pp. 210-211.
[49] Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , I, 17. Romanzo ellenistico, composto tra il II e il III secolo d. C.
[50] Teocrito siracusano (310 ca-250 ca a. C.) visse tra Siracusa, Coo e Alessandria alla corte di Tolomeo II filadelfo. Abbiamo un corpus di 30 idilli e 24 epigrammi.
[51] Poetessa greca dell'isola di Lesbo. Visse tra il VII e il VI secolo. Scrisse liriche in dialetto eolico.
[52] Vissuto tra l'84 e il 54 a. C. Ha lasciato un Liber di 116 carmi in metro vario.
[53] Nato ad Assisi nel 49 a. C. circa, morto a Roma intorno al 15a. C., ha scritto quattro libri di elegie. Il primo fu pubblicato nel 28, il secondo e il terzo nel 22, il quarto nel 16 a. C. I primi tre cantano l'amore per Cinzia, il IV, quello delle elegie romane, racconta per lo più miti, riti della tradizione, episodi della storia di Roma e italica.
[54] Nato a Sulmona nel 43 a. C., morto a Tomi, sul mar Nero nel 17/18 d. C. Indicheremo le date delle sue opere a mano a mano che le menzioneremo.
[55] Tre libri, in distici elegiaci, di insegnamenti sull'amore: i primi due usciti tra l'1 a. C. e l'1 d. C.; il terzo poco dopo. Ci torneremo diverse volte durante il percorso.
[56]  Raccolta di elegie in tre libri. La prima edizione è di poco posteriore al 20 a. C.; la seconda, rielaborata, uscì quasi venti anni dopo, intorno all' 1 a. C.
[57] Firenze 1265-Ravenna 1321.
[58] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[59] Stratford on Avon 1564-Warwickshire 1616. Love's labour's lost è del 1594-1505.
[60] Le plus belles lettres d'amour , tratto da Lunario dei giorni d'amore, p. 502.
[61] All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[62] La coscienza di Zeno , Dall'Oglio, Milano, 1938, p. 317 e p. 319.
[63] La montagna incantata , trad. it. Dall'Oglio, Milano, 1930, vol., I, p. 163.
[64] P. 304 del II vol.
[65] Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere , volume 11, p. 617, n. 1.
[66] D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.
[67] In italiano nel testo.
[68] Ulisse, p. 865 e p. 867.
[69]Ulisse , p. 970.
[70] Ulisse, trad. it. Mondadori, Milano, 1975, p. 1044.
[71] M. Yourcenar, Fuochi, p. 88.
[72] Il soggetto probabilmente è Cipride.
[73] la quale nell'Odissea , IV, 145, tornata a Sparta, buona moglie , brava regina e avveduta padrona di casa, pentita dei propri trascorsi, chiama se stessa "faccia di cagna"
[74] 436-338 a. C.
[75] Del 390 a. C.
[76]Questa prima affermazione di indipendenza della donna risuonerà nelle parole di alcuni drammi greci dei quali ci occuperemo più avanti e procederà a mano a mano  fino ad arrivare alla Nora di Ibsen (del 1879):"io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi..per questo ti lascio." E quando il marito le obietta:"prima di ogni altra cosa, tu sei sposa e madre", ella risponde:"Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu..So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev'esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch'è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di vederci chiaro"(Una casa di bambola , trad. it. Newton Compton, Roma, 1973, atto terzo).
[77] E. Morin, op. cit., p. 132.
[78] Agrigento 1867-Roma 1938. Il romanzo L'esclusa è del 1901.
[79] F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (del 1884) , p.86 e p. 100.
[80] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 735.
[81] Il padre della storia  sottolinea che, secondo lo spartiata Lichas  "il ferro fu inventato  per il male dell'uomo"(I, 68).
[82] I Calibi avevano scoperto la lavorazione del ferro (Senofonte, Anabasi, V, 5, 1. “oJ bivoς h\n toĩς pleivstoiς aujtw̃n ajpo; sidhreivaς, dalla metallurgia
[83] Marìa Zambrano, L'uomo e il divino , p.58..
[84] E. Morin, L'identità umana, p. 64.
[85] Paolo Fedeli, La poesia d'amore, in Lo spazio letterario di Roma antica , I, p. 143.
[86] Il mestiere di vivere, 24 maggio 1941.
[87] 23 novembre 1945.
[88] Relazione colpevole.
[89]E. Cantarella, Secondo Natura , Milano, 1995, pp. 182 ss.
[90] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo, . (del 1933),  p.61.
[91] Svetonio, Vita di Augusto, 34.
[92] I due libri di Satire di Orazio uscirono nel 35 e nel 30 a. C.
[93] Marziale consiglia a un tal Lino di regalare a una famigerata moecha non vesti scarlatte e violette ma una toga  (II, 39).
[94]Lucina, dea romana dei parti identificata con Diana 
[95] Composte entro il 110 d. C, raccontano i fatti che vanno dal 1° gennaio 69 d. C. alla rivolta giudaica del 70.
[96] W. Reich, Psicologia di massa del fascismo , p. 108 e p. 148.
[97] G. Orwell, 1984 , trad. it. Mondadori, Milano, 1989,  p. 142.
[98] G. Orwell, 1984 , p. 142.
[99] G. Orwell, 1984, trad. it. Mondadori, Milano, 1997, p. 134.

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