domenica 14 settembre 2025

Criminali e crimini di Stato. I sacrifici umani.


La violenza oggi diffusa deriva dal cattivo esempio dato da chi governa.

 “Non vi è, nel destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo, mostruoso, quando ciò avviene” [1].

Nell’ Edipo re di Sofocle, l’indagine voluta dal protagonista lo porta alla constatazione che il mivasma avvelenatore è lui stesso, l’assassino del padre, il marito della propria madre. Ma  secondo Sofocle  il protagonista di questa tragedia è soprattutto il presuntuoso che crede di capire tutto e il bestemmiatore della voce divina degli oracoli.

Diversamente dall' Edipo   di Sofocle, che nel prologo dell’ Edipo re si addossa il dolore del suo popolo ma non riconosce ancora le proprie colpe, l’Oedipus  di Seneca, fin dai primi versi, si sente colpevole di tutto:"Fecimus coelum nocens" (v. 36),  io ho reso nocivo il cielo[2]. Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando il re assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (3, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo. Poco dopo Amleto, parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria (3, 4).

Nell' Antigone, Tiresia accusa Creonte di essere la sorgente inquinata del male della città:" kai; tau'ta th'" sh'" ejk freno;" nosei' poli"" (v. 1015) e la città è ammalata di questo per la tua disposizione mentale. Creonte infatti ha ereditato da Edipo non solo il ruolo regale ma anche la funzione di mivasma, homo piacularis  che contamina la città.

Ogni crimine del resto ricade sulla comunità: “In Omero l’assassino deve fuggire dalla propria patria; non di una colpa morale egli si è macchiato bensì di una religiosa: egli rappresenta un pericolo per la comunità cui appartiene[3].


La ragion di Stato spesso “autorizza” i crimini dei capi di Stato.

“Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuor di bocca: “Io, lo Stato, sono il popolo”. E’ una menzogna! Creatori furono coloro che crearono i popoli e sopra essi affissero una fede e un amore: così facendo servirono la vita”[4].

Per quanto riguarda la “ragion di Stato” può pensare al sacrificio di Ifigenia, raccontato da Eschilo, Euripide e Lucrezio.

Nell’Agamennone di Eschilo, il padre hJgemw;n oJ prevsbu~ (v. 185), il comandante anziano delle navi achee, per risparmiare il tempo che andava sciupato nell’attesa che si placassero i venti kakovscoloi (193), forieri di ozio cattivo, naw'n kai; peismavtwn ajfeidei'~ (195), sperperatori di navi e cordami, non osò diventare lipovnau~ (212), disertore della flotta e invece e[tla quth;r genevsqai qugatrov~ (224-225), osò divenire sacrificatore della figlia, la primogenita Ifigenia, che venne sollevata sull’altare divkan cimaivra~ (232), come una capra, imbavagliata per giunta affinché non potesse proferire maledizioni contro la casa.

Nell’Ifigenia in Aulide di Euripide, Agamennone, ancora incerto se sacrificare la figlia, dice a un vecchio servitore che lo invidia per la sua  vita non famosa, oscura (ajgnwv~ ajklehv~, v. 18).

Il vecchio ribatte che è bella la vita dei potenti. E Agamennone replica che quello del potere e degli onori  è “to; kalo;n sfalerovn, un bello vacillante, scivoloso (v. 21).

Si può pensare alla vita e alla morte orrenda di Gheddafi per esempio.

Lucrezio racconta con accenti di pietà la morte di Ifigenia condotta a morire casta inceste nubendi tempore in ipso (De rerum natura, I, 98), oscenamente casta, proprio nel tempo del matrimonio. Il poeta latino ascrive il delitto alla religio, la superstizione che coonesta i crimini peggiori: “Tantum religio potuit suadere malorum ", a crimini tanto grandi poté indurre la religio.  Questo è forse il verso più famoso (I, 101) del De rerum natura .  

Questo sacrificio umano  ha fatto epoca.

 

 Anche Dante biasima Agamennone per il sacrificio della figlia: “ e così stolto-ritrovar puoi il gran duca de’Greci-onde pianse Ifigenia il suo bel volto”. La premessa generale è “Non prendan li mortali il voto a ciancia” Paradiso, V. v. 64 e 68- 70.

Polibio e altri autori , nel dramma satiresco Sisifo  attribuito a Crizia, poi Curzio Rufo e altri raccomandano ai legislatori l’uso della superstizione per soggiogare le masse ignoranti.

Oggi la superstizione sacrifica centinaia di migliaia di vittime all Moloch del denaro e a quello del potere.

Pesaro 14 settembre 2025 ore 11, 29 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Di là dal bene e dal male, Noi dotti, 211

[2] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd  il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).

[3] Nietzsche, Frammenti postumi, settembre 1876. (52)

[4] Netzsche, Così parlò Zarathustra, parte prima,  Del nuovo idolo.


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