Capitolo 5
Il principe tiene la distanza dai colleghi giurati. Nerone giovane diceva “quando l’avrò meritato” se lo omaggiavano.
Il principe entra nei corridoi del tribunale, si presenta come giurato e gli indicano la corte d’assise. Entra nella camera dei giurati e si guarda intorno. Gli altri erano tutti di condizione sociale inferiore alla sua e si aspettava l’ossequio come cosa dovuta. La sua vita non dimostrava meriti eccezionali. “Il fatto che avesse una buona pronuncia inglese, francese e tedesca, che portasse biancheria, abiti, cravatte e bottoni dei migliori fornitori non poteva essere, e lo capiva anche lui, un motivo per riconoscere la sua superiorità. Eppure su questa sua superiorità non nutriva dubbi e accettava come dovute le manifestazioni di omaggio che gli venivano tributate, offendendosi quando venivano a mancare”.
Il giovane imperatore Nerone educato da Seneca era meno pretenzioso.
Svetonio racconta che nei primi tempi del suo principato il giovanissimo imperatore si comportava da filantropo, al punto che quando veniva costretto dalle leggi a firmare una condanna a morte esclamava: “quam vellem, inquit, nescire litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei non saper scrivere! Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava i cittadini chiamandoli per nome, e al Senato, che gli porgeva ringraziamenti, rispose: “Cum meruero”, quando li avrò meritati.
Nechliùdov invece come viene trattato con familiarità da giurato, un professore di ginnasio che era stato precettore dei figli di sua sorella, pensa: “Stai a vedere che adesso questo figlio di arciprete comincerà a darmi del tu”.
Capitolo 6. I giudici messi in ridicolo.
Tolstoj presenta alcuni personaggi: il presidente aveva fretta poiché un’amante lo attendeva all’albergo Italia. Era una governante svizzera che era stata in casa loro durante l’estate e durante la villeggiatura avevano intrecciato un romanzetto.
Entrato nel suo ufficio fece un poco di ginnastica. Era un uomo alto, ben pasciuto e con grosse fedine brizzolate.
Un membro del collegio giudicante invece era piccolo, con occhiali d’oro e la faccia malcontenta. Questo aveva una moglie che lo tormentava. La donna aveva speso il mensile in anticipo e quella mattina non, avendo ricevuto altri soldi, lo aveva minacciato di non preparargli da mangiare. Costui si chiedeva se valesse la pena di fare una vita onesta e morigerata vedendo il presidente che, allegro e bonario, si lisciava le fedine. “Lui è sempre ilare e soddisfatto e io mi tormento” pensava.
Il presidente mi fa venire in mente Stiva, il fratello di Anna Karenina, donnaiolo, adultero, pieno di debiti e contento di sé.
Il cancelliere propose di iniziare con il venificio. Il presidente approvò perché era un caso che sarebbe finito presto, prima delle quattro e lui poteva correre dall’amante.
Quindi arrivò il procuratore che aveva giocato fino alle due di notte con un collega, avevano bevuto, poi erano andati in un bordello dove tempo prima aveva “lavorato” la Màslova. Ancora non aveva letto la pratica del venificio. Il cancelliere lo sapeva e aveva consigliato apposta di iniziare da quella causa. Tali erano i tutori della legge e della giustizia. Anche lo spettacolo dato da costoro, la loro indifferenza, ignoranza e ingiustizia contribuiranno al ravvedimento del principe e alla solidarietà con la ragazza che aveva sedotto e contribuito a gettare in tale situazione
Pesaro 6 settembre 2025 ore 17.
p. s
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