Propongo un intervallo da Resurrezione. Trascrivo alcuni appunti presi nel 1983 da una raccolta di pensieri di Tostoj sulla scuola. Molti di voi che mi leggete, immagino, sono interessati alla scuola presente assai spesso, quasi sempre, nei miei scritti.
Dunque faccio a voi e a me stesso questo regalo.
Si tratta di una pedagogia antiautoritaria a me in buona parte congeniale.
Sentiamo dunque Tolstoj pedagogo e pensiamoci sopra.
“Nella scuola insegnanti e allievi si guardano come nemici”.
E’ una osservazione datata
Oggi non è sempre così. Magari sono i genitori ostili ai docenti. Ne ho avuti alcuni anche io per ragioni ideologiche e perfino didattiche. Alcuni, non molti, avrebbero preferito il docente conformista e autoritario. La maggioranza però mi ha sempre approvato anche quando insegnavo nel liceo più tradizionalista di Bologna. Oggi tra i miei migliori amici conto gli ex allievi anche di decenni fa.
La scuola genera avversione allo studio, abitua all’ipocrisia e all’inganno derivanti dalla situazione innaturale nella quale si trovano gli allievi.
Innaturale per me era studiare le materie che non mi piacevano le quali richiedevamo più tempo di quante mi garbavano e portavano via del tempo a queste. Della matematica non ricordo più niente, mentre una poesia letta in seconda elementare la ricordo ancora a memoria.
La scuola rincretinisce se lo studio non stimola domande e non dà risposte suscitate dalla vita. Le scuole prescritte dall’alto devono formare il gregge per il pastore. Data la struttura poliziesca, il ragazzo deve mentire. La scuola è strutturata in modo che per i giovani non sia piacevole studiare e per gli insegnanti sia comodo insegnare.
Pessimi erano gli insegnanti che non sapevano parlare, non ricordavano e leggevano in classe, magari con una dizione pessima come fanno ora i presunti giornalisti dei telegiornali. Non si capisce una parola.
A tanti insegnanti dà fastidio la vivacità dei giovani perché la trovano scomoda mentre essa è una condizione necessaria all’apprendimento.
Davanti all’insuccesso i docenti devono cambiare il metodo del loro insegnamento non cercare di mutare la natura del fanciullo. Davanti alla volontà di cambiarlo il fanciullo si chiude nel proprio guscio come una lumaca. Quindi appare avvilito e annoiato.
Nella scuola tutte le facoltà più elevate: l’immaginazione creativa, la meraviglia, la finezza dei sentimenti, il dubbio, la capacità critica, devono lasciare il posto ad altre attitudini semianimalesche come imparare a memoria.
Secondo me si impara a memoria quando lo stesso insegnante ripete a memoria le parole o i numeri imparati senza mostrare la luce dell’idea. Chi è portato per la materia la trova da sé, chi non è portato impara a memoria. Come facevo io con la matematica mentre le materie letterarie mi mandavano la loro luce comunque fosse l’insegnante.
Le scuole con struttura coercitiva dunque sono dannose. L’unico criterio per educare è la libertà.
Secondo me questa libertà andrebbe sempre chiarita specificando di quale libertà si tratta: libertà di che cosa? Non certo quella di mentire di non rispettare di non impegnarsi.
Cultura è quanto contribuisce alla crescita dell’individuo. Questo è vero. Cultura è crescita della propria umanità.
Gli insegnanti sono spesso creature spiritualmente distorte.
Non credo che statisticamente lo siano più di altri impiegati.
Una scuola che insegna per anni quello che si può imparare nel giro di qualche mese è un luogo di ozio e pigrizia.
All’Università ci insegnavano poco ma ci facevano studiare molto per superare gli esami e questa era una buona cosa.
Oggi molto è cambiato: tutti studiano e sanno meno di quanto è specifico e perciò chiacchierano di ogni cosa
La scuola è spesso l’arena in cui il professore esercita il suo grossolano istinto prevaricatorio e gli studenti la loro capacità di truffare. Si preparano a diventare uomini utili a una società corrotta.
Buone sono le conferenze, i Musei, buono il teatro. Aggiungo il cinema.
Se vuoi insegnare bene, ama la tua materia e conoscila bene. Ama i tuoi allievi.
La salvezza è la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro: essi solo possono decidere se il docente conosce la materia.
Questo magari dal liceo in avanti, non prima.
Una parola detta da un artista e anche il bravo educatore lo è, si distingue dall’espressione ordinaria perché suscita una quantità innumerevole di pensieri, immagini, interpretazioni.
All’uomo non è dannoso niente di ciò che è umano.
Tolstoj suggerisce “niente compiti”. Da questo dissento. La scuola deve insegnare anche la disciplina, lo spirito di sacrificio, la padronanza di sé stesso.
La grammatica che piace al maestro è astratta, mentre la lingua dell’autore bravo è viva e può piacere all’alunno anche molto giovane.
La grammatica andrebbe insegnata presto anche attraverso la lingua. Le frasi belle di autori bravi sono memorabili perché colpiscono la sfera emotiva. Si imprimono nella memoria con la regola che prende vita, colore e fascino dal contesto.
Perché una persona si metta a studiare è necessario che ami lo studio e per amarlo deve avere la consapevolezza della falsità, dell’insufficienza della chiacchiera ordinaria.
Una critica bigotta: la venere di Milo potrebbe suscitare ripugnanza davanti alla nudità, mentre la bellezza del sole, la bellezza del volto umano o di un atto morale è accessibile a chiunque e non richiede spiegazione.
Se l’allievo a scuola non impara a creare, anche nela vita sarà capace solo di imitare.
Pesaro 12 settembre 2025 ore 18, 04 giovanni ghiselli
p. s,
Non ho usato virgolette perché non ho il testo qui con me a Pesaro. Ma gli appunti presi allora erano fedeli al testo. Ho aggiunto qualche mia riflessione con il senno di adesso tutora difettoso del resto
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