I giurati rientrano nella
loro stanza e chiacchierano. Il gioviale mercante apprezza la vittima, il
collega siberiano che faceva grosse bisbocce e si era scelto una bella ragazza.
Katiùša. Il suo aspetto piace sempre e comunque agli uomini. Neppure in carcere et vinculis ha perso e
carina. il fascino della fanciulla vispa
e attraente. Una femminilità di razza.
Nechliùdov rispondeva a
monosillabi e desiderava solo di essere lasciato in pace. Tornando in aula,
sentiva in fondo all’anima di essere un gran mascalzone e temeva di andare a
essere giudicato piuttosto che a giudicare.
Comunque salì sul palco con
la consueta sicurezza. Nell’aula c’erano i testimoni, compresa la padrona della
casa di tolleranza. Era una grossa donna tutta in fronzoli, vestita di seta e
di velluto con un cappellino ornato da un gran nastro e una borsetta elegante
infilata nel braccio nudo fino al gomito. Evidentemente non amava il bello con
semplicità ma il contrario.
Parlava con un sorriso
mellifluo e un accento tedesco , ondeggiando con il cappellino a ogni frase.
Queste parole mi fanno pensare ai vezzi disgustosi di certe annunciatrici
televisive.
La ruffiana raccontò alcune vicende della notte letale
per il cliente della Màslova “per la quale il mercante soberiano dimostrava una
predilezione”. A Dimitri parve che la ragazza sorridesse “e quel sorriso destò
in lui uno strano, indefinito senso di schifo misto a compassione” (p. 68).
Che si ami o si odi i nostri
sentimenti sono quasi sempre a due facce come la testa di Giano.
Quindi la tenutaria dà un
giudizio positivo della Màslova: “ottima, ua ragazza istruita e molto chic. Sa
leggere il francese. A volte beveva un po’ troppo ma non trascendeva mai.
Un’ottima ragazza”.
Anche lo studio e l’uso delle
lingue sono soggetti alle mode: in Russia allora il francese era la seconda
lingua e immagino in altri paesi europei; quando mi trovavo all’estero viaggiando
tra gli anni 1966 e 1980 nessuno parlava più questa lingua e nell’Università
estiva di Debrecen quanti italiani al ginnasio avevano studiato francese
potevano parlare solo tra loro.
Katiùša guardava la padrona
poi fermò gli occhi su Dimitri con aria seria e perfino severa “Uno dei suoi
occhi guardava storto”. Dimitri non
riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi strabici con la cornea di un
bianco splendente. Gli tornò in mente la nebbia di quella notte cruciale, la
luna calante e capovolta che rischiarava qualcosa di nero e di pauroso. Erano
gli occhi neri che lo guardavano a ricordargli quell’oscurità inquietanti.
Lo capisco: a me piacciono le
more molto più delle bionde: il loro nero mi attira e nello stesso tempo mi inquieta.
Le bionde mi sembrano più riposanti.
Dimitri pensava di essere
stato riconosciuto ma non era così.
“Provava una sensazione
simile a quella del cacciatore che deve finire un uccello ferito un misto di
schifo, di pietà e di rabbia. Si prova disgusto e compassione e si desidera di
finirlo al più presto per dimenticare.”
Associo a questo lugubre sentimento la riflessione di Vrònskij dopo che ha
realizzato e consumato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui
la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito,
in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e
distrutto" (L. Tolstoj, Anna
Karenina, p. 366)
Pesaro 14 settembre 2025 ore 10, 44 giovanni ghiselli
p. s.
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