“Parole e concetti contrari, addirittura opposti, tra l’altro la prima osannata da tutti, mentre la seconda criticata e condannata, da tutti. Proprio da tutti”.
In pratica però, nel parlare e nell’agire prevalgono la finzione e la menzogna. Si può pensare a Odisseo, non tanto quello di Omero che pure mente ma lo fa per salvarsi la vita come mistifica cambiando il proprio nome e dicendo al Ciclope di chiamarsi Nessuno, quanto quello delle tragedie dove agisce come un demagogo bugiardo e criminale.
Nell’Ecuba di Euripide, per esempio, il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn[1])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo» (vv. 131-132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena. In questa tragedia Ulisse è un freddo politico per cui vale solo la ragion di stato che calpesta tante vite innocenti.
E anche quando viene menzionato nell’Eneide Ulisse è malfamato:"sic notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete Ulisse? domanda Laocoonte. Una domanda retorica. Nel VI canto Deifobo, raccontando la propria fine, definisce Ulisse , l’Eolide , hortator scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.
Ma torniamo al nostro autore che distingue i tre tipi più comuni di bugiardi
“1) Quelli che mentono per educazione o pietà (…) E sono i più giustificabili e giustificati
2) Poi c’è il Bugiardo abituale, seriale, ‘cronico’ … quello che proprio non ce la fa a non dire BUGIE . E’ più forte di lui.
Anche di questo segnalo un esempio nella letteratura: il vecchio generale Ivolgin in pensione dell’Idiota di Dostoevskij. Costui si era inventato di essere stato il paggio favorito di Napoleone arrivato a Mosca. Un personaggio talmente patetico questo maniaco che il principe Myškin finge di credergli mentre il figlio primogenito se ne vergogna e lo sbugiarda.
“Ed è anche mezzo comico, perché ne dice talmente tante che poi alla fine non si ricorda neppure più che cosa aveva detto prima e magari si contraddice da solo”. Questi tipi “dopo avere ripetuto più volte la stessa bugia” finiscono con crederci.
3) “Inoltre esistono i bugiardi per ‘tornaconto’ , per interesse, per convenienza, perché ‘tengono famiglia’ o perché sono proprio anche ruffiani. Beh, questi sono i più disgustosi. E spesso anche pericolosi. Perché, per coprire i loro sporchi interessi, sono capaci di MENTIRE anche se e quando sanno di potere danneggiare qualcun altro con le loro BUGIE. Li detesto””.
Tali sono spesso i politici.
Nel XVIII capitolo di Il Principe Machiavelli ricorda "come Achille e molti altri di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi". E ne deduce:"Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et uno mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque uno principe necessitato sapere usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe et il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può, per tanto, uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere".
Riccardo III di Shakespeare, il principe che ha letto il Principe, in un breve monologo dice "copro la mia nuda scelleratezza con vecchi scampoli carpiti a casaccio alla Sacra Scrittura e tanto più sembro un santo quanto più faccio il diavolo" ( Riccardo III, I, 3).
Torno al nostro autore. Ma ora veniamo alla VERITÁ…Innanzi tutto va subito detto che non è sempre bella, utile e consigliabile. Infatti si dice anche che ‘la VERITÁ fa male’ ”.
Infatti in greco verità è ajlhvqeia il cui significato è non latenza, disvelamento. Togliere il velo che nasconde può rivelare cose orribili.
“A volte e forse anche spesso , sarebbe meglio non dirla. Magari senza arrivare a dire BUGIE , scegliendo di tacere o di cambiare discorso”.
La dissimulazione è certamente meno brutta e odiosa della simulazione.
“In ogni modo la VERITÁ è sempre bella, buona e benvenuta!!! Perché è importante, utile, fondamentale e indispensabile in tante cose e in moltissime occasioni. Prima fra tutte nella GIUSTIZIA . Anche se tra queste due…non sempre c’è ‘connubio!’. Anzi! Purtroppo molto spesso non ce n’è proprio” (p. 56).
A parer mio la menzogna caratterizza la gente dallo spirito plebeo.
La nobiltà ha dipinta negli occhi l'onestà”. Dice don Giovanni nel libretto di Lorenzo da Ponte ( atto primo, scena nona) musicato da Mozart. Del resto mentiva pure questo collezionista di donne.
“Però , di solito, anche se tarda ad arrivare, quasi sempre poi arriva, tanto che si dice (e si spera) che con il tempo (meglio se non troppo) la VERITÁ e la conseguente Giustizia arrivano” (p. 57) .
A questo proposito cito i primi versi dall'Elegia detta alle Muse di Solone
"Splendide figlie della Memoria e di Zeus Olimpio,
Muse Pieridi, ascoltate la mia preghiera:
concedetemi il benessere (o[lbon) da parte degli dei beati, e di avere una buona
reputazione (dovxan e[cein ajgaqhvn) da parte di tutti gli uomini sempre;
in modo che così possa essere dolce per gli amici e amaro per i nemici, 5
rispettato da gli uni, temibile a vedersi per gli altri.
Ricchezze desidero averne, ma possederle ingiustamente non voglio: in ogni caso più tardi è solita arrivare Giustizia (pavntw~ u{steron h\lqe divkh).
cfr. anche Edipo a Colono di Sofocle: “qeoi; ga;r eu\ me;n, ojye; d j eijsorw`s j ” (v. 882), gli dèi vedono bene, ma tardi.
E’ un tema tradizionale della teodicea greca: gli dèi vedono tardi ma vedono bene. Il motivo era presente in Euripide (Bacch. 882 sgg.; ved. anche Sesto Empirico, adv. Math I 287 “i mulini degli dèi macinano tardi (ojyev) ma macinano bene”. L’idea che sta alla base di questa riflessione è che il tempo degli dèi è diverso fa quello degli uomini, e che il loro operare risponde alla legge dell’infallibile inesorabilità, non dell’istaneità della punizione: questo motivo teologico arcaico è ripreso e ampiamente sviluppato nel De sera numinis vindicta di Plutarco (549d).-
Sentiamo la conclusione del nostro autore: “Concludo con una mia personale riflessione e convinzione. Secondo me le VERITÁ sono tante e comunque mai una sola”. Queste variano secondo le culture, i costumi e financo le persone come insegnava già Erodoto con il suo relativismo antidogmatico.
Segue una bella citazione riportata da Alessandro-F. Marcucci Pinoli di Valfesina: “E a tal proposito mi sovviene una bella frase di Pirandello: “Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e rialzati come ho fatto io. Perché ognuno di noi ha la sua storia e la sua verità” (p. 57). E’ la terapia del rovesciamento
Queste parole mi garbano molto. L’autore Pirandello e Marcucci Pinoli che lo cita mi fanno venire in mente la caduta del 7 luglio scorso e il lento, faticoso rialzarmi attuale. Ribadisco che i grandi autori scrivono sempre di tutti noi e per tutti noi.
Pesaro 21 settembre 2025 ore 18, 33 giovanni ghiselli
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[1] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisseo sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).
Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice (cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo" è opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera, (Iliade X, 29-30), e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711-712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon-kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).
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