lunedì 6 aprile 2015

Antigone. Inizio della conferenza che terrò il 10 aprile

Inizio della conferenza che terrò il 10 aprile dalle 17 alle 19 nella Biblioteca San Giovanni di Pesaro


Questo lavoro è un ritorno a Sofocle e al teatro greco in quanto fenomeno letterario più legato alla vita della povli". La tragedia è il miglior esempio che si possa prendere per studiare il significato della vita della polis, l'intreccio tra la creazione letteraria e l'istituzione politica. Il tragediografo ateniese voleva essere anche l'educatore dei suoi concittadini. Questa è la componente didascalica del dramma antico il cui autore vuole sempre indicare qualche cosa al pubblico. Sofocle in particolare intende insegnare il rispetto della religione delfico apollinea e la santità dei precetti pitici: “Conosci te stesso” e “Nulla di troppo”.
"Non invano il coro della tragedia sofoclèa parla sempre dell'assenza di misura quale radice di ogni male"[1].
Nell’universo c'è un ordine, più grande e più vero di quello delle leggi scritte dagli uomini ed essi devono comprendere e rispettare tale cosmos.
"Il destino dell'uomo è inserito nell'ordine divino del mondo; e quando l'ordine divino e il disordine umano vengono al cozzo, si sprigiona la scintilla della tragedia"[2].
 Le parole conclusive contengono la morale del dramma e presentano la quintessenza del sofocleismo: " Il comprendere (to; fronei'n) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi" (vv. 1347 - 1349). Comprendere significa capire l'ordine cosmico e assecondarlo, non recalcitrare né dar di cozzo . In questo lavoro, come nei precedenti, vengono indicate analogie e diversità tra il mondo della Grecia classica e il nostro, secondo la convinzione che le letterature antiche e quelle moderne accrescano i loro significati attraverso un continuo confronto. Infatti "Il latino e il greco costituiscono la corrente sanguigna della letteratura europea: e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione; giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[3].
In questo dramma Creonte rappresenta la figura classica del tiranno che cade per la sua prepotenza, empietà e incomprensione delle leggi del cosmo. Anche il personaggio della ragazza Antigone d’altra parte non è del tutto esente da una colpa personale: quella della dismisura che il Coro le attribuisce dicendole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia, /hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia, /creatura, con grave caduta, / del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853 - 856).
Eppure ella gode tra i moderni di una reputazione di eroina assoluta: "La tua opinione su Antigone è giusta", scriveva Shelley a John Gisborne nell'ottobre del 1821 "Che sublime ritratto di donna! e che cosa pensi dei cori e in particolare del lamento lirico della vittima simile a un dio? e delle minacce di Tiresia, e del loro immediato compimento? Alcuni fra noi, in una precedente esistenza, si sono innamorati di un'Antigone: ecco perché non troveranno mai completa soddisfazione in un legame mortale!"[4].
Una delle caratteristiche dell'affabulazione sofoclea è quella dell'ambiguità: la stessa parola ha significati diversi nell'intenzione di chi la pronuncia e nell'intendimento di chi l'ascolta, essenzialmente il tiranno e la fiera figlia di Edipo.
L'interpretazione più nota dell'Antigone di Sofocle è quella di Hegel che la considera paradigmatica della collisione tragica tra due unilateralità. Il filosofo tedesco comunque giudica questo dramma "una delle opere d'arte più eccelse e per ogni riguardo più perfette di tutti i tempi", una tragedia dalla collisione esemplare dove "la legge pubblica dello Stato è in aperto conflitto con l'intimo amore familiare e il dovere verso il fratello"[5].
Altro tema fondamentale è quello della consanguineità.
Antigone fin dai primi versi sottolinea ed enfatizza il legame di sangue che, a parer suo, costituisce il vincolo più forte tra le persone, come chiarisce ai vv. 908 - 912, dove spiega che un parente pur stretto, come uno sposo, ma acquisito, una volta morto si può rimpiazzare, mentre un fratello, defunti i genitori, non è possibile che nasca di nuovo. Questa è una delle non poche posizioni[6] che accomunano il nostro autore a Erodoto il quale (in III, 119) esprime il medesimo punto di vista attraverso la moglie di Intaferne: la donna, potendo salvare uno solo dei suoi familiari imprigionati dal grande re Dario, scelse il fratello con la medesima argomentazione della ragazza sofoclea.
Tale scelta costituisce uno degli aspetti dell'arcaismo di Sofocle, il quale, sostiene Hauser, "fin da principio sacrifica l'idea dello stato popolare democratico agli ideali dell'etica nobiliare; e, nella lotta fra il diritto familiare privato e il potere assoluto ed egualitario dello Stato, parteggia risolutamente per l'idea tribale"[7]. A questo proposito, G. Steiner suggerisce di commentare il primo verso dell'Antigone con i "capitoli dedicati a Ulrich e ad Agathe nell'Uomo senza qualità: in entrambi i testi, le voci della consanguineità emergono dalle incertezze consolatrici della notte e, allo stesso tempo, cercano di ritornarvi"[8].


giovanni ghiselli

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[1]             Jaeger, Paideia 1, p. 481.
[2]             V. Ehrenberg, Sofocle e Pericle , p. 40.
[3]             Eliot, Che cos'è un classico? , in T. S. Eliot, Opere, pp. 975 - 976.
[4]             G Steiner, Le Antigoni , p 14.
[5]             G. W. F. Hegel, Estetica , p. 612.
[6]             In primis la venerazione dell'oracolo delfico e il rifiuto della tirannide.
[7]             A. Hauser, Storia sociale dell'arte, vol. I, p. 122.
[8]             Le Antigoni , p. 240. 

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