martedì 14 aprile 2015

MEDEA, di Lucia Arsì

Maria Callas Medea
MEDEA

          “ Ti distruggo…”
        E lui di rimando, il tono fondo, “ Perché? ”
        Nessuna risposta.
        Quali le sillabe ! Quali suoni a denunciare!.…
        …immagina…occhi sgranati, mani tese e, se alle spalle briganti ti inseguono per il borsello o la vita ( il dubbio, quello è il vero tarlo), le pupille guazzano su onde scatenate.
        Oh ! E se si riuscisse ad impastare e rendere codificabili i fremiti storpi? E chi?
        La donna. La donna sa e sapientemente avverte.
        La donna è una figura. Inevitabilmente solare. Inevitabilmente al limite, là, dove il sole scompare ad occhio umano (sì, inevitabilmente nell’umano tutto questo accade), al limite, ove l’ombra s’insinua e agguanta.
        Figura speculare. Su di lei si proietta. Cosa? No, non è possibile coniugare i fremiti, ora smembrarli. E’ concesso solamente appropriarsi e delineare  figure, mitiche figure che altri hanno datato e nominato.
        E torna la figura di lei, della donna, della vendicatrice, della primigenia, la madre delle madri.
        La Potnia insegna alle donne a castrare l’uomo, se agita la sua innata violenza.
     
        I sospiri di entrambi, al telefono, un sabato di un settembre anonimo, pregno di lacrime umane, saporano di diverso.
        La paura di lui, la perfidia di lei. All’erta i sensi di entrambi. La necessità di un approccio. La stanchezza di una snervante attesa. Il compimento. A seguito di una serrata consapevolezza: il non-essere-distanti.
        Un attimo di profonda complicità, uno scorrere di guance, sfregate e un legame indissolubile. Una rete tessuta di odori, di battiti, di  intrecci, di energia, su cui s’insinuano serpi, aquile, formiche, si aprono nodi e si ricuciono strappi, per incanto, forse per necessità.
        Di fatto si apre un mondo, in cui il pensiero è accessorio e il respiro attinge lena, consapevole di sé.
        E’ in interiori homine, nel fondo del nostro essere carnali che vivono gli immortali. Mai fuori di noi.
        E il demone del male, l’immortale mortale, a gambe divaricate, sentenzia : Ti distruggo…se mi fai del male.
        E lo fa per bocca di lei, quel fatidico giorno, quando il “lui” non osa, forse non sa, forse non può, impegnare se stesso. Difesa banale, se banale è il gioco e le corde non vibrano.
        Eh sì…la donna e la sua perfidia, tanta quanta la sua debolezza nel concedere tutta se stessa.
        Quale dea si agita dentro, quale forza spinge una donna a porsi al di sopra dell’energico maschio?
        Un attimo…e la figura di Medea si pianta.
        “Sono lei?, ogni donna fra di sé.
         No, a lei simile. Tutte le donne simili alla figura primigenia, perché primigenie le forze, allorquando gli accadimenti similmente tornano.
        Che maschio insensato, quel Giasone! Eroe, buon compagno di viaggio, amico fedele. E l’amore?
        Solamente un mezzo lei, Medea, giovane e spontanea fanciulla, che, con la sua maliarda energia, gli concede gloria e vigore giovanile, lo sazia di vita, lo salva e lui continua a non comprendere.
        Eroe di una stagione, mai uomo per sempre. Ingordo di potere.
        L’amore….un numero esiguo di uomini, i graziati, affinati i sensi e vibranti, si abbandonano alle sferzate.
        I più girono attorno e cercano cercano un ammiccamento, uno stratagemma e cercano fuori, paventando di sentirlo dentro. Pavidi, inetti, deboli. Temono il dolore e allontanano Cupido.
     
        “Convolo a nozze con la figlia del re… tutti tranquilli, bene accasati… e per te prestigio, ricchezza e figli in comune.”
        E’ la proposta di lui.
         E Medea di rimando “…ed anche il letto…”, intanto prega, grida, piange.
        Troppo poco se misurato con l’intensità delle forze che si colorano dentro di uno smalto non più lucente, quello che una volta la indusse ad abbandonare il padre a ad uccidere il fratello e solo per l’intensità d’una forza che ordinava di serrarsi, con legame indissolubile, all’altra sua metà.
        In gioco la sua esistenza.
        Che forza, veramente virile quella di Hera!
        In un passo omerico leggiamo di Zeus “Lo sposo della Regina..”
        “Senza di lei?, è giusto chiedersi.
        Senza la “ Donna ” solamente svolazzanti avventure.  Mai la pienezza.
        Ora deserto nell’animo di Medea, ove erbe s’afflosciano e grigie foschie e malinconici soffi frusciano e ledono.
         Assassina, lei oramai Male, matricida e potrebbe essere ogni nefasto demone; sì, donna fino in fondo, per istinto, innato marchio che il dio Crono ha regalato, dio smembrante e divoratore, lui il per sempre, il ritenuto saggio. E lei Medea, non può cedere al sopruso di lui e si ribella, anche lei cronide smembrante, divoratrice, ribelle.
        Il tragico in assoluto. Male dal solido rizoma. Necessità esistenziale.
        Mai trascurare le dee, pronte ad annientarci. Mai disconoscere il valore eterno dei travagli, che si datano con la specie umana.
     
        Le ore, i giorni, i mesi  insistono sugli uomini che tendono a gozzovigliare. E lo fanno con superflua ovvietà.
        Capita a tutti, capita al “ lui ”.
        Un gioco. Una telefonata e l’altra è lì, disponibile, come lo è stata sempre, ad ogni richiamo.
        Una mano sconfina sui fianchi d’un corpo che dà e nulla riceve, l’altra mano di lui afferra le dita, le induce là, sul suo senso, per sondare...l’intensità…ma quale intensità se la mente è altrove, a pezzi scorre su arroventati carboni che già urlano violenza e tanta paura?
        Un sensuale richiamo alla sfrenata sessualità e…ha già decretato la sua fine.
        E lei? La Donna, impietrita al cospetto di tanta vacua crudeltà?
        Lei, con estrema lentezza, sbuffa una catena di inesistenti composti, di sillabe ovviamente.
        Lei, fa scivolare il nero mantello, in segno di lutto, di fine.
        Lei, spolvera con la mano l’aria inquinata e va.
        E lui?
        Cumuli di attimi. Pesanti come forconi che rompono i dorsi, se la mala sorte regala miseria, in una casa dove bocche infantili reclamano cibo.
        Cumuli di ininterrotta mancanza di…sospensione verso…pesantezza per…
        ….e il “lui ” non userà mai più quell’organo che sa penetrare, solamente se l’altra parte di sé é d’accordo.
                                                                                                                                                 
                                                                                                                             Lucia Arsì

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