mercoledì 15 aprile 2015

Concetto Marchesi, "Tacito". Terza parte della conferenza


Le Storie. Tacito e Plinio il Giovane. Gli Annali
Le Historiae andavano dal 69 al 96: gli anni successivi - uberiorem materiam - quelli di Nerva e di Traiano. Tacito li riservava alla vecchiaia (I, 1)
Le Historiae cominciano (1) con l'esaltazione del tempo di questi imperatori. Tacito potrà scrivere "rara temporum felicitate, ubi sentire quae velis et quae sentias dicere licet ".

Rapporto Tacito - Plinio il Giovane
Plinio ebbe con Tacito rapporti di schietta amicizia. Gli scrive lettere raccontandogli le sue giornate o chiedendogli favori, come quello di indicargli precettori per la scuola di Como da lui sovvenzionata con un terzo della somma necessaria (IV, 13)
Plinio manifesta grande ammirazione per Tacito.
Cfr. il film Le invasioni barbariche: fra Tacito e Dante non ci sono stati altri geni in Europa. E’ vero.
Tacito chiese all’amico notizie precise sull’eruzione vesuviana del 23 - 24 agosto del 79 e sulla morte dello zio (Ep. VI, 16). Vespasiano era morto in giugno.
In IX, 23 Plinio il Giovane racconta con grande compiacimento che un tale al Circo domandò a Tacito se stesse parlando con Tacito o con Plinio. Tacito aveva detto di dovere alla letteratura la propria notorietà.
Poi VII, 33 dove Plinio auspica per sé un posto nelle storie immortali di Tacito: “auguror, nec me fallit augurium, historias tuas immortales futuras: quo magis (ingenue fatebor) inseri cupio (VII, 33, 1).
Verso il 107 Tacito manda a Plinio alcuni libri della Historiae e gli chiede di fargli da revisore (Ep. VII, 20). Plinio ne è assai compiaciuto.
Quindi in VIII, 7 si dichiara discepolo di Tacito. L’amico considera Tacito “quale ricercatore scrupoloso testimone di verità e la sua opera destinata all’eternità.
Nella lettera a Capitone (V, 8) Plinio il Giovane tratta della storia e dell’oratoria confrontandole: alla storia convengono ossa, muscolo, nervi, all’orazione florido collo e criniera; la storia deve raccontare anche cose comuni e piace per il vigore (vis) l’impeto (instantia), l’amarezza (amaritudo), tre caratteri che si applicano bene a Tacito. L’orazione è invece caratterizzata da calma, soavità, dolcezza.
Habent quidem oratio et historia multa communia, sed plura diversa in his ipsis quae communia videntur. Narrat illa, narrat haec, sed aliter; huic pleraque umilia et sordida et ex medio petita, illi omnia recondita, splendida, excelsa conveniunt; hanc saepius ossa, muscoli, nervi; illam tori quidam et quasi iubae decent; haec vel maxime vi, amaritudine, instantia; illa tractu et suavitate atque etiam dulcedine placet. Nam plurimum refert, ut Thucydides ait, kth'ma sit an ajgwvnisma; quorum alterum oratio, alterum historia est”, la storia e l’eloquenza hanno sì molti elementi comuni, ma in questi stessi che sembrano comuni si trovano molte differenze. Narra quella e narra questa, ma in maniera diversa: a questa, la storia, si addicono moltissimi aspetti umili e volgari e presi dalla vita comune; a quella l’eloquenza, invece conviene tutto quanto è raro, splendido, sublime; a questa si addicono più spesso ossa, muscoli, nervi, a quella certi rigonfiamenti e quasi pennacchi; questa piace in modo particolare soprattutto per il vigore, l’asprezza, la veemenza, quella per l’andamento fluido la soavità e anche la grazia. Infatti conta moltissimo se sia, come dice Tucidide , un possesso o una gara: delle quali cose una è l’otratoria, l’altra la storia,
Tucidide, I 22, 4. kth'ma. . . xuvgkeitai: "Infatti come un possesso per l'eternità più che come declamazione da udire per il momento di una gara, essa è composta". - kth'ma: in funzione predicativa, come ajgwvnisma. La parola kth'ma, possesso, significa tutta la concretezza di Tucidide; è, come sottolinea opportunamente Savino che ha tradotto La guerra del Peloponneso : "una rocciosa eredità materiale. . . parola concreta, corposa, che sa di terre e bottini e prede adunate in anni di fatica e trasmesse ai discendenti, beni palpabili, visibili, materiale espressione della famiglia e del sangue"[1]. -
Plinio fu legato imperiale in Bitinia dal 111 al 113. Tacito allora era proconsole in Asia.
Nel 114 Traiano inizia la campagna partica e Tacito componeva gli Annales dei quali rimangono i primi sei libri (solo i primi 4 interi, un frammento del V e il VI privo dell’inizio) e gli ultimi sei (l’XI lacunoso e il XVI mancante di più della metà con una parte del regno di Claudio e quello di Nerone fino al 66. ). Voleva rifarsi daccapo: dalla morte di Augusto.
Nel II libro ricorda che una volta le frontiere dell’impero romano arrivavano all’Egitto, l’isola di Elefantina - piccola isola del Nilo, e Siene (Assouan) la città più meridionale dell’Egitto - quod nunc rubrum ad mare patescit (II, 61), Traiano dunque aveva già ridotto a provincia lo Stato arabo dei Nabatei fra il Mar Rosso e il Mar Morto. Ma non aveva iniziato l’invasione partica, oltre il Tigri. Tacito chiamava massimo impero quello dei Parti e considerava la vis Parthorum come una potenza viva e attuale (II, 55 e II, 60)
Nel 117 Traiano moriva a Selinunte, in Cilicia, reduce dalla spedizione partica dopo vittorie e stragi dei due eserciti, una regressio che Frontone 100 - 166 - definirà haudquaquam secura nec incruenta (Principia Historiae) – “e confermava l’impotenza dell’impero ad assoggettare una gente destinata a restar fuori dal mondo romano”

giovanni ghiselli



[1] Tucidide, La Guerra Del Peloponneso , introduzione, traduzione e note al testo di Ezio Savino, Guanda, Milano, 1978. P. XXIV introduzione.

1 commento:

Ifigenia CLXII Si prepara la sera dell’addio. L’imperativo categorico di non cedere mai.

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