venerdì 18 maggio 2018

"Eracle" di Euripide



Eracle di Euripide (416 circa)


Prologo (1-106)
Nel prologo Amfitrione si presenta come figlio di Alceo, nipote di Perseo e padre di Eracle. Il vecchio che è Argivo, si trova a Tebe , la città degli Sparti dove regnava Creonte figlio di Meneceo e padre di Megara che Eracle sposò. Poi però Eracle è andato ad Argo da dove Anfitrione è dovuto andare in esilio per avere ucciso il suocero Elettrione, padre di Alcmena. Eracle per potere rimanere ad Argo e portarci i suoi, ha offerto a Euristeo misqo;n mevgan (19), un alto prezzo del ritorno (kaqovdou): ejxhmerw'sai gai'an (20), bonificare la terra, liberarla dai mostri (h{mero", domestico, mite, mansueto). L’eroe è domato dagli sproni di Era oppure agisce secondo la necessità (tou' crew;n mevta).

La necessità è la potenza superiore a tutte già nell’Alcesti del 438 e ancor prima nel Prometeo incatenato di Eschilo.
Prometeo sopporta di sapere il suo destino senza venirne schiacciato, ma sa che gli uomini non sarebbero capaci di reggere una simile tensione (v. 514): “ tevcnh d j ajnavgkh" ajsqenestevra makrw'/”, la conoscenza pratica è molto più debole della necessità.
Cfr. a questo proposito Curzio Rufo: “Ceterum, efficacior omni arte, necessitas non usitata modo praesidia, sed quaedam etiam nova adnovit”( Historiae Alexandri Magni, IV, 3, 24), del resto la necessità più potente di ogni tecnica, suggerì loro non solo i soliti mezzi di difesa ma anche dei nuovi. Sono i Tirii che si difendono dall’assedio di Alessandro Magno nel 332 a. C.
Avanzando nella Sogdiana Al. si trovò in difficoltà per il freddo e incendiò un bosco: “efficacior in adversis necessitas quam ratio, frigoris remedium invenit” (8, 4, 11). Ancora la necessità che prevale sulla ratio (cfr. 7, 7, 10: necessitas ante rationem est).

Il potere assoluto dell' jjjjAnavgkh verrà apertamente affermato da Euripide nell'Alcesti. Nel terzo Stasimo della tragedia più antica ( è del 438) tra le diciassette a noi pervenute, il Coro eleva un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972). Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
Alcuni versi prima, nel terzo episodio, Eracle aveva affermato l’impotenza della tevcnh nei confronti della tuvch: “non è chiaro dove procederà il passo della sorte (to; th'" tuvch"), e non è insegnabile (ouj didaktovn) e non si lascia prendere dalla tecnica (oujd j aJlivsketai tevcnh/ )” (vv. 785-786)

La fatica in corso è quella relativa a Cerbero: Eracle è andato nell’Ade Tainavrou dia; stovma, attraverso la bocca del Tenaro e di là non è tornato.

Nelle Rane di Aristofane, Dioniso chiede a Eracle di insegnargli la strada che fece quando andò a prendere Cerbero. Indicargli i porti (livmenaς) le panetterie (ajrtopwvlia) i bordelli pornei'a, le fermate, i crocicchi, le fontane (krhvnaς), strade, città. E gli alloggi dove ci sono meno cimici (vv. 112-114). C’è specularità tra il mondo terreno e quello infero.
La via più breve, dice Eracle è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta
 Quindi Eracle racconta il suo viaggio. Si arriva a un grande lago, poi si sale su una barchetta dove un gevrwn nauvthς, un vecchio barcaiolo, ti traghetterà per due oboli (cfr. la Morte a Venezia e il ramo d’oro dell’Eneide). Due oboli era il compenso medio degli Ateniesi, quindi Eracle dice che laggiù li portò Teseo.
Poi si passa tra i dannati: bovrboron, fango, to; skw'r -skatovς merda, scatologia, parlare di escrementi.
Dentro ci sta chi offese l’ospite xevnon hjdivkhse, o chi ha inculato un ragazzo senza pagarlo- h} pai'da kinw'n tajrguvrion uJfeivleto, chi ha picchiato la madre o il padre, chi ha giurato falso ejpivorkon o{rkon w[mosen (150) e il drammaturgo che commette plagio da Morsimo, scadente poeta tragico.
Più avanti si trovano gli iniziati (oiJ memuhmevnoi da muevw, inizio ai misteri) tra uno spirar di flauti aujlw'n pnohv (154) e una luce bellissima fw'ς kavlliston , come qui w[sper ejnqavde.
Là vedrai tiasi beati di uomini e donne e un gran battere di mani krovton ceirw'n poluvn (155).

Una volta su Tebe-continua Anfitrione-regnavano Lico e Dirce, poi Anfione e Zeto, figli di Zeus e Antiope.
Questi costruirono le mura di Tebe (cfr. Odissea, XI, 260-265 dove Antiope però è detta figlia di Asòpo)
 I due fratelli, i dioscuri tebani, uccisero Lico e Dirce che aveva maltrattato la madre. Lico era fratello di Nitteo, il padre di Antiope e secondo alcune versioni del mito l’aveva sposata prima di Dirce. Anfione sposò Niobe.

Un figlio di Lico, di nome Lico pure lui, ha ucciso Creonte e regna su Tebe dopo essere piombato sopra la città malata per la guerra civile-stavsei nosou'san thvnd j ejpespesw;n povlin (34).
 La parentela (kh'do") con Creonte, padre di Megara è per gli Eraclidi e la madre kako;n mevgiston (36).
 Ora Lico, dopo avere ammazzato il padre e i fratelli di Megara, vuole uccidere anche Megara e i suoi figli poiché teme la vendetta. I perseguitati siedono sull’altare di Zeus eretto da Eracle dopo la vittoria sui Minii.
  
Ercole nei Fasti di Ovidio
Nel I libro dei Fasti[1] di Ovidio Eracle costruisce e dedica a se stesso l’ara Maxima
Qui Caco è Aventinae timor atque infamia silvae (I, 551) un mostro kakov" contrapposto a Evandro, l’uomo buono. Dall’ingresso della caverna pendono teschi e braccia inchiodate ora super postes affixaque brachia pendent (I, 557) e il suolo squallido biancheggia di ossa umane,
Squalidaque humanis ossibus albet humus (558).
I buoi rubati muggirono rauco sono (560). Ercole disse accipio revocāmen (561) accolgo il richiamo. Il racconto è velocizzato e semplificato, il pathos è attenuato rispetto a Virgilio.
La vicenda si conclude con l’ ai[tion dell’ara Massima: il vincitore immola a Giove uno dei tori rubati e costruisce a se stesso un’ara detta Massima
Constituitque sibi quae Maxima dicitur aram
Hic ubi pars Urbis de bove nomen habet (581-582).
E’ il Forum Boarium dove si trovava la statua bronzea di un bue.

I supplici sono bisognosi di tutto: pavntwn crei'oi, sivtwn, potw'n ejsqh'to" di cibo, bevande e vesti (51-52) e mantengono la posizione nel tempio con le costole stese ajstrwvtw/ pevdw/ (52) sul pavimento nudo, senza coperte. Vengono in mente i nostri profughi.
 Tra gli amici, alcuni Anfitrione li vede ouj safei'", non chiari, altri ajduvnatoi proswfelei'n (56), impossibilitati a portare aiuti. Tale è la duspraxiva, la sventura per gli uomini. Non auguro a nessuno di dover provare questa verifica davvero infallibile degli amici-fivlwn e[legcon ajyeudevstaton (59).


CONTINUA



[1] Un calendario in distici composto fra il tre e l'otto d. C. quando fu interrotto, dall'esilio, al sesto libro di dodici che dovevano essere. Dovevano illustrare gli antichi miti e costumi latini.

1 commento:

Ifigenia CLV In piscina con Giulia. Fedeltà o tradimento? Questo è il problema.

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