domenica 6 maggio 2018

Lucrezio, "De rerum natura". V libro. parte 5



Storia del genere umano

Comunque nell’età primitiva una dura tellus creò un genere umano multo durius (926), et maioribus et solidis magis ossibus intus (927) connesse da nervi possenti, più resistenti al freddo, al caldo e ai mali. Vivevano una vita da belve. Mangiavano quod terra crearat- sponte sua. Si nutrivano di ghiande e di purpurei corbezzoli (arbita puniceo colore). La novitas tum florida mundipabula dura tulit, miseris mortalibus ampla” (944)
A sedare la sete li chiamavano fiumi e sorgenti At sedare sitim fluvii fontesque vocabant (945). Non conoscevano il fuoco, non si servivano di pelli, celavano le ruvide membra in mezzo ai cespugli et frutices inter condebant squallida membra (956).
Non conoscevano leggi né mores.
Nelle selve Venere congiungeva i corpi degli amanti. Il concilium con la donna lo favoriva vel mutua cupido, “vel violenta viri vis atque impensa libido” (964) la libidine grande, “vel pretium, glandes atque arbita vel pira lecta” (965).
Inseguivano le fiere scagliando pietre e brandendo clave, alcune le vincevano, con altre fuggivano nei covi e, come irsuti cinghiali saetigerisque pares subus (970) membra nuda dabant terrae avvolgendoli con foglie e fronde, quindi in silenzio, sepolti nel sonno aspettavano la luce. Temevano che il sole non tornasse. Succedeva che venissero sbranati dalle fiere: qualcuno di loro “pabula viva feris praebebat, dentibus haustus” 991, sorso per i denti,
et nemora ac montis gemitu silvasque replebat
Viva videns vivo sepeliri viscera busto” (992-993), vedendo le proprie viscere vive sepolte in un vivo sepolcro.

Allitterazione in “v” e ossimoro co vivo busto
Gorgia chiama gli avvoltoi sepolcri viventi – gũpeς e[myucoi tavfoi (in Sublime, 3, 2).

Chi fuggiva ferito, premendo i palmi tremanti (995) sopra le piaghe orrende, invocava la morte con urla agghiaccianti
posterius tremulas super ulcera taetra tenentes- palmas horriferis accibant vocibus Orcum” (996), finché atroci spasimi li privavano della vita, senza aiuti né cure.
Però non morivano a migliaia in un sol giorno di guerra, nec turbida ponti-aequora lidebant-sbattevano- navis ad saxa virosque (1001).
 nec poterat quemquam placidi pellacia ponti
subdola pellicere in fraudem ridentibus undis.
Improba navigii ratio tum caeca iacebat” (1004-6) non c’era l’adescamento del mare e la funesta arte di navigare.
Allora si poteva morire di fame, “contra nunc rerum copia mersat” (1008) sommerge

Vedi la satira Giovenale sui morti per cibo.
Giovenale nella I satira descrive persone che
Comedunt patrimonia una mensa (138).
 Gente imbandisce per sé cinghiali interi,
quanta est gula quae sibi totos
ponit apros, animal propter convivia natum!, animale nato per banchetti numerosi
poena tamen praesens cum tu deponis amictus
turgidus et crudum pavonem in balnea portas
hinc subitae mortes atque intestata senectus (140 ss,)
Il funerale riceve applausi dai clenti adirati.

La Roma di Giovenale: "questo rospo velenoso con gli occhi di Venere"[1]
Allora, per ignoranza-imprudentes, mangiavano cibi velenosi, ora lo somministrano accortamente ad altri.
Poi arrivò la monoandria- Inde casas postquam ac pellis ignemque pararunt-et mulier coniuncta viro concessit in unum-concubitum, prolemque ex se videre creatam- tum genus humanum primum mollescere coepit (1011-1014)- la donna nell’unione con l’uomo, passò a uno solo, i padri riconobbero la prole,
 cominciò a indebolirsi, “ingentilirsi”, secondo Luca Canali.

La proprietà privata vuole figli di paternità indiscussa.
Secondo F. Engels (1820-1895) la ragione più vera della famiglia monogamica e della sottomissione della donna è questa:"la monogamia nasce dalla concentrazione di più ricchezze in una mano sola, precisamente quella di un uomo, e dal bisogno di trasmettere in eredità tali ricchezze ai figli di quest'uomo e a nessun altro"[2].

Ma, subito dopo, Lucrezio scrive che il fuoco rese i corpi alsia, freddolosi e incapaci di resistere al freddo, poi Venus imminuit viris (1017) ridusse le forze, e i fanciulli con le blandizie piegarono il duro carattere dei padri.
Intervenne anche la pietà per i deboli. Non c’era concordia ovunque
sed bona magnaque pars servabat foedera caste (1025)
aut genus humanum iam tum foret omne peremptum
nec potuisset adhuc perducere saecla propago”, già allora sarebbe andato distrutto e la stirpe umana non si sarebbe protratta fino a oggi.
Il foedus osservato è dunque funzionale pure alla conservazione della vita.

L’origine del linguaggio
All’origine del linguaggio ci sono l’istinto e il bisogno. Il bambino incapace di parlare prima fa dei gesti, come i piccoli degli uccelli accennano a volare quando ancora non sanno farlo.
E’ dunque follia pensare che un uomo abbia assegnato i nomi alle cose e gli altri abbiano imparato da lui i primi vocaboli.

Epicuro sostiene che c’è stata una iniziale fase naturalistica (“ojnovmata ejx ajrch̃ς mh; qevsei genevsqai” (a Erodoto, 75), ma poi di comune accordo furono stabilite espressioni particolari di ciascun popolo, perché le indicazioni reciproche fossero meno ambigue e venissero rese note in modo più sintetico ( “u{steron de; koinw̃ς kaq j e[kasta e[qnh ta; i[dia teqh'nai pro;ς to; ta;ς dhlwvseiς h|tton ajmfibovlouς genevsqai ajllhvloiς kai; suntomwtevrouς dhloumevnaς ”).
Ma Lucrezio è più epicureo di Epicuro
Lucrezio è assertore della istintività naturale del linguaggio e ne nega la convenzionalità (qevsei in Epicuro, secondo un accordo).

Platone invece nel Cratilo presuppone un ojnomatourgovς (389a) un legislatore creatore di nomi, il più raro tra gli artefici. Le lettere dei nomi nelle varie lingue sono diverse. Ma al nomoqevth" è bastato rendere l’idea che conviene (ei\do" prosh'kon) a ciascuna cosa.
 Prima di lui Pitagora sostenne che un saggio omnibus rebus imposuit nomen (in Cic. Tusc. I, 62).

Lucrezio: anche gli animali fanno versi differenziati secondo gli umori-Ergo si varii sensus animalia cogunt /muta tamen cum sint varias emettere voces, quindi è giusto a maggior ragione pensare gli uomini abbiano usato parole diverse per oggetti diversi (1090).


CONTINUA



[1]Nietzsche,Umano, troppo umano , II, opinioni e sentenze diverse, 224, trad. it. Mondadori, Milano, p. 82
[2] F. Engels, L'origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato (del 1884), p.86 e p. 100.

1 commento:

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