giovedì 4 luglio 2024

Ifigenia CXXXVIII La conclusione del viaggio nell’Ellade sacra.


 

Ifigenia si accorse che stavo meditando sul nostro rapporto.

Quindi depose la maschera e il ruolo della moglie assassina, prese quelli dell’amante premurosa e domandò:

“Che cosa pensi ora tu, amore mio?”

“Che ti amo perché tu sei comunque una donna non ordinaria e osservarti mi fa entrare nel cuore della realtà”.

Mi rivolse uno sguardo di gratitudine, poi, con un pizzico di ironia,  domandò: “Te ne accorgi soltanto qui aiutato a sintonizzarti con me dal palazzo e dalla tomba di Atreo?”

“No. L’ho capito da quando accolsi con trepida gioia la tua meravigliosa proposta di farti da maestro, da fratello e da amante. Adesso per giunta lo sento, cioè mi emoziono pensandolo, e sono sicuro che per te, figlia e madre dello spirito mio, scriverò una storia che spargerà la tua fama su tutta la terra e renderà la tua bellezza

immortale nonostante il volgere di milioni di stagioni che porta via quasi tutto. Adesso io ti amo con la testa e con il cuore, poiché mentre osservo la tua persona che ravviva queste rovine, riconosco che tu hai ridato vita alle mie rovine interiori”.

 

Mi fissava con la coscienza che queste non erano soltante parole.

Quindi rispose: “Tu sai riconoscere in me bellezza e poesia siccome le hai dentro. Io ti amo a mia volta e comunque andrà a finire tra noi, ti amerò sempre, poiché nella tua persona straordinaria raduni tutti i valori più alti dell’uomo davvero umano: intelligenza, onestà, volontà. Le doti che in altri sono divise e disperse tu le raccogli dentro di te in una sincrasia meravigliosa.

Né vuoi tenerle soltanto per te ma donarle a chi ne ha bisogno, a me sopratttto. E’ vero tesoro?”

Ci abbracciamo con forza lì sulle macerie della città ricca d’oro. Quasi facemmo l’amore davanti a un gruppo di turisti stupefatti.

Poi ripartimmo. Eravamo felici come poche altre volte. Tutto il bello sembrava rinato. Impiegammo la sera e la notte per uscire dall’Ellade, poi viaggiammo per altri due giorni.

Passammo alle Termopili sotto la statua di Leonida armato. Si leggeva la scritta Vieni a prenderle- Molw;n labev- vieni a prenderle.

“Noi siamo venuti in Grecia a prenderci a vicenda” disse Ifigenia.

C’era armonia tra noi. Si bevevo acqua, l’ottima acqua di Pindaro, la sorella acqua di Santo Francesco la quale è molto utile et umile et preziosa et casta. Mangiavamo anche meno di Santo Giovanni, l’onesto Giovanni: un poco di pane senza miele né locuste, seduti sul parafango anteriore della nostra automobile fermata in luoghi elevati da dove si poteva vedere il mare luccicante, la scura campagna addormentata, le stelle e la luna. A mezzo il giorno ci tuffavamo nei seni profondi e gonfi di luce.

Il 25 agosto arrivammo a Bologna con meno di duemila lire e quasi a secco di benzina, nonostante avessi staccato il motore in ogni discesa. Eravamo ridotti all’osso: Ifigenia pesava 46 chili invece di 50, io 52 al posto dei 55 della mia buona forma da scalatore.

“Meglio ora così rinsecchito-pensai- che quando feci la prima visita militare e pesarono 69 chili che poi crebbero ancora. Un mostro del genere andava riformato. Invece mi fecero abile per giunta”.

Per fortuna era un lunedì  e dopo esserci riposati qualche ora nel letto e poi ristorati, potemmo comprare quanto ci voleva per cavarci la fame.

 

Bologna 4 luglio 2024 ore 17, 43.

p. s.

Domani andrò a Pesro poi tornerò in Grecia in bicicletta- traghetto- bicicletta- traghetto- bicicletta, come ho già fatto tante volte  compresa una, nel 1981, con Ifigenia. Ma questo devo raccontarlo più avanti, se Dio vorrà.   

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