mercoledì 3 luglio 2024

Ifigenia CXXXIII Tornerò in Grecia a pregare se i presagi non sono vani.


 

La sera del 17 agosto arrivammo a Delfi. Cercai una casa nella ojdo~ jApovllwno~, invano. Così fummo costretti a ripiegare su una strada dal nome meno fatidico. Ifigenia mi rimproverò perché non avevo trovato un alloggio nella via con il nome della lieta divinità che nel sonno ci avrebbe svelato veracemente il futuro.

Risposi che nella via di Apollo  la camera poteva continuare a cercarla lei anche per tutta la notte. Io ero talmente stanco di guidare l’automobile cercando di non consumare troppa benzina, e tanto annoiato dalle sue lamentele che mi accontentavo di dormire  in un posto qualunque, purché non sporco. In effetti il signore di cui c’è l’oracolo a Delfi non ci fece antivedere il futuro nelle immagini oniriche.

La mattina seguente percorremmo la salita rocciosa, spinosa, infuocata del santuario: pregavamo Apollo di tenerci insieme ancora del tempo, abbracciati  e fusi nell’arte. Ma il Peana rimase nascosto dentro l’ombelico del mondo e dietro le due cime del Parnaso, senza darci risposta.

Anche il sole sembrava soltanto una muta pietra di fuoco.

 

Allora andammo a cercare presagi a Olimpia. Ci arrivammo di sera.

Appena trovato l’alloggio sgradito a Ifigenia siccome era un povero ostello  della gioventù, la fastidiosa ragazza ebbe l’impertinenza di propormi dei salti in discoteca. Le risposi: “tu vuoi condurmi al martirio. Noi siamo venuti in Grecia a pregare, e se andassimo a intronarci in un luogo così miseramente, empiamente profano daremmo da bere del veleno alla nostra sete di Dio”.

L’empia donna mugugnò qualche altra bestemmia  con cupo rancore.

La mattina seguente del resto mi donò una scena simpatica. Appena desto dopo una dormita  rasserenante, baciai la bellona sulla pancia abbronzata: Ifigenia che non era desta del tutto fece un movimento repentino, quindi spalancò gli occhi e sorrise.  Era scattata  come una gatta accarezzata sulla schiena, vicino alla coda. Rapida e inopinata, poco mancò che mi graffiasse.

“Se avessi visto come ti sei mossa, non potresti negare di essere una gatta”, le dissi 

“Adesso capisco perché litighiamo tanto-ribatté- l’altro ieri tu hai rivelato la tua natura di vero cane, io oggi quella di tipica gatta”.

Aveva risposto bene e non replicai . Ridemmo e facemmo l’amore più volte per scambiarci piacere e rendere onore al dio della gioia.

Alla brutta faccia dei furfanti bigotti che mi avevano terrorizzato quando ero bambino.    

 

Bologna 3 luglio 2024  ore 12, 10 giovanni ghiselli

p. s

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