Appena fuori
nel sole, ci abbracciammo trionfanti e teatrali più che mai. Le baciai le
guance, i capelli, le mani. Andammo a
sederci su una panchina di una stazione suburbana, sotto un
mandorlo fiorito. Mi parlò
dei sentimenti provati nei giorni della
separazione: non disse
esplicitamente di non essere stata a letto con l'altro maestro, il ballerino, ma doveva
essere sottinteso in quanto affermava e ripeteva: lei amava me;
ripeteva ancora una volta che quell'uomo era troppo
incolto e narcisista per interessarla sul serio. Notai che si
esprimeva in modo confuso, non per la foga del sentimento, ma per scarsa
chiarezza di quello che aveva in mente. Avrei voluto crederle senza
riserve né ripensamenti, ma non mi convinse del tutto, purtroppo non mi
convinse. Le sue parole già sentite più di una volta,
per niente limpide, meditate dal mio senso critico implacabile avrebbero
riattizzato presto la fiamma inesausta del mio congetturare acido e corrosivo. Durante il
tragitto verso casa sua le raccontai con quanto dolore avevo
vissuto quel divorzio pur breve. Quando la salutai, le dissi che
per la sera purtroppo avevo già preso un impegno con una
conoscente coetanea e non potevo disdirlo; perciò, sebbene avessi una
gran voglia di stare con lei, non avevo che un paio di ore da
dedicarle. 'Coetanea' nel
mio contesto di allora poteva essere lusinghiero per lei: nel senso “nemmeno lontanamente
giovane e bella come sei tu”. Eppure la
donna che non mi ha dato angoscia, anzi gioia, Elena augusta, era suppergiù
mia coetanea e la defunta Marisa, di cui ero innamorato da ragazzino e
ricordo ancora come meritevole della mia devozione, era più attempata di me:
nata sei mesi e quattordici giorni prima. Avrei potuto rinviare quell'incontro, per
niente significativo, ma dopo avere
sentito Ifigenia che parlava senza
limpidezza, non credevo del tutto nella sua conversione erotica, e pensavo
che tenerla un poco a distanza
frequentando altre persone mi sarebbe servito non solo a capire
meglio i suoi intendimenti, ma anche a farmi desiderare. Di natura
non sono così diffidente; ma se non lo fossi diventato, costretto da
quanti ho incontrato, non sarei sopravvissuto fino a oggi. Ero un
bambino con il cuore in mano ma ho dovuto imparare tutti gli accorgimenti e le
coperte vie per sopravvivere senza rinunciare alle mie capacità critiche e
mentali in genere. Avevo forti
sospetti che Ifigenia fosse tornata non con un atto spontaneo di
amore, bensì con uno sforzo della volontà, e in seguito a un
calcolo del suo tornaconto : c'era l'esame di
recitazione prima di tutto, poi forse anche altre ragioni pratiche per cui le conveniva
restare con me ancora un poco di tempo. Nonostante
queste riflessioni, e sebbene non sentissi davvero quella intensificazione
della vitalità che è segno di gioia, giunto a casa, scrissi che
volevo guardare Ifigenia senza sospetti, senza l'esecrabile peste della sfiducia di cui mi avevano ammorbato tante
fonti inquinate quando
ero giovane molto e del tutto indifeso. Avrei voluto
dare credito ancora una volta alla mia inclinazione di amante della vita. Amare
la vita nonostante tutto, amarla anche contro la logica. In realtà
gran parte dei timori e sospetti che provavo nei confronti di Ifigenia, me li
aveva seminati dentro lei stessa, poi li aveva coltivati con atteggiamenti non schietti
e con parole che si erano rivelate più volte fallaci. Comunque
avevo voglia di vederla ancora e di fare l’amore con lei.
Arrivò alle
sei del pomeriggio, come ai bei tempi. "Ciao –
disse con aria entusiasta – avevo tanta voglia di stare con te e fare l'amore". Appena ebbi
risposto "anche io", mi abbracciò e baciò con avida foga,
apparentemente come una volta. Quando potei parlare di nuovo,
dissi: "Andiamo subito in camera: sai che oggi ho poco tempo". "Lo
so", annuì con un pizzico di rammarico dolce, senza fiele di biasimo.
Poi, assumendo un tono diverso, allegro e quasi infantile, aggiunse: "Andiamo
subito là e facciamo l'amore. Tu però non devi spogliarti". "Perché?",
domandai incuriosito. "Non me
lo chiedere gianni: fidati". "Va
bene tesoro, facciamo così", la assecondai. Andammo nella
stanza da letto e ci disponemmo nel talamo dove Ifigenia si denudò completamente
e mi rese beato con la visione del corpo che avevo temuto di
non rivisitare; io mi tolsi del tutto soltanto le scarpe e non dissi
altro prima di fare l'amore. Dopo, le domandai: "Ora devo anche
lavarmi senza spogliarmi?" "Sì,
cioè no - fece lei - Svestiti
pure, ma tieni l'accappatoio a portata di mano. E non chiedermi
che cosa vuol dire. Fidati". Dissi
solo: "Va bene". Nel bagno mi chiedevo quale fosse la ragione di
quella stravagante pretesa. "Forse deve venire qualcuno a trovarci" pensavo. Ma chi poteva avere invitato in casa mia mentre
facevamo l'amore? Il sospetto
di fondo era che stesse per arrivare il maestro di danza. Forse doveva
dirmi che era innamorato di quella meravigliosa fanciulla,
la quale però, purtroppo per lui, aveva scelto di essere la mia compagna
fedele, e lo sarebbe rimasta sempre, come si addice a una
giovane dai costumi irreprensibili. Mi aspettavo una scena del genere concordata
dai due commedianti. Insomma non mi fidavo. Dopo
l’espresso promesso e non spedito non mi ero più fidato di lei. Tornai nella stanza da letto, ma la ragazza non c'era. Pensai che si fosse
nascosta per gioco. Guardai sotto il letto
ma nemmeno lì c'era.
Allora andai nello studio e la vidi nuda, accanto alla finestra chiusa, fare
dei segni con le braccia verso la strada. Come si accorse che
le stavo alle spalle, si girò, mi guardò, arrossì e disse: "Torniamo
di là; ma tu, gianni, rimani con l'accappatoio". "Adesso
suona quello che aspettava il segnale" pensai. Infatti,
quando ci fummo stesi di nuovo, senza parlare, Ifigenia con aria
divertita, io con il sospetto già evidente nel volto cupo, il campanello
suonò. "Vai ad
aprire" disse. Poi si infilò sotto le coltri ridacchiando. Andai alla
porta. Al di là c'era una giovane con un mazzo di fiori, enorme. Me
li allungò e sorridendo disse: "Sei tu gianni ghiselli, vero?" "Sì,
sono io". "Allora
questi sono per te". La
ringraziai. La garzoncella si allontanò quasi di corsa. Tornai nella stanza
da letto. Allora Ifigenia saltò fuori dalle coperte, le gettò a terra, si
inginocchiò sul lenzuolo, e, tutta contenta, mi domandò: "Ti è piaciuta la
sorpresa? Ti piacciono i fiori?" "Sì
molto" risposi. "Facciamo
finta di niente", pensai. Erano tanti,
rossicci, avvolti nel cellophane, tenuti insieme da un nastro rosso stretto ai
gambi avvolti nella stagnola. Insomma mi piacevano poco. "Adesso
leggi il biglietto!" esclamò con aria trionfale. In mezzo
c'era una piccola busta bianca. Dentro, numeri e parole scritti in
rosso: "24/03/1981. Sono tanto, tanto felice che il nostro amore sia
rinato. Ti invio questi fiori per la Poesia, la Fiducia e la Fierezza
del nostro Amore. Ifigenia ". Appoggiai
sopra il tavolo il mazzo che crepitava nel cellophane, poi l'abbracciai. "Sono
tanto felice anche io", sussurrai commosso; eppure sentivo che la mima aveva fatto una delle commedie sue; che tra quei fiori c'era
qualcosa di falso e penoso amari aliquid quod in ipsis floribus angat , che il
nostro rapporto sconciato non era più redimibile. Comunque volli fare un altro
tentativo anche io, e non permisi all'angoscia,
che presoffriva il futuro, di annientare quel breve pomeriggio di allegria
precaria e di gioia epidermica. Ripensandoci
adesso però mi domando: una scena buffa del genere con queste ridicole
trovate che andrebbero prese come tali, non è più divertente e simpatica
della serietà pedante triste, noiosa e ingannevole di certe persone
prevedibili che in ogni gesto e parola ripetono con facce smorte le menzogne delle
propagande e della pubblicità? Avrei dovuto
essere contento e grato agli dèi, alla stessa Ifigenia foriera anche spasso e
diletto.
Villa Fastiggi
22 luglio 2025 ore 17, 07 giovanni ghiselli p. s. Statistiche
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