Il nostro anacoreta dunque
vuole provare a riprendere i contatti con i compagni di scuola e si reca a un
incontro con loro. Il personaggio principale, quello da festeggiare, sarebbe stato Zverkov il quale “si era ficcata
in quella sua cervice di montone l’idea di essere infinitamente superiore a me.
Solo a supporre una tal cosa mi sentii soffocare”. Il nostro solitario fa
qualche tentativo di scuotersi dalla situazione penosa, maniacale in cui si
trova, ma appartiene alla schiera degli inetti, irrisoluti, inconcludenti.
Quando arriva, Zsverkov lo degna di alcune parole dal
disprezzo appena dissimulato: “Con meraviglia ho appreso del vostro desiderio
di essere dei nostri” cominciò sibilando e strascicando le parole”.
La mancanza di naturalezza
nel parlare è sempre un segno di volgarità.
Lo nota lo stesso Dostoevskij
a proposito di Gruscenka nei Fratelli
Karamazov.
Il Nostro antieroe si trova
in imbarazzo e si sente a disagio. Per cominciare era arrivato un’ora prima degli altri perché
avevano mutato l’ora dell’incontro rispetto a quella che gli avevano detto, poi
non l’ avevano avvisato del cambiamento. Quindi mancanza di riguardo e di
rispetto nei suoi confronti. Un altro meno malsano se ne sarebbe andato.
Alcuni si misero a ridere
quando il caporione Zverkov disse “in tono di motteggio: sicché voi siete qui
già da un’ora, ah poverino!” (96) Seguono anche alcuni insulti. Il pover’uomo
vessato cerca di replicare difendendosi ma la malevolenza è tanta che non c’è
verso di mettersi d’accordo. E’ già lo zimbello della serata, il capro
espiatorio di tutti i misfatti: è brutto, povero, malvestito, privo di ogni
qualità che possa fare una buona impressione su gente siffatta. Il signorotto
Zverkov gli fa domande sul lavoro e lo stipendio: tutto assai meschino.
“Ma questo è un esame!” disse
l’uomo del sottosuolo arrossendo per la modestia del suo salario.
Segue un battibecco tra il
poveretto assediato e i suoi denigratori.
Il nostro uomo chiede che si
parli di cose intelligenti e uno gli fa: “Sicché vi preparate a far mostra
della vostra intelligenza?”
L’uomo del sottosuolo ci
prova: “State tranquillo, sarebbe cosa del tutto superflua”. Però rimane lì in un
posto che non gli si confà. Ai malevoli non bisogna rispondere: è inutile.
Zverkov fa un poco da paciere ma solo per mettersi in mostra, senza nessuna
benevolenza. Il bellimbusto vanta le sue conoscenze: quelle femminili e quelle
altolocate
“Tutti m’avevano lasciato a
me stesso, e io stavo seduto là umiliato, schiacciato” (99). Quindi cerca di consolarsi rimuginando pensieri di
grandezza sul proprio conto: “Credono gli imbecilli di farmi onore ammettendomi
alla loro tavola e non capiscono che
sono io, io che faccio un onore a loro”. Questo pensiero anche se è vero non
cambia niente; perché ci fosse un cambiamento bisognerebbe che un altro lo
dicesse al Nostro sul suo conto. Chi mi legga sa che a ventuno anni mi sono tirato fuori da una situazione
del genere, dove mi ero follemente cacciato, grazie a un gentiluomo che notò e
mi fece riconoscere quanto di buono e di bello c’era in me. Ma il Nostro si
vergognava di quello che aveva addosso: “Oh dannati pantaloni! Zverkov deve
avere notato già da prima la macchia gialla sul ginocchio” .
Anche la trasandatezza può
diventare un segno di distinzione attraverso la categoria letteraria della
sprezzatura.
Il Nostro pensa di andarsene
“ E domani magari un duello” (p. 100). Invece rimane dov’è e “beve bicchieri su
bicchieri”. Si ubriaca e interviene peggiorando la situazione. Prova a fare un
discorso alternando minacce a lusinghe ironiche. Finchè arriva a proporre il
duello provocando risate per quanto tale pretesa era poco adatta alla sua
figura. Ciascuno parlando dovrebbe dire parole e fare gesti che gli si addicono,
eventualmente un poco al di sotto di quello che sa e sa fare, mai al di sopra.
Il nostro uomo non se ne va
pensando di fare dispetto a tutti con il restare dov’è. Ma nessuno badava a
lui. Gli altri parlavano cordialmente tra loro. Lui provava a sorridere
sprezzante e a passeggiare per la stanza volendo mostrare indipendenza. Lo fece
per tre ore: “dalle otto alle undici, sempre sullo stesso posto, dalla tavola
alla stufa e dalla stufa di nuovo alla tavola Così passeggio per conto mio e
nessuno può vietarmelo” (p. 103)
E’ un moto che simboleggia la
vita di quuest’uomo chiuso in un andirivieni senza alcun progresso.
Bologna 28 ottobre 2025 ore
19, 41 giovanni ghiselli
p. s
Statistiche del blog
All time1837196
Today1008
Yesterday917
This month18999
Last month14471