lunedì 27 ottobre 2025

Conferenza del 14 novembre nell’Hotel Alexander di Pesaro. Decima parte


Alessandro-F. Marcucci Pinoli di Valfesina: DIALOGHI TRA E CON LE PAROLE –EDIZIONI

GIUSEPPE LATERZA , Bari, 2022. Capitolo 3

 

In questo capitolo troviamo un confronto tra EMPATIA e SIMPATIA.

Apparentemente i loro significati sono molto simili e possono sembrare tali ma non lo sono.

Perché invero le persone use a leggere più che a chiacchierare sanno che le differenze non mancano. Chi è abituato a leggere, studiare e riflettere, quando ha dei dubbi sul significato vero-étymos- di una parola, ricorre all’etimologia.

 

SIMPATIA dunque “deriva dal greco ‘sym-pathéo’, che letteralmente significa provare le stesse emozioni di qualcuno, mentre EMPATIA ha un significato leggermente diverso poiché deriva sempre dal greco, ma da én- pátheia che significa ‘essere dentro’ i sentimenti, le emozioni di un’altra persona”.

 

La SIMPATIA dunque “si vantava di essere presente in persone che si sentono in qualche modo d’accordo con altre per una certa somiglianza”.

 

Succede che possiamo provare tale sentimento anche per le cose: nei confronti di un ambiente naturale per esempio. Il paesaggio può ricevere anche il ruolo di Mentore: H. Hesse in Peter Camezind  scrive:"Le montagne, il lago, le tempeste e il sole erano i miei educatori ed amici che per molto tempo mi furono più cari degli uomini e del loro destino"[1].

 

Questo giovane poteva dialogare con i monti che sentiva simili a sé.

A me capita con il mare e i colli di Pesaro o con il Sole quando dal molo del porto lo vedo tramontare nel mare nei giorni più luminosi e belli dell’anno. Da bambino a Moena parlavo con le montagne antropomorfe che per loro umanità mi rispondevano.

 

Ma torniamo al Nostro autore: “L’Empatia si sentiva superiore perché poteva essere presente in persone che provano questo sentimento anche per coloro di cui non condividono scelte, comportamenti o reazioni a certi eventi”.  E’ il sentimento della comprensione che sentiamo per chi se la passa male e può essere simile a noi  ma anche diverso.

Pirandello identifica tale compassione con l’umorismo che significa appunto mettersi nei panni di chi soffre.

Nel suo saggio più noto, L’umorismo appunto, del 1908, l’Agrigentino fa tre esempi mostrando come si passa dal comico aristofanesco, che non riflette, alla riflessione, che cerca di comprendere, propria dell’umorismo fatto risalire a Socrate: “Umorista non è Aristofane ma Socrate…Socrate ha il sentimento del contrario; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale”[2].

Su Socrate umorista ho dei dubbi, il Socrate di Platone è piuttosto uno che indaga arrivando a trovare dei dogmi e per smontare quanti presentano dogmi diversi dai suoi usa l’ironia.

 

  Il primo esempio di Pirandello è quello celeberrimo della “vecchia signora coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa prima impressione cronica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario”.

Ma poi interviene la riflessione che suscita  il sentimento del contrario ossia l'umorismo :"Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’ inganna che, parata così, nascondendo in tal modo le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico"[3].

Si tratta insomma di riflettere sul dolore di chi ci farebbe ridere, di sentire la sofferenza insieme con chi soffre, di simpatizzare-sumpaqei`n appunto- con lui ricordando le nostre difficoltà . Può capitare anche a un giovane sia pure meno facilmente che a un vecchio.

 

La SIMPATIA si vantava di essere presente solo verso chi le assomiglia. Insomma di essere selettiva”.

Simpatia di chi studia  per gli studiosi ad esempio

“Insomma si prova simpatia per una certa comunanza emotiva, derivante da quella somiglianza che ci fa sentire simili.

 

“Ma l’EMPATIA urlava di sentirsi superiore perché non ha bisogno per esistere di assomigliare ad un altro o avere gli stessi valori o opinioni o idee. Perché è ‘a prori’ e cioè può comprendere l’altro, il suo vissuto, mettersi nei suoi panni, nelle sue scarpe e sentire le sue emozioni anche se non sono le proprie. Ecco perché mi sento superiore ! In quanto posso partecipare alle sofferenze dell’altro pur non avendo avuto la stessa esperienza” (p. 18).

Penso all’empatia con le sofferenze dei bambini di Gaza: non soffriamo come loro eppure soffriamo vedendo quello che subiscono.

 E’ la terapia del rovesciamento che significa mettersi nei panni (o nei piedi degli altri).

Vale in tutti i rapporti umani. Quando parliamo dobbiamo metterci nei panni di chi ci ascolta e domandarci se quanto stiamo per dire può interessare.

Teofrasto, succeduto ad Aristotele nella direzione del Liceo, ha scritto un’operetta Caratteri (319) che passa in rassegna trenta tipi differenti di importuni, presentati come personaggi piuttosto ridicoli che malvagi. Comunque insensibili e maleducati. Quello che ci interessa è il settimo, il ciarliero-lavlo~ che ha il vizio della chiacchiera- laliav-  E’ connotato da una forma di incontinenza: quella della parola: -ajkrasiva tou` lovgou-: gli scappa dalla bocca. Il malcapitato che lo incontra cerca di svignarsela ma il maniaco della chiacchiera cerca di accompagnarlo dovunque abbia detto di dovere andare.

Un tipo del genere si trova anche nella Satira I, 9 di Orazio. Il poeta passeggiava per la via Sacra assorto nelle sue divagazioni quando lo accosta un seccatore conosciuto solo di nome. Il Venosino cerca di scansarlo ma quello  non si vergogna di insistere. Arriva a dire “misere cupis abire: iamdudum video: sed nihil agis; usque tenebo- persequar hinc quo nunc iter est tibi” (vv. 14-15), hai una voglia disperata di andartene, lo vedo da un pezzo: ma puoi farci niente; ti terrò in pugno senza mollare, ti seguirò di qui fin dove ora intendi andare.   Costui seguita a chiacchierare senza tregua e chiede una raccomandazione, altro vizio italico, mentre il poeta suda e abbassa le orecchie come l’asinello che sopporta di malanimo una soma troppo pesante: “demitto auricolas, ut iniquae mentis asellus- cum gravius dorso subiit onus”(19- 20). Alla fine il poeta viene salvato da un avversario che trascina in giudizio questo disturbatore tenace. Sic me servavit Apollo (78)  conclude Orazio.  Contro tali tigne ci vuole un intervento divino.

 

Torniamo al Nostro autore e alla sua EMPATIA

“Insomma non ho bisogno neanche della tua simpatia, perché ho la capacità di conoscere nell’altro la nostra stessa umanità” (p. 19)

 

Almeno una conoscenza è necessaria: quella che Teseo si attribuisce nell'Edipo a Colono : "e[xoid j ajnh;r w[n", so di essere un uomo (v.567). E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile. E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che si diffonderà in età ellenistica e partorirà l'humanitas latina.  

Una simile professione di umanesimo, quale interesse per l'uomo e disponibilità ad ascoltarlo, ritroviamo nel  più    famoso verso di Terenzio

( Heautontimorumenos  77) :"Homo sum: humani nil a me alienum puto ".

 

" non ignara mali [4]miseris  succurrere disco " dice Didone ai naufraghi troiani (Eneide, I, 630)  non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati .[5]

 

 Cito le ultime parole del capitolo 3

“Ed ora un mio consiglio: “ cercate di avere entrambe queste due importanti, utili e indispensabili doti…e cioè EMPATIA e SIMPATIA insieme!”

Faccio un esempio di questo convergenza : la simpatia dei viventi per l’acqua: ci è simpatica perché è ottima (Pindaro, Olimpica I, 1) e ci piace ed è “sor’ Aqua/, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta” Francesco d’Assisi, Cantico di frate Sole, vv. 15-16) , ed è empatica perché siamo fatti in gran parte di acqua: ce l’abbiamo dentro (ejn)

 

Bologna 27  ottobre 2025 ore 11, 51 giovanni ghiselli.

p. s.

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[1] H. Hesse, Peter Camezind. p. 12.

[2] Pirandello, L’umorismo, p. 45.

[3] Luigi Pirandello, Op. cit., p. 173.

[4] Locus similis nell'Antigone, (del 442 a. C.) quando Euridice si prepara a ricevere la notizia della morte del figlio Emone:"kakw'n ga;r oujk a[peiro" " (v. 1191), infatti non sono inesperta di sventure. 

[5]Tale dichiarazione di umanesimo viene  echeggiato  dalle prime parole del Decameron (composto tra il 1349 e il 1353):"Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti", i quali, nella fattispecie, sono in particolare le donne innamorate


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