Rodion va a trovare la madre. La sorella non è in casa. Pulcherja ha visto l’articolo del figlio e gli dice che è un genio: suo marito aveva cercato di pubblicare e non ci era riuscito. Il ragazzo dice alla madre che la ama più di se stesso. Dice che è in partenza. Chiede di pregare Dio per lui. Cade in ginocchio e le bacia i piedi.
Tornò a casa dove trovò la sorella
Le dice che andrà a costituirsi visto che non ha avuto il coraggio di uccidersi ma rifiuta il termine delitto per quello che ha fatto: ha ucciso una vecchia usuraia che succhiava il sangue ai poveri.
Ho versato del sangue, quel sangue che è sempre scorso nel mondo come una cascata, quel sangue per cui si viene incoronati in Campidoglio. Io volevo una posizione indipendente per fare del bene. Se fossi riuscito mi avrebbero incoronato, ma non ce l’ho fatta perché sono un vigliacco.
E’ la forma che non va, non è esteticamente soddisfacente. Distruggere il prossimo con le bombe è forse un modo più rispettabile?
Quindi chiede perdono a Dunja e le raccomanda la mamma.
“Ora tutto andrà in maniera nuova, sarà il contrario di prima”
I fratelli escono e si separano per strade diverse.
Raskolnikov guarda le facce dei passanti pensando che lo esilieranno perché la gente usuale lo pretende. Vanno e vengono per la strada e sì che ciascuno di loro è per sua stessa natura un bandito o un mascalzone, o peggio un idiota eppure se non mandassero me ai lavori forzati si infurierebbero pieni di nobile sdegno (587)
Entra nella stanza di Sonja al crepuscolo. In giornata Sonja e Dunja si erano frequentate ed erano diventate amiche. Entrambe temevano che Rodiòn potesse suicidarsi. Sonja guardava dalla finestra, in ansia ma di lì si vedeva solo il muro della casa di fronte. Arriva Rodion e le dice che ha deciso, ma gli fa rabbia che tanti ceffi stupidi e bestiali gli rivolgeranno domande e lo mostreranno a dito.
Sonja gli mise al collo la croce di cipressi. Poi la ragazza piange e il ragazzo pensa: “ perché se la prende tanto, perché mi fa da bambinaia?” Lei vorrebbe accompagnarlo ma lui la maltratta: “ci manca solo la scorta” borbotta e si avvia da solo.
Va in piazza Sennàja osserva la gente. In mezzo alla piazza si ricordò delle parole di Sonja quando gli disse di inginocchiarsi e baciare la terra (cfr. I fratelli Karamazov) Si inginocchiò in mezzo alla piazza si chinò fino a terra e la baciò, sporca com’era, comunque con un senso di voluttà e di gioia. Poi si alzò di nuovo e tornò a chinarsi.
Nel romanzo Fratelli Karamazov, lo Starez Zosima dice che bisogna benedire la vita. La vita su questa terra è un paradiso (p. 380). Gli uomini sono infelici perché seguono la scienza che serve solo a soddisfare i bisogni superflui. Il popolo che segue Dio è migliore delle classi elevate che seguono la scienza. Il popolo russo è pio ed è migliore di quello europeo socialista e violento. Guai a chi offende i bambini che sono innocenti e vivono per la purificazione dei nostri cuori. Bisogna amare anche gli animali siccome tutte le manifestazioni della vita sono collegate tra loro, tutto scorre e interferisce insieme.
Cfr. Platone: tutta la natura è imparentata con se stessa
(th'" fuvsew" aJpavsh" suggenou'" ou[sh", Menone, 81d).
Dostoevskij fa dire allo stariez Zossima che "il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore"[1].
Bisogna dunque cogliere i nessi.
“Bagna la terra colle tue lacrime di gioia e ama queste stesse lacrime” (p. 404)
Che cosa è l’inferno? La sofferenza di non potere più amare.
Che sbornia!” osservò un giovanotto accanto a lui. Rodion si sentì rimescolare fino in fondo all’anima. Si udirono delle risa e altri commenti. L’assassino si avvia al commissariato e scorge Sonja. Allora capì che quella ragazza era con lui per sempre, che lo avrebbe seguito fino in capo al mondo. Rimane incerto fino all’ultimo se fare o no la confessione.
Da una stanza esce Pòroch il vicecommissario e fa delle chiacchiere. Gli dà dell’asceta, del monaco, dell’eremita: per voi ogno allettamento della vita nihil est. Le parole per la maggior parte piovevano e rintronavano nelle sue orecchie come suoni privi di senso. Il poliziotto dice che è in aumento il numero di suicìdi. Fa il nome di Svidrigàjlov. Raskolnikov ha la sensazione di un gran peso addosso ed esce. Nel cortile c’era Sonja pallida e tramortita. Rodion risale le scale e torna da Poroch
Quindi dice:” Sono stato io”.
Epilogo (603)
Al processo Raskolnikov ha raccontato i fatti senza confondere né attenuare le circostanze. Ha indicato il nascondiglio degli oggetti e del borsellino rubati. Gli inquirenti e i giudici si meravigliarono molto che non avesse usato quel denaro. Sembrò inverosimile che non avesse nemmeno aperto il borsellino dove c’erano 317 rubli. Pensarono che avesse compiuto il delitto in stato di alienazione mentale. Disse che lo aveva fatto per la miseria nella quale viveva.
Ebbe una pena relativamente mite: i lavori forzati di seconda categoria per 8 anni. La sentenza ci fu 5 mesi dopo la confessione.
Razumichin e Sonja andavano a trovarlo in prigione.
Poi lo mandarono in Siberia dove si trova da nove mesi ed è passato quasi un anno e mezzo dal delitto. Sonja con il denaro donatole da Svidrigailov seguì lo scaglione di detenuti con il quale partì Rodion.
Razumichin e Dunja si sposarono. Alle nozze invitarono Porfirij e Zòsimov il medico. Razumichin riprese l’Università e progettava di trasferirsi in Siberia con la moglie.
Pulchèrija morì di febbre cerebrale. Sonja teneva i contatti epistolari con Dunja e Razumichin. Scriveva che Rodion aveva sempre un’aria cupa, parlava poco e poco si interessava alle notizie che Sonja gli portava. Il cibo, tranne che per le feste, era tanto cattivo che lui aveva accettato un po’ di denaro da lei per potersi fare del tè ogni giorno, ma le premure lo infastidivano. Dormiva su un pezzo di feltro steso su un tavolaccio. Mostrava indifferenza verso le proprie condizioni di vita. Con Sonja era perfino sgarbato, ma si era anche assuefatto a quei colloqui. Lavorava nelle officine e nelle fabbriche di mattoni o sulla riva dell’Jrtyš
Sonja lavorava di cucito e, per la carenza di modiste in quel luogo, era diventata indispensabile in molte case, aveva fatto conoscenze, e aveva trovato qualche protezione. Grazie al suo aiuto, Raskolnikov aveva ottenuto la protezione dei superiori che gli assegnarono un lavoro più leggero ed altre facilitazioni.
Poi però si era ammalato ed era stato ricoverato in ospedale.
La sua fibra non era stata spezzata dall’insipida broda di cavoli con gli scarafaggi dentro, da studente spesso non aveva avuto nemmeno quella, né dalla testa rasata, né dal vestito strappato che del resto teneva caldo.
Bensì perché davanti a Somja si vergognava siccome si era rovinato per sempre in maniera cieca e ottusa per una strana condanna della sorte. Sarebbe uscito a 32 anni, ma per fare che cosa? Vivere per esistere forse? L’esistenza pura e semplice non gli era mai bastata. Per la violenza dei suoi desideri aveva pensato che a lui era consentito più che agli altri. Non sentiva nemmeno pentimento del suo delitto
Pensava che se usciva dalla banale logica quotidiana la sua idèa non era poi così strana.
L’avevano avuta anche altri uomini che passano per benefattori dell’umanità. “Ma quelli che hanno saputo resistere al peso delle loro azioni hanno avuto ragione, mentre io non ho saputo reggere quel peso e quindi non potevo permettermi quell’azione. Il vero delitto è stato quello di non averne retto il peso e quindi di essersi costituito”.
Poi si chiedeva perché non si fosse ucciso come Svidrigailov aveva avuto il coraggio di fare. Non capiva ancora che non essersi ucciso preludeva a una futura rinascita.
Era come se vivesse a occhi bassi: non ce la faceva a guardarsi intorno. Vedeva un abisso invalicabile tra sé e gli altri. C’erano dei deportati politici polacchi che disprezzavano la massa ma erano ancora più stupidi. Poi tre russi pieni di superbia, un ex ufficiale e due seminaristi. Il suo disprezzo e odio per gli altri era contraccambiato. Lo deridevano: “tu sei un signore, altro che mettersi a maneggiare la scure! Non è roba per signori!” gli gridavano.
A un certo punto un tale voleva ammazzarlo come un senza dio. Ma uno della scorta fece in tempo a mettersi tra lui e il criminale.
Invece Sonja era benvoluta da tutti, sebbene non facesse nulla di speciale per ingraziarsi qualcuno in particolare. Solo a Natale aveva portato in dono a tutti i carcerati panini bianchi e pagnottine dolci. Un po’ alla volta prese confidenza e scriveva le lettere per i parenti dei forzati. Questi. quando la vedevano, si levavano il berretto e dicevano: màtuška Sòfja Semënovna, sei la nostra mammina dolce e brava!” Questo dicevano quei rozzi, incalliti forzati alla piccola e gracile creatura. A loro piaceva anche l’andatura di Sonja e la lodavano pure per il fatto che era piccola. Andavano da lei perfino per farsi curare. Raskolnikov aveva dei deliri e vaneggiamenti febbrili durante i quali immaginava pestilenze inaudite. La seconda settimana dopo Pasqua arrivò la primavera: in ospedale si aprivano le finestre ma nella corsia dei detenuti c’erano delle inferriate e sotto una sentinella. Sul far della sera Sonja andava sotto la finestra e una sera Rodion la vide. Ma poi la ragazza si ammalò e non poteva muoversi. Sonja gli mandò un biglietto minimizzando la sua malattia del resto non grave. Rodion sentì il proprio cuore battere forte con una forza dolorosa.
Bologna 19 ottobre 2025 ore 16, 14 giovanni ghiselli
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