domenica 26 ottobre 2025

Conferenza del 14 novembre a Pesaro. Quinta parte.


  Volgarità- Sprezzatura .

 

E’ il titolo di un bel capitolo (12, pagine 45-47) del libro Dialoghi tra e con le parole di Alessandro Marcucci Pinoli di Valfesina.

La Volgarità si  manifesta con rabbia e furia; la Sprezzatura si esprime con calma “e parlava piano”.

La Volgarità cerca di scuotere la serenità olimpica della Sprezzatura dicendole: “Ebbene, gentilissima signora SPREZZATURA, io lo so che lei appartiene a quei poveri SNOB che sono costretti fin fa piccoli a controllarsi a tal punto da dover ingoiare qualsiasi offesa in onore della vostra ridicola educazione che vi hanno inculcato fin dalla nascita” (…)

A queste parole la Sprezzatura dà una risposta che chiarisce a molti ignoranti che si vantano di essere snob qual è il significato vero di queste quattro lettere spesso fraintese.

Lo snobismo è volgarità

“Mi permetto di contraddirla perché quanto asserisce è del tutto errato in quanto la parola SNOB deriva dall’abbreviazione delle parole latine SINE NOBILITATE, che veniva usata nei registri dei Collegi  Inglesi da quando iniziarono ad ammettere studenti nella nuova middle class arricchita, che però non avendo titoli nobiliari come Duca, Marchese, Conte ecc. , da mettere dopo il nome e cognome, ci si limitava a scrivere appunto SNOB”.

E’ una buona lezione data a quanti affermano di essere snob credendo che questa parola sia un predicato di nobiltà. In effetti vantarsi del proprio snobismo è un’autodenuncia di volgarità e di ignoranza plebea.

Nel Dizionario etimologico della lingua inglese di Walter Skeat della Oxford at the Clarendon press del 1882-ristampa 1984- l’autore scrive: “snob, a vulgar person, also, a journeyman shoemaker, a land servant, usually in a ludicrous sense  (p. 497) snob, una persona volgare, anche,   un  ciabattino a giornata, un servo della gleba, di solito in senso irrisorio.

Sono davvero ridicole le perone volgare che credono di nobilitarsi dicendo; “io sono uno snob”.

Quindi il nostro autore menziona Il cortegiano di Castiglione che biasima l’affettazione quale aspro scoglio  e raccomanda la sprezzatura.

Baldassarre Castiglione nel libro Il cortegiano[1]  prescrive al gentiluomo di fuggire sopra tutto "la ostentazione e lo impudente laudar se stesso, per lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode" (I, 17). Egli deve schivare "quanto più si pò, e come un asperissimo e pericoloso scoglio, la affettazione; e, per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura", ossia una studiata disinvoltura, "che nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo  credo io che derivi assai la grazia… " (I, 26).

"Questa virtù adunque contraria alla affettazione…chiamiamo sprezzatura" (I, 28). Un esempio:"nel danzare un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non sforzato, subito manifesta il sapere di chi danza" (I, 28).

 

Alla fine di questo capitolo educativo Marcucci Pinoli presenta il personaggio signorile con queste parole  : “questa ormai poco conosciuta SPREZZATURA altro non è se non “quell’atteggiamento improntato a un senso di superiore distacco con una gradevole apparenza di spontaneità e di naturalezza (…)

Quindi l’autore dà la parola alla stessa SPREZZATURA che, parlando alla Volgarità, ,si autodefinisce: “Io praticamente sono l’atteggiamento studiatissimo , voluto e ricercato di piena disinvoltura, di naturale spontaneità, fino alla trascuratezza, volto ad ostentare, un’abilità e una sicurezza assoluta, che deve apparire come non avere richiesto alcuno sforzo (p. 47)

A proposito della “apparenza di spontaneità” e di “atteggiamento studiatissimo” della Trascuratezza, ricordo il personaggio Clorinda del poema di Torquato Tasso: “le negligenze sue sono artifici” (II, 37), quindi cito l’ossimoro di Parini: il suo giovin signore presenta la chiome  disordinate sì, ma “con artificio negligente”.

 

Il conte Alessandro Manzoni conosce bene la regola dell'affettazione/sprezzatura. Nell'Introduzione a I promessi sposi squalifica lo stile del "buon secentista" definendolo "rozzo insieme e affettato..Ecco qui: declamazioni ampollose, composte a forza di solecismi pedestri, e da per tutto quella goffaggine ambiziosa, ch'è il proprio carattere degli scritti di quel secolo, in questo paese". Quindi la decisione di "rifarne la dicitura". Viceversa, per quanto riguarda lo stile alto del comportamento, possiamo notare quello dei personaggi invitati  dal conte zio per dare un'impressione di potenza al padre provinciale:"gli fece trovare una corona di commensali assortiti con un intendimento sopraffino. Qualche parente de' più titolati, di quelli il cui solo casato era un gran titolo; e che, col solo contegno, con una certa sicurezza nativa, con una sprezzatura signorile, parlando di cose grandi con termini famigliari, riuscivano, anche senza farlo apposta, a imprimere e rinfrescare, ogni momento, l'idea della superiorità e della potenza"[2].

Un correlativo stilistico letterario di questa neglegentia è l'ajmevleia che l'Anonimo Sul sublime[3] attribuisce a Omero e ad altri grandi della letteratura come Sofocle, Pindaro, Demostene e Platone. L'autore annovera Omero tra i grandissimi nei quali egli stesso ha rilevato non pochi difetti ("oujk ojlivga...aJmarthvmata") i quali però non sono errori volontari ma piuttosto sviste dovute a casuale noncuranza ("paroravmata di' ajmevleian eijkh'/") e prodotte distrattamente dalla loro stessa grandezza (33).

Infine il conte Leopardi: “E’ bellissima nelle scritture un’apparenza di trascuratezza, di sprezzatura, un abbandono, una quasi noncuranza. Questa è una delle sprecie della semplicità. Anzi la semplicità più o meno è sempre un’apparenza di sprezzatura (…) perocch’ella sempre consiste nel nascondere affatto l’arte, la fatica e la ricercatezza” (Zibaldone,3050- 3051) 

 

 

Non pochi giovani della mia generazione assumevano la posa della trascuratezza. Alcuni ne hanno fatto uno stile conservando quell’abitudine  per decenni dopo che è passata di moda.

Nei libri buoni può riconoscersi l’umanità di ogni epoca.

 

Bologna  26 ottobre 2025 ore 11, 29.

p. s.

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[1] Il libro del cortegiano fu scritto tra il 1513 e il 1518 e venne pubblicato nel 1528.

[2] I promessi sposi , capitolo XIX.

[3] Trattato, anonimo appunto, generalmente attribuito a un retore fiorito verso la metà del I secolo d. C. Dovrebbe essere un seguace di Teodoro di Gadara che ebbe tra gli allievi anche l'imperatore Tiberio. La sua scuola sosteneva l'anomalia e l'elemento patetico che conferisce efficacia persuasiva al discorso


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