Quocumque me verti, argumenta senectutis meae video (1) Dovunque mi sono girato vedo i segni della vecchiezza mia.
Marziale sostiene che la fellatio è eterna giovinezza (Nemo est, Thai, senex ad irrumandum, IV, 50, 2) secondo me dopo gli ottanta rimane si rimane al vigoroso pathos giovanile piuttosto studiando, poi scrivendo e venendo letti. Questo ci fa sentire ancora efficienti perfino con un femore rotto.
Veneram in suburbanum meum ero andato in una mia proprietà non lontana dall’Urbe e ho visto la villa cadente, i platani in cattivo stato. Era tutto vecchio e malandato. Seneca se la prende con il fattore (il vilicus) e questo si giustifica adducendo l’età della villa da lui curata. I platani stessi erano piuttosto vecchi: “iurat se omnia facere, in nulla re cessare curam suan, sed illas vetulas esse (2), giura di avere fatto tutto, che non ha trascurato nulla.
Quod intra nos sit, ego illas posueram, ego illarum primum videram folium, rimanga tra noi, io li avevo piantati, io avevo visto le loro prime fogliare.
Poi Seneca vede un decrepitus merito ad ostium admotus, un vecchio decrepito che a ragione hanno messo davanti alla porta (come un cadavere).
Questo lo impensierisce come succede a me quando penso alla schiera dei miei coetanei già morti, o incontro a Pesaro dei vecchi consunti, teste svigorite appena riconoscibili oppure prendo in mano un vocabolario che uso da 70 anni e lo vedo malridotto.
Seneca dunque domanda al vilicus perché abbia portato in casa alienum mortuum un morto estraneo. Allora il decrepito si fa riconoscere come il figlio del fattore precedente, da bambino era stato l’amichetto tanto caro di allora deliciŏlum tuum. Seneca prova a dire che il vecchio vaneggia dentes illi cum maxime cadunt (3), ora appunto gli cadono i dento. Ma poi debeo hoc suburbano meo, quod mihi senectus mea quocumque verteram apparuit (4), devo questo alla mia villa suburbana: il fatto che dovunque mi ero voltato mi apparve la visione della vecchiezza mia.
L’ultima volta che andai a Moena un paio di anni fa, per vedere i volti dei miei compagni di giochi degli anni Cinquanta dovetti recarmi al cimitero e osservare le foto dei volti nelle tombe. Questa estate a Pesaro passavo in rassegna le case del mio quartiere dove abitavano i bambini miei complici di birichinate, e davanti a ognuna di loro nominavo il caro defunto lancia dogli un bacio e salutandolo: ciao Rodolfo, ciao Stefano, ciao Giorgio e così via. Poi pensavo che essere decrepito non è poi tanto male: è meglio che essere morti.
Ebbene “complectamur illam (senectutem) et amemus; plena est voluptatis, si illa scias uti. Gratissima sunt poma cum fugiunt, deditos vino potio extrema delectat, iucundissima est aetas devexa iam, non tamen praeceps, abbracciamola e amiamo quell’età provetta; è piena di piacevolezza, se sai farne uso. Graditissimi sono i frutti quando vengono meno, l’ultimo bicchiere affascina quelli dediti al vino, graditissima è l’età oramai inclinata al tramonto, tuttavia nom ancora nel precipizio e pure in extrema tegula nell’ultima tegola ci sono voluptates per il vecchio o, se non ci sono, significa che non ne ha bisogno.
Unus autem dies gradus vitae est (12, 6) un solo giorno poi è come un gradino della vita. Finché si è vivi e attivi si può salire e ampliare la prospettiva,
Crastinum si adiecerit deus, laeti recipiamus ( 9) se dio aggiungerà un giorno seguente, accettiamolo lieti. Chi ogni giorno può dire l’ho vissuto cotidie ad lucrum surgit, ogni giorno si alza verso un guadagno.
Personalmente lo constato la sera se qualcuno mi ringrazia per il bene che gli ho fatto scrivendo. Una soddisfazione più schietta di quando contavo un’amante di più da aggiungere al catalogo delle belle amate in vita mia.
Bologna 6 ottobre 2025 ore 17, 16.
p. s.
Statistiche del blog
All time1821660
Today333
Yesterday661
This month3463
Last month14471
Nessun commento:
Posta un commento