lunedì 31 marzo 2025

Cercare le cause più vere e quasi mai chiarite dalle parole.


 

Per quale ragione c’è tanta violenza tra i ragazzi?

Per tre ragioni soprattutto: una è che vedono la violenza diffusa nel mondo, una violenza che prevale sempre, e il più delle volte  non viene punita. L’altro motivo è che i ragazzi non sanno parlare e non hanno altro strumento che la violenza per comunicare.

Poi c’è il culto della roba che acquista le persone prima ancora di venire acquistata.

 

Leggo su “la Repubblica” di oggi:

Accoltellato al petto a 16 anni

per un giubbotto non pagato.

 “Frascati, il ragazzo è gravissimo il feritore ha 14 anni”

Sentiamo questo quattordicenne:

“Ci siamo incontrati perché gli avevo venduto un giubbotto e mi doveva ancora 60 euro. Abbiamo iniziato a litigare. Lui mi ha colpito con due pugni, io non ho capito più niente. Ho preso il coltello: mi dispiace tanto, non volevo fargli del male. Ve lo giuro” (p. 19).

Parole prive di logica. Frasi fatte imparate da altri ragazzi violenti.

Il cattivo esempio dato da tanti dunque fa cattiva scuola.

La buona scuola non funziona nell’offrire contromodelli al paradigma della violenza.

Il rimedio a tutto questo male sarebbe l’educazione. Noi vecchi l’abbiamo ricevuta dalla scuola che ci insegnava a leggere a parlare ad apprendere, a criticare.

Se tramonta e sparisce la paideia l’umanità si imbestia.

Ecco il commento del padre del ragazzo gravemente ferito:

“Tanti vanno in giro con le lame

il mio Lorenz lotta per non morire”

Bologna 31 marzo 2025 ore 20, 44 giovanni ghiselli.

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Ifigenia V. Due ragazze: una bionda, una “bruna ma carina” secondo un’antica canzone blasfema.

Il giorno dopo ci trovammo alle 7, 30 e ci avviammo verso la nostra scuola, contenti del vago avvenire che avevamo in mente. Era davvero indefinito il futuro, e pure attraente.

Infatti rimanere nell’indefinito, il to; a[peiron di Anassimandro, significa non pagare il fio dell’ ingiustizia reciproca. Avevo commesso già molti   sbagli  con le amanti precedenti quando cercavo di imporre delle regole. Cieco di mente ero stato. Solo a me stesso potevo assegnare le norme. Agli altri, alunni compresi, tutt’al più  dei propreptikoi; lovgoi discorsi esortativi.

 Di sera Ifigenia mi aveva telefonato dopo essersi rifugiata nel garage. Ci eravamo detti tante parole non poco belle.

Quella mattina camminavamo con lieta baldanza: ci sentivamo assortiti bene. Lei mi fiancheggiava a destra pavoneggiandosi. Teneva le spalle spalancate in modo da mettere in risalto il petto florido e sodo per quanto si capiva benissimo dal golf leggero che glielo copriva gonfiandosi assai. Ogni tanto poi la ragazza ne accentuava ulteriormente il rilievo mettendo entrambe le piccole mani tra i capelli ondulati, fulgide onde  che luccicavano nel mite sole della mattina di ottobre  e illuminavano l’aria. La guardavo ammirato: era bella dalla cima della piccola testa folta di gioie, alla punta dei piedi minuti. Camminava con agilità. Elevandosi un poco a ogni passo come se avesse avuto le molle dentro le caviglie sottili. Mentre procedevo al suo fianco con passo di gloria sentivo crescere il desiderio di tale creatura rara, preziosa: bella assai, giovane molto, eppure del tutto cosciente  di quanto voleva. Risoluta com’era e in grado di scegliere quello che desiderava, avrebbe reso più sicuro anche me, mentre da me avrebbe ricevuto strumenti per potenziare le sue qualità e prolungarle del tempo poiché già  allora sapevo che ogni lepóre, anche quello delle brune più belle e  più sode, ha breve durata. Avevo visto invecchiare la nonna poi le zie e  la mamma con il volgere delle stagioni. Anche io che pure mi difendevo bene dall’inesorabile tempo non ero più il giovanotto grazioso, scherzoso e simpatico dei primi anni Settanta nelle estati più belle di Debrecen, già finite come ogni cosa con il volgersi delle stagioni che portano via tutto e tutti. 

Arrivati al portone del liceo, ci separammo: io dovevo fare lezione all’ultimo piano, in cima a sei rampe di scale, lei aveva la classe in fondo al piano terreno. La salutai con un cenno da collega a collega, e mi lanciai su per le scale, di corsa. Saltavo, sia per bruciare il  superfluo, la carne non mia, sia per manifestare a me stesso la gioia e la moltiplicata vitalità, sia per ringraziare gli dèi del bonus che mi avevano dato volendo compensarmi dei tre anni di studio continuo cui avevo dedicato quasi tutto il mio tempo  pressocché maniacalmente, proprio per meritare il premio tanto sperato. Se perdevo il posto al liceo, e finivo al ginnasio, pensavo per consolarmi della probabile degradazione, lì avrei dovuto insegnare anche italiano e ne avrei tratto stimoli non solo per rivedere la nostra letteratura, ma per studiare anche le maggiori europèe, l’inglese, la tedesca, la russa e la francese. “Magari pue la ceca”  mi dissi ricordando Helena di Praga e l’aurea primavera di dieci anni e mezzo prima, con gratitudine alla biondina ventenne. Avevo passato con lei una Pasqua di resurrezione personale. Una delle poche bionde della mia vita.

Blèn prò, si dice a Pesaro, bellina però, una ragazza bionda ma carina.

Non “bruna ma carina” come sproloquiava una canzoncina in voga alla fine degli anni Cinquanta quando ero innamorato della bruna Marisa una compagna di scuola che mi appariva come la fanciulla più bella del mondo. Era anche brava a scuola. Io l’amavo. Non contraccambiato purtroppo. Non glielo dissi nemmeno. Glielo dico ora che nel cielo sta. 

 

Ma torniamo alla bella bruna del 1978. In quei giorni Apollo dalle cui corde vengono scagliate le indomabili frecce che prostrano i mostri ostili alla vita, e Afrodite che invita all’amore  con fiammeggiante sorriso, come stava facendo Ifigenia con me, emulando la dea,  Febo e Cipride dunque, dèi tutt’altro che falsi e bugiardi secondo l’empia calunnia curiale, avevano esaudito le mie preghiere indirizzate al cielo diurno e notturno nel mese di agosto, quando in solitudine ascetica durante il giorno pedalavo la bicicletta su e giù per i monti dell’Ellade piena di dèi,  e pure nelle notti serene mentre guardavo le stelle  disteso sopra il tetto del povero ostello di Micene, da dove la veduta del cielo e del mare non mi era tronca.

Alzavo preghiere agli dèi e  non chiedevo i miseri quattrini per fare le successive vacanze a Cortina in mezzo a gente troppo diversa da me, bensì l’amore di una femmina umana auspicavo, una creatura radiosa e di levatura mentale non inferiore alla mia.

Come era Marisa nel 1958. Eravamo i più bravi della scuola media Lucio Accio di Pesaro e come uscimmo dalla prova scritta di latino nell’esame che ci avrebbe aperto le porte del Liceo classico Mamiani situato nel piano nobile, sopra le medie, confrontammo le traduzioni e tutti gli scolari delle nostre due classi, la mia maschile, la sua femminile, ci stavano intorno per avere lumi.

Al ginnasio ci avrebbero messi di nuovo in classi diverse perché allora le femmine dovevano studiare francese e tenere sopra gli abiti un lungo grembiule abbottonato, una specie di tonaca nera, e noi l’inglese ancora in calzoni corti. Monachelli ci facevano far.

 

Bologna  ore 19, 04 giovanni ghiselli

 

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Ifigenia IV. La brama amorosa che trafigge le ossa deve pazientare.


Finite le ore di scuola, ci incontrammo di nuovo nel bar dell’intervallo. Poi ci incamminammo verso via Ugo Bassi. Avevo lasciato la bicicletta nel cortile della scuola e Ifigenia doveva prendere l’autobus in via Rizzoli per raggiungere il suo quartiere.

Iniziai chiedendole quali materie insegnasse e se avesse un amore in corso.

Rispose che insegnava italiano e latino e avrebbe voluto riprendere il greco aiutata da me. Poi disse di essere maritata non bene e che sentiva il bisogno di un uomo come me, anzi proprio di me.

“Ora dunque devi dirmi qual è la tua disponibilità”.

“A darti una mano nel greco  è incondizionata, ad avere una relazione amorosa invece è soggetta alla mia situazione. Io non sono sposato, ci mancherebbe altro, ma ho dei problemi nel lavoro. Conoscerti profondamente e meravigliosamente mi attira, come potrei non essere attratto da te? Sei così bella, intelligente e decisa! Però, da quando è cambiato il preside, io   sono inceppato da fastidiosi intrighi nati e cresciuti nell’ambiente che condividiamo, ceppi che potrebbero bloccare anche te, se lasciassimo vedere una relazione tra noi a certi  furfanti bigotti. Io sto lottando contro il dirigente e la sua vice per non perdere la mie classi liceali. Sono già tre anni che insegno al liceo e mi sono ammazzato di lavoro per farlo in maniera prima faticosa, poi decente, quindi sono arrivato  a fare lezioni di buon formato e di soddisfazione per me e gli studenti. Credo che l’interesse  che tu  mi dimostri sia la mia borsa di studio, un premio che all’inizio era follia sperare. Tu sei tale grazia divina  desiderata per tutta la vita.

Al ginnasio dovrei insegnare prevalentemente , secondo alcuni esclusivamente i tecnicismi grammaticali e sintattici  che richiedono meno impegno e questo non mi arride.  Non è il mio lavoro occuparmi solo di spiriti aspri o dolci, di accenti acuti o gravi di grammatica e prosodia con tribrachi e molossi, senza leggere e commentare i testi. Se dovrò cambiare, cercherò un mutamento in meglio, di tipo universitario, non in peggio. Del resto per ora il triennio liceale mi va benissimo. Andare al ginnasio invece mi sa di retrocessione e regredire è quasi sempre dolore e follia.

Pare che una nipote della vicepreside  che gestisce ancora del potere e condiziona quel pover’uomo del preside nostro, entrata nella mia prima liceo abbia detto alla zia che le mie lezioni sono troppo difficili. Sicché la cricca  dei docenti senatori si è accordata per mettere al mio posto una collega dai voli più bassi, una buona persona per carità, ma quasi tutti i miei studenti vogliono me, hanno chiesto che io rimanga con loro e questo ha creato una forte ostilità dei dirigenti  nei miei confronti.  La mia difesa nella nostra scuola sono questi allievi che si sentirebbero traditi se me ne andassi senza avercela messa tutta per restare con loro.

 Mi sento in dovere di ringraziarli del loro appoggio, necessario dal momento che voglio  evitare la regressione, e mi impegno a fare lezioni sempre più ricche, più belle, e per questo devo studiare molto: tutto il pomeriggio. Voglio dare una visione della cultura europea insegnando greco e latino. Di sera qualche volta mi vengono a trovare un paio di donne, una alla volta, due amanti che non amo, né loro amano me, per cui le lascerò appena potrò fare l’amore con te. Ma non è ancora il momento. Facciamo così collega carissima, deliziosa signora dal marito di levatura non confacente alla tua: prendiamo un poco di tempo prima di provare a imbarcarci in una relazione amorosa. Intanto possiamo parlare a scuola e magari, se puoi, vederci qualche volta di sera, anche per verificare se oltre la brama erotica che trafigge le ossa, le mie di sicuro, e forse anche le tue, c’è anche dell’ altro nutrimento per il nostro amore e un viatico sufficiente per una bella traversata insieme su un vascello nostro. Sono  cresciuto a Pesaro e le metafore marine mi piacciono, quanto il pesce che qui non si mangia”. Tendevo a sdrammatizzare e banalizzare ma Ifigenia mi richiamò all’ordine, alla parte della mia identità che più le piaceva.

 

“Quello della brama che trafigge le ossa chi è?”, domandò manifestando attenzione a quanto dicevo e una certa complicità “sapienziale” oserei dire.

“Archiloco: “povqw/ peparmevno~ di’ ojstevwn”, risposi.

“Dimmi anche una metafora marina tratta da un testo greco, per piacere”

“Volentieri: “povli~ h[dh saleuvei

“Questo chi è, e che cosa fa la città?”

“E’ l’Edipo re di Sofocle, la città è Tebe che fluttua agitata dalle onde della peste e della sterilità, come il nostro liceo da quando l’onesto gentiluomo Piero Cazzani è andato in pensione”

“Vedi che funzioniamo?” fece lei sorridendo amabilmente come Afrodite.

“E come no!” risposi tutto contento.

Intanto il suo autobus era arrivato e Ifigenia vi salì facendomi il segno di un bacio che ricambiai. Tornando a scuola, poi a casa in bicicletta pensavo che potevamo funzionare. Ci eravamo accordati  di vederci per la mattina seguente lì alla fermata di via Rizzoli, Saremmo andati al lavoro facendo la strada insieme, da buoni colleghi: una giovane assai, e bella molto, l’altro pur sempre  un giovanotto di trentaquattro anni non ancora compiuti, per lo meno piacente, un lepido moretto  di belle speranze. Così mi sentivo.

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 18, 37 giovanni ghiselli

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Joyce Ulisse ancora il VII episodio “Eolo il giornale”, XII parte. Ripeness is all, Maturità è tutto.


 

Israele durante la cattività egiziana è paragonabile all’Irlanda oppressa nel discorso di Taylor in dìfesa del gaelico. Tuttavia tra i patriotti irlandesi non è assente l’antisemitismo come vedremo nel dodicesimo episodio Il Ciclope , la taverna.

 

Ominous for him 127 Malaugurio per lui 197

Seguitani le chiacchiere vuote di senso e di costrutto come leggiamo spesso nei giornali e sentiamo ripetere in televisione. Parole avulse dalla realtà. Finché Stephen propone di andare a bere in un pub vicino: “Posso proporre che l’assemblea si aggiorni?

O’ Madden propone una coppa di vino da un taverniere antico.

Sembrano dei goliardi, uomini immaturi.

Quando invece la maturità è tutto.

Gli uomini  devono sopportare/l’uscita di qui come la loro entrata./L’esser maturi è tutto (ripeness is all)”  dice Edgardo non ravvisato da suo padre  Gloster che vuole imputridire dove si trova (W. Shakespeare, King Lear, V, II, vv. 9-11).

Leopardi trova che nella sua età prevalgano persone   infantilmente insensate[1]: "Amico mio, questo secolo è un secolo di ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche preparatorie"[2].

Nel Satyricon, il retore Agamennone dice: "Nunc pueri in scholis ludunt, iuvenes ridentur in foro, et quod utroque turpius est, quod quisque puer perperam didicit, in senectute confiteri non vult" (4, 4), ora i ragazzi nelle scuole giocano, da giovani adulti vengono derisi nel foro, e quello che è peggio dell'una e dell'altra cosa, è il fatto che quanto ciascuno ha imparato male, nella vecchiaia non vuole ammetterlo

 

Lenehan propone una votazione e la mozione è approvata. Si esce e si va da Mooney. Si rifiuteranno acque forti.

 

Noi da studenti si andava da Lamma verso mezzanotte ma avevamo venti anni. A ventitrè eravamo già più maturi. Era il 1968.

 

O’ Madden  disse “dai Macduff” – lay on, Macduff citando tre fra le ultime parole di Macbeth (V, 7) già vicino alla morte.

 

Sono le citazioni avulse dal contesto fatte per apparire colti. Capita di sentirle anche da studiosi seri quando dimenticano la serietà.

 

Il direttore batte un colpo sulla spalla di Stephen e dice: “Buon sangue non mente!” Questa è una battuta infantile o plebea. Quindi gli promette di pubblicare l’articolo sull’afta epizootica.

Infine si cacciò in tasca i fogli e rientrò in ufficio. 197- 128.

 

Il direttore del giornale corrisponde a Eolo il re dei venti del X canto dell’Odissea. Il regno dei venti è quello della retorica priva di ogni costrutto e di verità.

Vacant

Shuttles

Weaves the wind (T. S. Eliot, Gerontion, 28-30) , spole vuote tessono il vento

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 17, 56 giovanni ghiselli

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[1]Al capitolo 58 ricorderemo  l'attardato bambino pargoleggiante dell’età d’argento di Esiodo.

[2] Dialogo di Tristano e di un amico (1832).  E’ una delle Operette morali delle quali l’autore scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi del ridicolo ne' dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394) .  Al capitolo 66 citerò altre parole di Tristano all’amico.

 

Le repliche delle tragedie storiche.


 

La storia si ripete e non sempre la tragedia nella replica diventa una farsa come ha sostenuto Marx a proposito del micronapoleone.

Faccio qualche esempio.

La storia degli oligarchi di Samo che nel 441 si ribellarono al governo democratico filo ateniese e fecero stragi dei democratici Samî, provocando la reazione della flotta armata di Atene la quale vendicò le vittime Samie e ripristinò il governo democratico, si è ripetuta nell’Ungheria del 1956.

 

La vicenda di Napoleone, sconfitto dal temporeggiatore Kutuzov nel 1812  e mai più tornato ai fasti precedenti, si è  ripetuta nel 1943 con Paulus e Žukhov a Stalingrado prodromo certo della sconfitta di Hitler.

 

Ora è in vista una terza possibilità di replica.

Nel 1956 Francia e Inghilterra occuparono la zona del canale di Suez provocando la reazione degli Stati Uniti collegati con un filo all’Unione Sovietica. Le due potenze coloniali europèe già in declino subirono una smacco che ridimensionò quindi annullò il loro status di grandi potenze.

Oggi Inghilterra e Francia e pure la Germania alzano la voce contro la Russia collegata agli USA. Ritengo che riceveranno di nuovo un’umiliazione e un indebolimento. Bene fanno i politici italiani che vogliono tenersi lontani da simili avventure.

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 12, 50 giovanni ghiselli

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P. S. “Scanta” significa “disincanta”.

P. S.

“Scanta” significa “disincanta”. Ifigenia era disincantata quanto me, sebbene più giovane. Io lo ero diventato da quando Päivi per non diventare una ragazza madre aveva abortito la nostra bambina nel settembre del 1974 e ancora di più e del tutto nell’agosto del 1975 quando andai a cercarla in Finlandia e lei mi rigettò telefonicamente dicendomi I don’t want to see you”, io non voglio vederti.

Nel disincanto dunque ci si corrispondeva.

Bologna 31 marzo ore 12, 23 giovanni ghiselli

 

Ifigenia III. E’ difficile entrare nella gioia tutti interi.

Sapevo di essere stato più imbarazzato che brillante come ero invece quando corteggiavo le finniche o altre donne peregrine.

Ma a Debrecen ero in vacanza ed ero un borsista gratificato con premi d’amore più che di studio,- “vittu[1] e alloggio” si diceva scherzando tra noi maschi italiani- ed ero sì in una Università, ma quale studente in compagnia di altri universitari più gaudenti che studiosi.

 Si beveva e si amoreggiava ringraziando gli dèi con degli evoè scatenati piuttosto che con sussurrati, casti  osanna.

A Bologna ero diventato un docente guardato con sospetto da diversi colleghi e dal preside nuovo arrivato, tutt’altro che benevolo nei miei confronti.

Dovevo stare attento a non dare esche a lui e  altri malevoli.

 Benevoli erano stati quasi tutti con il preside galantuomo andato in pensione e magari alcuni lo erano ancora, ma, da quando, con il nuovo anno scolastico il dirigente era cambiato e io ero caduto in disgrazia, stavano attenti a non farlo vedere. Era mutato tutto in peggio dall’anno prima quando avevo un preside estimatore e amico, tanto che come arrivai, trasferito da Imola, mi diede due classi da portare alla maturità con il greco. Portai l’Edipo re in una sezione e le Baccanti nell’altra, due testi diventati poi miei cavalli di battaglia, poi due libri tradotti e commentati da me. Mi dicono che vengono ancora usati: nell’Università Federico II di Napoli, per esempio.

Questo nuovo preside dunque cercava di spostarmi, confinarmi nel ginnasio, nonostante i liceali delle mie classi manifestassero in mio favore.  Da loro Ifigenia aveva saputo che ero molto bravo. Al nuovo dirigente  non  piacevo per ragioni politiche, di metodo didattico, e probabilmente anche personali. Gli mancava tutto quello che avevo e mettevo a disposizione.

Lui però aveva il potere di danneggiare me e i miei studenti, mentre io non avevo potere e loro nemmeno. Eravamo sprotetti.

Insomma il mio rapporto con la dirigenza era cambiato molto in peggio e dovevo stare bene attento.

Le manifestazioni dei ragazzi in mio favore non erano richieste e tanto meno organizzate da me, però c’era tra i colleghi chi telefonava in provveditorato perché venissi trasferito in quanto turbatore del clima del “loro” liceo che era stato tranquillo prima del mio sciagurato avvento.

 Tornando agli amori dell’università estiva, là il tempo per realizzarli era ancora più breve di quello dell’estate: nemmeno una volta si  riaccese la faccia della  luna, durante il corteggiamento di ciascuna delle donne che volevo amare, che amai contraccambiato in quel paradiso terrestre.

A Bologna  nell’autunno del 1978 avevo davanti diverse riaccensioni della casta diva celeste per realizzare il mio piano. Per questi diversi motivi procedevo adagio.

Dovevo agire con cautela in  un rapporto che poteva diventare serio.

La  bella ragazza e collega non era del tutto implausibile per una relazione lunga però problematica se non altro perché Ifigenia viveva con un altro uomo, sposato con lei per giunta. Io invece “vivevo la mia contraddizione”, come si diceva allora. Amavo le donne e detestavo le nozze. Non ho mai pensato che portino gioia più che dolore.

Insomma dal don Giovanni che ero stato a Debrecen con donne esotiche, e pure con diverse italiane libere da legami nei mesi precedenti passati quell’anno a Pesaro e  Bologna, davanti alla giovane, splendidissima collega nella scuola dove un ducetto nuovo arrivato mi ostacolava , ero ridiventato lo sparuto diacono di quando bazzicavo la parrocchia di San Terenzio, il patrono della mia cittadina. Avevo fatto perfino il chierichetto nel Duomo quando il parroco era il novantenne don Mosca, grande e severo inquisitore.

Capivo bene che Ifigenia esigeva una risposta al suo desiderio di un contatto carnale tra noi: a questo indirizzava la mira dei suoi strali aguzzi e potenti: era altamente e alteramente  dotata dei doni delle forme, dell’età e del sesso, una dote che voleva condividere con me in una relazione non solo di breve momento a quanto capivo.

La forza di questo desiderio in una femmina tanto giovane e attraente, una che certamente piaceva a tutti i maschi eterosessuali dell’istituto- dai ginnasiali, ai bidelli, ai colleghi compreso il prete, e perfino al preside bruttarello- non poteva trovare una lunga resistenza in uno come me, e lei lo sapeva bene anche prima di parlarmi, data la mia fama, o infamia, di uomo cui piacciono molto le donne e  ci prova con diverse, quasi con tutte purché decenti. Sapeva che non avrei resistito a lungo. Sicché, mentre guardavo l’orologio per farle fretta, mi domandò: “In conclusione, ti va di fare l’amore con me o non te la senti professore?”. 

Il marito  evidentemente non le andava punto  a genio.

Il tempo dell’intervallo era già scaduto e si doveva tornare subito dentro, sicché sfruttai questa circostanza per prendere tempo e prepararmi il discorso, magari scrivendone un canovaccio su un foglio.

Dunque le dissi: “ti risponderò compiutamente all’uscita dalle lezioni. Contaci. Ora dobbiamo proprio andare. Intanto sappi che difficilmente d’ora in avanti mi sarà possibile prescindere dalla  tua persona, carissima Ifigenia”. Ambiguo ancora una volta.

Eppure la ragazza mi assecondò: “nemmeno io potrò fare a meno di te, caro, preziosissimo Gianni”. Forse non senza un pizzico di ironica riprovazione.

Provai a ribattere: “sì, sì, bella signora ma con tuo marito come la metti?”

“Ci penso io: mio marito si scanta!”. Non mi era chiarissimo cosa significasse tale verbo, ma capivo che la signora voleva cambiare ganzo. Non mancava la nota cinica. Sul momento mi piacque ma con il tempo avrebbe costituito un impedimento a un Eros uranio, figlio di Afrodite celeste.

Del resto nemmeno Eros pandemio era da buttare via.  Tutt’altro!

 

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 10, 51 giovanni ghiselli

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[1] In finlandese significa quello che in greco sykon  cfr. Aristofane, Pace 1350

Joyce Ulisse ancora il VII episodio “Eolo il giornale”, XI parte. Due oratori.

 


 

 A Man of hugh moral 125. Un uomo dal morale elevato 192

L’avvocato domanda a Stephen che cosa pensi della truppa ermetica, dei poeti dai silenzi opalini, poi dell’arcimistico. Il ragazzo non risponde: è poco interessato.

Seguono dei pettegolezzi.

 

Gli ermetici a me non sono mai piaciuti. Io sono per la chiarezza omerica che tira fuori la luce dal fumo, per il realismo greco, per l’arte diretta al popolo come era quella dei drammaturghi greci. L’Ermetismo secondo me  è antidemocratico perché esclude il popolo dalla comprensione.

 

Il professor Mac Hugh respinge il portasigarette. Quindi ricorda la più bella esibizione oratoria che parlò in difesa della reviviscenzadel gaelico advocating the revival of the Irish tongue.

 

In Italia Manzoni aveva codificato la lingua media scritta con il suo romanzo scritto bene.

La televisione nella seconda parte del Novecento aveva insegnato a quasi tutti la lingua media parlata.

Quando feci il servizio militare nel 1971 da soldato semplice, voglio dire in mezzo a tanti ventenni di ogni regione d’Italia, ci capivamo benissimo nella koinh; diavlekto~ invalsa.

Negli ultimi anni il provincialismo e l’individualismo ijdiwvth~  hanno portato ognuno al proprio idiotismo linguistico. Non ci capiamo più. La lingua comune viene violentata ogni giorno e partorisce dei mostriciattoli linguistici quali gli acronimi diffusi ovunque perché la piazza non capisca gli imbrogli del palazzo.

 

Ma torniamo nella Dublino di Joyce

Prima parla un giudice , un  oratore consumato 193 it was the speech of a finished orator 126 pieno di altera cortesia che comunque riversava contumelie sui giovani del movimento nuovo.

A costui replicò Taylor che improvvisava. That he has prepared his speech I do not believe. Non c’era nemmeno uno stenografo in sala. Era appena uscito dal letto. Aveva un’aria trasandata. Sembrava un moribondo senza che lo fosse- he looked (though he was not) a dying man.

 

E’ lo stile della sui neglegentia non poche volte attribuito in letteratura a personaggi eleganti come fa Tacito con Petronio, o Parini con il suo giovin signore. E’ l’artificio negligente, o la negligenza artificiosa. A me piace.

 

Quindi il professore riferisce delle frasi del discorso di Taylor che critica il precedente oratore: si rivolgeva ai giovani irlandesi come faceva un sacerdote dell’antico Egiitto con il giovane Mosé.  Parole piene di alterigia e orgoglio.

Il grande sacerdote  egizio dunque diceva: “Perché voi ebrei non volete accettare la nostra cultura, religione, lingua? Siete solo una tribù di pastori nomadi- 195 you are a tribe of nomad herdsmen 127, we are a mighty people, mentre  noi siamo un popolo potente. Abbiamo una letteratura, un sacerdozio, un storia secolare e una costituzione and a polity.

Voi pregate un idolo locale e oscuro noi abbiamo templi con Iside, Oside, Oro e Ammone Ra.

 

Apuleio  con il suo romanzo avverte che una vita senza Iside è  vita da asino.

 

Taylor seguita con questo discorso antisemita attribuito al gran sacerdote egiziano ed equiparato alle osservazioni dirette ai giovani irlandesi dall’oratore precedente.

A un tratto un sordo rutto di fame interruppe il  discorso di questo  oratore affamato.

Ma subito dopo riprese a parlare dicendo che se Mosé avesse chinato testa, volontà e spirito  before that arrogant admonitum 127 davanti a quel monito arrogante 195  non avrebbe mai portato  the chosen people, il popolo eletto, fuori dalla schiavitù e non avrebbe mai parlato con l’Eterno in mezzo alle folgori sulla vetta del Sinai né sarebbe disceso portando tra le braccia le tavole della legge incise nella lingua dei fuorilegge 196 bearing in his arms the tables of law, graven in the language of the outlaw 127

Aveva finito e li guardava, gustando il silenzio 196. He ceased and looked at them , enjoying silence 127

 

Bologna 31 marzo 2025 ore 9, 49 giovanni ghiselli

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ripasso e cerco di rinverdire il mio inglese, e il vostro cari lettori,  nel timore della sparizione del greco, del latino e dell’italiano se continuerà questo andazzo antiumanistico

domenica 30 marzo 2025

Ifigenia II. L’intervallo fuori dalla scuola. Libertino e pure pauroso gesuita.


 

 

In quella giovane bruna, vivace, bramosa di afferrare la sua porzione di scuola e di vita e anche desiderosa di donarmi qualche cosa di sé, mi sembrò che rivivesse tutta la bellezza luminosa dell’arte e della terra greca che l’empia teocrazia del lucro non è riuscita a nullificare; osservando con attenzione l’aspetto incensurabile delle sue forme, sentendo l’aroma della sua pelle vicina, ammirando il colore dei suoi capelli e quello dell’incarnato reso bronzino dal sole, a un tratto in quel mio trentaquattresimo autunno già cupo di ombre sentìi rifiorire i maggi odorosi della prima adolescenza quando alle sette di sere profumate e ancora allietate dal sole andavo nella chiesa vicina di Cristo re a seguire le funzioni dedicate alla Madonna, e cercavo di imparare un po’ di latino non senza osservare con ammirazione i capelli, le caviglie sottili e i polpacci sodi, torniti delle ragazze più carine che potevano dare un significato alla mia vita di solitario studioso, sportivo e carente di affetti.

Quella mattina il tempo si rinnovava grazie al giovane angelo che veniva a confermare la mia speranza di sempre: stava per annunciarmi il diritto alla felicità meritata grazie a tante fatiche impiegate con volontà e intelligenza. Immaginavo che presto Ifigenia mi avrebbe offerto il suo amore e provavo la sensazione che il mio triennio di studio continuo, intenso e speranzosissimo, stava per diventare un’esperienza reale, concreta  e completa: mentale e carnale. Con il mio incessante lavoro, un’ascesi spirituale e corporea quasi fanatica, avevo attirato una creatura ambita da chissà quanti uomini di tutte le età, dai ginnasiali, ai bidelli, ai colleghi. Senza essere ricco, né ben vestito né particolarmente giovane e bello, senza avere alcun potere, anzi, andato in pensione il galantuomo Piero Cazzani, era subentrato un  preside nuovo, il tipo di uomo ordinario che mi era ostile e mi ostacolava siccome ero del tutto diverso da lui.

 Intanto il corridoio del liceo si stava affollando e mi sembrò troppo gremito perché potessi parlare  a mio agio con quella fanciulla che stava aspettando di sentirsi dire qualcosa di significativo e piacevole da come simpaticamente mi sorrideva. Sicché le dissi: “andiamo fuori a bere un caffè. Nell’intervallo ne ho proprio bisogno. Vorrei di parlare con te e sentirti parlare ancora, Ifigenia”.

“Sì gianni, volentieri. Usciamo di qui”.

Et coepit me praecedere. Pensai che quella ragazza significasse il destino.

In effetti si stava aprendo un altro capitolo di questa mia vita mortale. E anche della storia che vi sto raccontando.

 

 

Uscimmo e ci avviamo verso un bar dove probabilmente non avremmo incontrato altri colleghi: non era il locale  più vicino alla scuola. Tra l’altro Volevo camminare trionfalmente nella luce del sole per osservare la ragazza illuminata dai suoi raggi e pure per compiacermi dell’ombra delle mie membra che dopo l’estate si trovano sempre nella forma migliore.

 

Entrai subito in medias res in modo diretto dicendo: “ allora, ragazza, quale collega e amica vuoi che faccia di te?”.

 

“Non so da dove cominciare” fece lei sentendosi forse aggredita.

 

“Inizia dal nocciolo della questione. Vai subito al centro siccome ci restano solo otto minuti” le dissi con un sorriso serio, incoraggiante.

 

“Va bene. Io mi sento molto attirata da te. Credo che tu possa aiutarmi a diventare brava e spero di potere contraccabbiarti in qualche modo pur con il poco che ho”. Calcava la voce sulle parole per significarmi che le diceva sul serio.

 

“Tu non hai poco da darmi,-la incoraggiai- sei giovane, bella e fine: hai tutto quanto mi piace”.

 

Mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine e di luce. Poi disse: “Tu comunque meriti questo mio bene e anche di più”.

Aspettavamo i caffè e ci chiedevamo come procedere. La ragazza era tanto diretta che quasi mi faceva paura.

Del resto ero tentato di accarezzarla, ma non feci nemmeno questo gesto preliminare, mi sembrò prematuro: la giovane donna, sicuramente desiderata da molti, se voleva una carezza mia doveva darmene il permesso. Meglio ancora se ne faceva richiesta. “Diamole tempo”, pensai. Mentre aspettavo una sua mossa, pensavo che se avessi fatto l’amore con Ifigenia, autorizzato da lei, non ci sarebbe stato inganno poiché le sue membra mi piacevano assai, il suo animo non doveva essere volgare dato che voleva imparare e proprio da me per giunta. Era la prima volta che tale sollecitazione mi arrivava da una collega giovane e bella molto. I conti tornavano quasi tutti.

Pensavo questo mentre si beveva il caffè e non si parlava.

 

A un tratto la ragazza fece: “Tu che cosa vuoi fare con me?”

 

Nell’anima mia si aprì una finestra che fece entrare un raggio di luce.

“Quello che vuoi tu probabilmente, quello che forse mi chiarirai”.

 

Dette queste parole però ebbi paura di essermi lasciato andare troppo alla felicità che un’educazione pretesca mi aveva sempre indicato come colpa se associata all’amore o, peggio al sesso: “la cosa più sporca del mondo” secondo i furfanti, gli scellerati bigotti, i curiali traditori e carnefici  di Cristo e pure i laici perbenisti gente ordinaria, adusa alla menzogna.

Sicché restrinsi l’apertura delle parole precedenti e quella della finestra che aveva fatto passare la luce.

 

“Ascoltami signorina o signora: io potrei essere quasi tuo padre per lo meno spirituale o se preferisci un fratello maggiore cui ti stai affidando non incautamente si spera. Se vuoi, possiamo frequentarci anche fuori dalla scuola, per quanto ce lo consente il lavoro, ma  limitiamoci all’amicizia per ora”.

Mentre parlavo mi accorsi che il discorso aveva un suono falso, stonato.

Faceva male a entrambi.  Infatti Ifigenia di fronte a tanta ipocrisia e viltà si ribellò e  rispose polemicamente:

 “Puoi dirmi con chiarezza che cosa vuoi tu da me? Se mi hai portata fuori dalla scuola di certo hai progettato qualcosa, ma ora non hai il coraggio di dirmela. Quanto al tuo “signorina” io sono maritata”.

 “Meglio così, quasi sicuramente mal maritata” pensai con allegrezza cinica se non scellerata : avevo già constatato che le adultere mi erano simpatiche e congeniali; con loro funzionavo senza impaccio: non dovevo temere una pretesa di matrimonio che aborrivo. L’augusta Helena era già sposata quando la conobbi, meravigliosamente[1].

L’essenziale l’aveva capito e l’aveva detto. Era intelligente e coraggiosa oltre che giovane molto e tanto bella. Provai ammirazione e mi eccitai.

 

Tuttavia mantenni la mia doppiezza.

Da una parte la smania sessuale, dall’altra la paura e il senso di colpa nel soddisfarla.”You fearful jesuit” dissi a me stesso ricordando l’Ulisse di Joyce, tu pauroso gesuita

Quindi risposi dicendo solo una mezza verità. “Te l’ho detto, signora: cerco la tua amicizia. In te posso trovare una sorella giovane, vitale, e genuina spero: una collega con cui potrò parlare apertamente di tutto e praticare gli sport che amo e so fare bene: correre a piedi e in bicicletta, sciare d’inverno e nuotare d’estate. Sono originario di Pesaro e ho una zia che mi portava ogni anno a Moena quando ero bambino”. Volevo mostrarle qualche cosa di romito e lontano, di non ovvio per uno studioso: quel peregrino e strano che  incuriosisce e può anche attirare.

 

Bologna 30  marzo 2025 ore 19, 08 – ora legale- giovanni ghiselli.

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Avvertenza: il blog contiene una nota.

 

 



[1] Cfr. Tre amori a Debrecen. Si trova in prestito nella biblioteca Ginzburg di Bologna: non compratelo.

Joyce Ulisse ancora il VII episodio “Eolo il giornale”, decima parte. Giornalisti maestri

J

 

Giornalisti latinisti: Muchibus thankibus p. 125, millibus grazibus p.192.

 

 

 

ITALIA, MAGISTRA  ARTIUM

Parla l’avvocato O’ Molloy a proposito del diritto romano in contrasto con la più antica legge Mosaica, la lex talionis.

E citava il Mosé di Michelangelo, in Vaticano 191

And he cited the Moses of Michelangelo in the Vatican-124

 Invero si trova in San Pietro in Vincoli (1513-1515)

Quindi l’avvocato tirò fuori il portasigarette. Una volta c’era chi dava importanza a tal gesto, anzi credeva di dare importanza a se stesso.

In effetti il fattorino tirò fuori un fiammifero e gli accese pensosamente il sigaro.

Talora un’azione minima, insignificante come questa di accendere un fiammifero  determina il corso di due vite.

 

Sembra una battuta invece può accadere.

Nel 1968 eravamo studenti borsisti  nel collegio dell’Università estiva di Debrecen, era notte e nel buio dello studio, Fulvio accese un fiammifero per la sua sigaretta. Illuminandosi il volto e guardandomi disse: Eh sé eh gianni, la donna deve essere giovane” Poi, prima che la fiammella si esaurisse, aggiunse: “L’uomo no!”

Non ho mai più dimenticato quell’istante anche per la mia indole molto incline all’educazione.

 

Riprende a parlare l’avvocato O’ Molloy, plasmando le parole con pretesa di critico d’arte.

 

A POLISHED PERIOD 125 UN PERIODO TORNITO 192

“Quell’effigie marmorea in musica raggelata, cornuta e terribile”

That stony effigy in frozen music, horned and terrible

Parla con enfasi, a vanvera del Mosé di Michelangelo, “quell’eterno simbolo di saggezza e profezia che, se mai cosa spiritualmente trasfigurata o trasfigurante operata nel marmo dalla fantasia o dalla mano di scultore meriti di vivere, merita di vivere, deserves to live.

La sua mano  affilata accompagnava le parole ondeggiando with a wave.

Un modo di darsi importanza tuttora molto diffuso soprattutto tra i falliti che magari ricevono un posticino di servizio nell’angolo di un palcoscenico. Ne vediamo tanti ondeggiare e sproloquiare.

Il direttore Crawford  disse subito: Bello! Fine!

The divine afflatus, l’afflato divino, rincarò il giornalista O’ Madden

Stephen non parla e l’avvocato domanda: “Le piace?”

Stephen arrossì- blushed- accarezzato dalla grazia dell’eloquio e del gesto. Probabilmente una considerazione dell’avvocato che offrì una sigaretta al direttore. Il giornalista sportivo Lenehan accese le sigarette e colse il suo trofeo dicendo Muchibus thankibus 125, millibus grazibus. 192

Sono quelli che si danno importanza facendo credere che conoscono il latino o il  greco ma non se ne curano magari storpiandolo di proposito per apparire graziosi. Ma c’è anche chi lo sbaglia come un conduttore televisivo, tal Mirabella,  che un giorno disse: “homines dum docunt (sic!) discunt”.

Una volta quel maestro di color che sanno che è Corrado Augias scrisse nel quotidiano la Repubblica che l’annientamento delle legioni di Varo fatte a pezzi dai Germani  di Arminio nella selva di Teutoburgo  avvenne nel 9 avanti Cristo invece che dopo Cristo quando Augusto era già vecchio.

Si può sbagliare, per carità, ma poi bisogna accorgersene, correggersi e scusarsene. Così ha fatto Barbero quando in una trasmissione ha detto che la maschera di Agamennone è stata trovata a Troia ma dopo qualche minuto ha corretto l’errore con Micene. Succede anche a me quando parlo a lungo e mi stanco. Però non manco mai di scusarmi e correggermi appena me ne accorgo.

Non si è mai scusato invece il celebratissimo Benigni del falso storico,  voluto per servilismo, secondo il quale ai campi di sterminio nazisti posero fine gli Americani. La benemerenza storica russa della battaglia di Stalingrado che nel febbraio del 1943  invertì le sorti della guerra fermando e respingendo indietro i nazisti, oggi è taciuta e misconosciuta mentre non è mai stata obliterata quella degli Ateniesi che a Maratona (490) e  Salamina (480)  sconfissero, fermarono e respinsero gli invasori persiani. Battaglie epocali degne di ricordo.

Bologna 30 marzo 2025 ore 17, 08. giovanni ghiselli

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Ifigenia I. L’incontro con la Kore.


 

Nel ginnasio liceo Marco Minghetti di Bologna era  suonata da poco la campanella dell’intervallo delle 11. Stavo uscendo in fretta dal piano terreno buio per andare nel bar di via Nazario Sauro situato di fronte alla scuola. Quando fui vicino al portone, sentìi che qualcuno mi stava arrivando alle spalle. Mi girai e vidi una collega giovane molto e bella, una supplente arrivata da poco.  Disse che voleva parlarmi.

Divinam ego putabam, pensai che fosse mandata da Dio.

 

Era lei, la Kore  immaginata e invocata durante il solitario giro ciclistico di agosto dell’Ellade tra Andros, Mykonos, Maratona, Brauron, Atene,  Corinto, Epidauro, Micene, Patrasso. Era questa la ragazza invocata fra le gioie e i triboli di quel viaggio pieno di sogni e di segni. Il dio non mi aveva mentito. Probabilmente era questa nuova collega la kore, la figlia che cercavo dopo avere perduto quella concepita quattro anni prima con Päivi che l’aveva abortita.

Avevo notato  questa ragazza mi guardava mentre parlavo durante un’assemblea studentesca. Il 1978 era stato per me un anno di abbondante messe amorosa,  ma tale  fanciulla era  la spiga più bella del mazzo, il fiore dai colori più vivi, il frutto probabilmente più saporito, succoso e significativo.

“Come ti chiami?” Le domandai, simulando noncuranza.

“Ifigenia”disse con un sorriso aperto fin dentro l’anima.

Hoc erat in votis”, pensai.

“Io gianni”, risposi.

“Lo so. Posso darti del tu?”.

Certo, come no, siamo colleghi e magari diventeremo amici! Che cosa posso fare per te?”

“ I ragazzi  mi dicono che sei molto bravo. Vorrei che lo dicessero anche di me. Insegnami come si fa. Per ora mi trattano con simpatia, come se fossi una di loro, ma non credo che mi ritengano brava”.

“Ci vuole tempo. Immagino che tu sia una laureata precoce: avrai poco più di vent’anni”

“Venticinque a dicembre”

 “Io ne compirò trantaquattro in novembre. Quando ho iniziato al liceo,  tre anni fa, ne avevo già quasi trenta e non sapevo come fare per ottenere l’ attenzione degli studenti. Ci ho messo un paio di mesi per farmi ascoltare e altri due anni prima che le ragazze e i ragazzi mi considerassero bravo. Ho dovuto studiare molto, imparare i classici greci, latini e altri europei disporli in una visione  comparativa non senza corredarli  di giudizi critici, condividendoli o criticandoli a mia volta. Mi tenevo  su con la speranza di una borsa  di studio”.

“Cioè?”

“L’attenzione  degli studenti. E ora magari la tua: my Fellow-ship I call you”: potresti essere tu la mia prossima borsa di studio”.

“Non so se merito tanto interesse”

“Sto solo contraccambiando il tuo, molto gradito. ”

“Ne sono felice”.

La simpatia aperta che durante quell’intervallo, la giovane collega mi manifestava, la fiducia che mi dichiarava guardandomi apertamente negli occhi, e chiedendomi di insegnarle il nostro mestiere, la curiosità e la vitalità prorompente che tutta la sua luminosa persona irradiava, mi riempiva di gioia e non mi consentiva di simulare né dissimulare l’attrazione che sentivo per questa ragazza vagheggiata e  auspicata mentre pedalavo per l’Ellade, eppure inopinata in quel preciso momento. Contraccambiavo apertamente i suoi sorrisi mentre  ne osservavo le membra slanciate e armoniose, formose ma snelle, il viso illuminato dagli occhi grandi, scuri, ridenti, la piccola testa incorniciata dai folti capelli neri e ondulati. Mi sovvenne Helena, la finnica amata sette anni prima, l’Augusta della mia vita, immagine sacra eppure vivente di  Afrodite dal dolce sorriso. Donne che amano e fanno amare la vita.

 

 

Bologna  30 marzo 2025 ore 10, 35  giovanni ghiselli

p. s

Oggi è iniziata l’ora legale. Significa che la luce, la più rallegrante delle cose, rimarrà ad allietarci fino alle otto di sera. Il buio del nostro scontento si sta ritirando. Spero lo stesso del freddo che ha imperversato già troppo a lungo.