mercoledì 26 marzo 2025

Il desiderio richiede la bellezza. Il ritorno di Nefertiti. L’imbarco per l’Ellade.


Subito dopo il 20 agosto del 1976 tornai in Italia e ripresi a studiare dalla mattina alla sera i miei classici. In ottobre fui sistemato nel liceo Minghetti di Bologna dove il preside gentiluomo Piero Cazzani mi aiutò a imparare l’arte dell’educatore. Nei ritagli di tempo nei quali mi permettevo di non studiare, scampoli davvero esigui poiché volevo conquistare anche gli allievi di questo istituto dopo quelli del Rambaldi di Imola, cercavo una donna dotata di mente, dopo la relazione insoddisfacente con la palermitana Nefertiti,  e, siccome a un’azione sbagliata ne succede spesso un’altra errata dalla parte opposta, entrai in contatto con una collega il cui aspetto non mi attraeva abbastanza.

Non potevo trasmetterle quello che non sentivo. Riguardo a tale carenza di attrazione  le donne non si sbagliano: del resto simulare il pathos erotico è quasi impossibile, anzi proprio impossibile, come fingere l’erezione consentita e benedetta solo da Priapo.

“Crede mihi, non est mentula quod digitus”  leggo in un epigramma di Marziale (VI, 23, v. 2)

Se non c’è un forte desiderio nemmeno il corteggiamento può essere efficace.

Fac tantum cupias: sponte disertus eris ci insegna Ovidio maestro d’amore  (Ars Amatoria, I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.

 

Un dialogo c’era, ma  non toccava mai il problema di fondo che era la mancanza di desiderio tra noi due. 

Così in primavera smettemmo di frequentarci, e io nel dolore compresi che l’attrazione dei corpi non è meno importante di quella spirituale.

Ci sono due tipi di imbecilli: l’uno dice che la bellezza è tutto, l’altra che è niente. Io dico che non è poco, anzi è molto, però non è tutto. “Bellina sciocchina” si può dire di un’adolescente. Dopo i venti una sciocca non è più nemmeno bellina.  

 

Nel Simposio di Platone, Diotima professoressa dell’amore, insegna a Socrate che Amore  è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel bello secondo l'anima e secondo il corpo:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" ( 206 b).

 

Nel luglio del 1977  venne a trovarmi a Bologna Nefertiti. Facemmo l’amore, poi ripartì lasciandomi senza alcun rimpianto. Mi piaceva abbastanza per un rapporto erotico,  ma avevamo ben poco da dirci, quasi niente. L’estate a Bologna o a Pesaro non prometteva grandi emozioni. Probabilmente nemmeno piccole.

Sicché mi dissi: “ Quasi quasi mi imbarco”. Una battuta che avevo sentito in un film dove Vittorio Gassman faceva il cialtrone, tanto per cambiare. Forse Il sorpasso.

Io invece lo avevo detto sul serio, quindi montai sulla bicicletta e mi diressi verso il porto di Brindisi per salire sul traghetto diretto alla Grecia. Pedalavo con Fulvio, uno avanti l’altro dietro, taciti e senz’altra compagnia come i fratri minor vanno per via. Era    la prima volta che  si andava verso l’Ellade amata, la nostra patria culturale.  

Fulvio era già diventato il mio migliore amico, il fratello spirituale dei viaggi che facevamo insieme, l’occhio della via che ora mi manca-poqevw ojfqalmo;n  th`" oJdou`.  

Quel debutto nell’Ellade invero non andò benissimo: a San Benedetto del Tronto precipitai dal velocipede urtando con la ruota anteriore quella posteriore di Fulvio che pedalava irregolarmente. “Io sono dionisiaco” diceva per giustificarsi. Sbattei il  petto sul duro selciato e mi ruppi una costola. Proseguìi tra dolori acuti fino a Termoli dove andai in ospedale per una visita al petto offeso.  I medici mi diedero del pazzo per i tanti chilometri pedalati in quello stato e mi convinsero a lasciare la bicicletta. Proseguìi con mezzi pubblici. Vedevo Fulvio la sera.

Invalido com’ero,  guardavo con invidia e ammirazione i balestrucci sfrecciare nel cielo e l’amico che arrivava in albergo dopo ore e ore sui pedali, beato lui.

Di questo primo viaggio ricordo le formiche del Peloponneso. Notai che erano  grandi il doppio delle nostre e mi convinsi del tutto che il caldo favorisce e incrementa la vita. Mi piaceva molto quel calore, quel sole ardente, i colori vivi dei fiori variopinti, del mare azzurro, dell’aria chiara. Un paradiso insomma, anzi il paradiso.

Mi commossero le sculture del maestro di Olimpia, in particolare quelle del frontone occidentale raccolte in un Museo, allora non grande ma elevato su un colle battuto dal sole al tramonto. Rappresentano un conflitto tra il caos dei bruti e il cosmo ordinato da Apollo. Vi riconobbi la stessa storia della vita mia.

Andammo anche a Micene dove Fulvio, mentre eravamo stesi su brandine poste sulla terrazza dell’ostello sotto le stelle,  ricordò l’assassinio di Agamennone e quello di Clitennestra, moglie  e marito il cui sangue ancora scorre su tante coppie e non poche famiglie. Salimmo poi a Delfi, io ancora in autobus, Fulvio in bicicletta, e pregammo sull’ombelico del mondo, ciascuno per suo conto chiedendo la grazia della salute  e le grazie quali fanciulle carine. Chiedevo di progredire nell’ amore e nel lavoro come avrei fatto tante altre volte arrivando in bicicletta solo a Delfi ma anche a Dodona, a capo Sunio, sul Partenone, nel tempio montano e remoto di Apollo Epicurio, cioè soccorritore,  e pure in altri luoghi dato che la Grecia è ancora tutta piena di dèi.

Tornato a Termoli, recuperai la bicicletta e pedalai fino a Pesaro: egregiamente. Ero guarito e  mi sentivo un leone. Nominor quoniam leo dissi a Fulvio che non mi smentì.

Bologna 26 marzo 2025 ore 11, 03 giovanni ghiselli

p. s.

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