Aristofane Lisistrata, XVIII. L’erezione diffusa dappertutto. L’intelligenza del dolore sana la ferita.
Mirrina dunque ha detto al marito che se vuole fare l’amore con lei deve votare per la pace. Poi se ne è andata.
Cinesia si lamenta: ajpodeivrasa oi[cetai (953), “se ne va dopo avermi sbucciato”-ajpodevrw, levo la pelle (ovviamente dal glande). Infine invoca Kunalwvphx, Canevolpe il tenutario del bordello.
Il corifeo lo compiange per gli o[rcei" insoddisfatti.
In italiano si direbbe che ha l’orchite.
Quindi il vecchio corifeo incita il marito, che continua a chiamare la moglie pagglukevra 970, dolcissima Mirrina, a punire la scellerata miarav (971), sollevandola in aria e facendola ricadere in modo che si infili di colpo sul glande ejxaivfnh" peri; th;n ywlhvn (979), data l’erezione.
Arriva un araldo spartano anche lui con un’erezione evidente.
Domanda dov’è il senato aJ gerwciva o i pritani (980).
Arriva il pruvtani"- -il presidente- ateniese di quel giorno- e gli domanda se sia un uomo o Konìsalo, un demone della fecondità simile a Priapo.
Lo spartano risponde ka'rux ejgwvn , sono un araldo io venuto da Sparta per la pace.
Parla in dialetto dorico che non sembra essere solo la “patina” dei cori tragici.
Perché allora questa lancia sotto l’ascella? Dovru uJpo; mavlh" (985) domanda il pritano.
Lo spartano si volta per non far vedere la “lancia”.
Ma girato sembra che abbia un bubbone sotto l’anguinaia
Finalmente il pritano capisce che si tratta di erezione ajll j e[stuka", w\ miarwvtate, mascalzonissimo 989.
L'araldo nega e dice che si tratta della skutavla lakwnikav, un bastone di legno intorno al quale si avvolgevano le strisce con i messaggi di Stato, i dispacci di Sparta.
Però poi lo spartano confessa che l’intera Sparta è ritta e tutti gli alleati sono in erezione: c’è bisogno di donne (menziona Pallene, forse una prostituta)
Lampitò ha dato il segnale, dopo di che, tutte hanno scacciato i mariti dalle fiche ajphvlaan tw;" a[ndra" ajpo; tw'n ujssavkwn (1001)-u{ssax (u|" - latino sus)
L’araldo spartano annuncia che i maschi girano per la città tutti curvi, come se portassero una lanterna e "le donne difatti non se la lasciano toccare prima che noi tutti unanimemente si sia patteggiata la pace nell' Ellade". "Tai; ga;r gunai`ke~ oujde; tw` muvrtw sigh`n -ejw`nti, privn c j a{pante~ ejx ejno~ lovgw/ sponda;~ poihswvmeqa potta;n jEllavda” Aristofane, Lisistrata, 1004- 1005.
Il dialetto dello spartano ovviamente è dorico
muvrton è la bacca di mirto ma indica metaforicamente anche la fica. Vedete voi se tradurre “non si lasciano toccare la vagina”. sigh`n equivale a qigei`n da qigavnw.
In effetti le donne non se la lasciano nemmeno toccare prima che noi tutti ci si metta d’accordo,
Il Pritano ne deduce che si è congiurato dovunque da parte delle donne, ora capisco pantacovqen xunomwvmotai[1]-uJpo; tw'n gunaikw'n: a[rti nuniv manqavnw - 1007-1008- Ora capisco è l’espressione della resipiscenza associata al mavqo" tragico. In seguito arriva la cessazione del pavqo". Ora deve cessare la guerra.
Excursus
L’intelligenza del dolore porta alla resipiscenza e al superamento della pena.
Parto da Eschilo: il tw'/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone (v. 177) che ritorna in altre forme in altri autori, antichi e moderni.
Goccia invece del sonno[2] davanti al cuore la pena che ricorda il male (stavzei d’ ajnq j u[pnou pro; kardiva~-mnhsiphvmwn povno~ , Agamennone, 179-180) e anche a chi non vuole giunge l’essere saggio.
Arriva con violenza la grazia degli dèi (182). Sono tutte espressioni della Parodo.
“La forma drammatica classica si regge su un principio: che la sofferenza inevitabilmente connessa all’esistere (anzi: al voler essere la via destinataci) conduca finalmente al mathos, a un ‘chiaro’ sapere” /M. Cacciari, Hamletica, p. 100(
Un caso di lieto fine in seguito a resipiscenza possiamo trovare nell'Alcesti di Euripide. Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw”, condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
C. Del Grande in Tragw/diva afferma che pure la commedia nuova, e particolarmente quella di Menandro mantiene un carattere paradigmatico fornendo esempi di mavqo" tragico. E' il caso di Carisio negli jEpitrevponte" (L’arbitrato): il marito che aveva ripudiato la moglie per un presunto errore sessuale di lei, un fallo che, senza conoscersi prima né riconoscersi poi, avevano commesso insieme da ubriachi, quando si accorge dell'amore della sposa, ironizza sulla propria innocenza di uomo attento alla reputazione:" ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn "(v. 588), io uno senza peccato, e comprende che deve perdonare quello che è stato solo un "ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchma", un infortunio involontario della donna (v.594).
E', secondo Del Grande, un "vero momento di mavqo" tragico"[3].
Viene in mente l’episodio dell’adultera perdonata da Cristo nel Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp j aujth;n balevtw livqon, qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat (N. T. 8, 7). Questa non è una posizione realistica, commenta Del Grande, poiché i mariti borghesi non erano, né sono, come Carisio; Menandro dunque, messi da parte gli eroi del mito, ne crea altri più umani i quali comunque arrivano alla comprensione attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo.
Fine excursus
Bologna 28 marzo 2025 ore 11, 35 giovanni ghiselli
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