sabato 29 marzo 2025

Estate 1978 IX. La gara del ciclista con la nave.


 

La mattina seguente, abbandonata la figlia al suo destino che comunque non avrei potuto stornare, mi diressi verso il mare

A mezzo il giorno pedalavo con lena costeggiando già il sinus Corinthiacus. Il vento soffiava sulle mie spalle e accelerava il moto circolare delle gambe e quello diritto della bicicletta.

Mentre pensavo a  scafi che spinti dal vento di poppa solcano  il mare velocemente, mi accorsi che un nave diretta a Patrasso si muoveva nel golfo dietro di me più veloce della  mia bicicletta. Era un segno. Decisi di accettare la sfida. Dovevo vincerla, se non volevo perdere niente dell’autostima conquistata girando la Grecia sulla bici da solo. Avevo perfino cambiato il tubolare, impresa per me assai più difficile che salire sull’Ossa sovrapposto al Pelio, al Parnaso e all’Olimpo, montagne che avrei scalato senza difficoltà, mentre a tubolari e masticione non mi sarei accostato mai più. Nei viaggi successivi ci avrebbero pensato i miei demoni buoni, quegli angeli di Maddalena e Alessandro mentre con Fulvio parlavo dei Troiani, di Atene e di Roma.

Il veicolo marino però mi aveva raggiunto: se mi avesse superato la sconfitta avrebbe tolto qualcosa alla mia identità di ciclista tornato a essere egregio dopo la discesa all’inferno di quindici anni prima.

Mi diedi a pedalare freneticamente pensando:

facilis descensus Averno (...) sed revocare gradum superasque evadere ad auras,/..hoc opus, hic labor est1 Mentre superavo la nave, questa mandava muggiti terribili come una vacca o un toro, la maxima victima colpita dalla scure del sacrificio. Allora raddoppiai la lena. Il gemito della bestia mugghiante si allontanava e affievoliva. Arrivai a Patrasso con un vantaggio di cinque minuti e 48  secondi. Il giro dell’Ellade era finito e l’avevo vinto,  molto provato nell’animo e nel corpo.

Una vittoria davvero olimpica. “Non c’è un agone  superiore a questo”, pensai.

Salito sul traghetto del ritorno sedetti a poppa e mentre Patrasso si allontanava gridai: “allentate la gomena del ritorno in Italia, sbrigatevi voi della ciurma, non fatemi perdere tempo. Mi aspetta la Kore!”. Era il premio fatale promesso e fatto sperare  dai miei talenti . Non era follia: l’avrei conseguito in autunno.

Un marinaio turco-cipriota mi passò accanto sghignazzando e ruotando pupille feroci, da Gorgone. Forse voleva darmi del mentecatto, ma si astenne dal ferirmi con gli aculei avvelenati della sua lingua. Due anni più tardi sarei tornato nell’Ellade non senza la kore reale, Ifigenia, in automobile dopo una Debrecen con lei, poi, l’anno seguente, nell’81  saremmo andati entrambi a Delfi, l’ombelico del mondo, in bicicletta per chiedere responsi alla Pizia sul nostro destino. Questo viaggio solitario e  coraggioso  è finito. Ci aspettanno altri eventi, con diverse  avventure differenti da queste. Lector intende: laetaberis. E magari imparerai un poco di latino. E pure di greco. Saluti

Nota

1 Nel VI canto dell’Eneide (vv. 126-129),   la Sibilla cumana ammonisce: “ Enea facile è la discesa all'Averno; di notte e nei giorni è aperta la porta del nero Dite; ma risalire la china e riuscire nell'aria del cielo, questa è l'impresa, questa è la fatica”.

 

Fine del viaggio in Grecia del 1978 

 

Bologna 29 marzo 2025 ore 11, 40 giovanni ghiselli

 

p. s.

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