Arriva Cinesia Kinhsiav~ kinevw- sbatto. con una visibile erezione. Lo segue uno schiavo che porta un bambino.
Lamenta che lo spasmov", l'erezione-spavw “tiro", il tevtano" (846) la tensione lo hanno invaso, e si sente come uno torturato alla ruota- w{sper ejpi; trocou` streblouvmenon- 845.
Lisistrata, dato che è un uomo, gli intima di andarsene fuori dai piedi- oujk a[pei dh`t j ejkpodwvn; 848.
Richiesta del proprio ruolo, la donna risponde di essere la sentinella diurna
Cinesia chiede a Lisistrata della sua Mirrina
Lisistrata, saputo che è il marito, lo saluta con enfasi amichevole e gli dice che Mirrina lo ha sempre sulla bocca- sj e[cei dia; stovma 856 parlandone bene.
Degli altri uomini dice che sono una sciocchezza lh`ro" rispetto al proprio marito.
Quindi Cinesia le chiede di andare a chiamare Mirrina: ha perso ogni gioia di vivere da quando lei se n’è andata: quando torno a casa mi sento depresso-a[cqomai, tutto mi sembra deserto e non provo nemmeno gioia a mangiare: cavrin oujdemivan oi\d j ejsqivwn: e[stuka ([1]) gavr (869): ce l’ho ritto.-stuvw-
Mirrina oppone resistenza dicendo in disparte a Lisistrata che il marito mente.
Cinesia prova a chiamarla ma la moglie è riluttante. Lui cerca di impietosirla dicendo di essere tribolato- ejpitetrimmevno"- 876 ejpitribw-
Ci manca solo che dica come fa Germont con Violetta, la traviata.
Deh, non mutate in triboli
le rose dell’amor!
Ai preghi miei resistere
non voglia il vostro cor.
Cinesia spinge il figlio a chiamare la mammina mammiva, mammiva, mammiva 879
Quindi marito chiede pietà per il piccolo che non è lavato nè allattato-a[louton ka[qhlon- da sei giorni- qhlhv, mammella e capezzolo.
Mirrina ribatte che a lei il bambino fa pena, ma è il padre quello che lo trascura ajmelhv" aujtw'/.
Cinesia insiste, e lei fa: oi|on to; tekei'n: katabatevon che faccenda avere partorito, bisogna andare laggiù, che altro posso fare?- tiv ga;r pavqw ; (884),
Cinesia la guarda avidamente e dice a se stesso che sembra diventata newtevra più giovane e più splendida. E il fatto che è sdegnosa duskolaivnei e altezzosa brenquvetai è proprio il fare che mi strugge di desiderio m’ ejpitrivbei tw'/ povqw/ (888). Cfr. il povqo~ di Odisseo che ha ucciso Anticlea sua madre- Odissea
Odisseo aveva salutato la madre partendo da Itaca, e quando la incontra fra le yucaiv dei morti evocati ai confini di Oceano dov’è il popolo dei Cimmeri, ne piange, poi parla con Tiresia, quindi lascia bere il sangue ad Anticlea e le domanda quale khvr, dea della morte, l’abbia uccisa.
La madre risponde: è stata la mancanza di te, e il preoccuparmi per te, splendido Odisseo so;~ te povqo~, sa; te mhvdea, faidim j jOdusseu` ( Odissea, XI, 202) che mi hanno tolto la vita
Excursus
Cfr. Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Ovidio, Amores, II, 20, 36)
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi.
Teocrito nel VI Idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:" to; kalo;n qevro" ajnijka fruvgei (16)
La donna si comporta come la lanugine secca di certi vegetali kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei " (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue.
Voglio sottolineare e commentare le parole "quando la bella estate arde".
Teocrito (310-260) è un poeta siracusano vissuto a lungo ad Alessandria alla corte di Tolomeo II Filadelfo, e altro tempo a Cos. In luoghi caldi dunque, anche molto caldi.
Teocrito canta la calda natura estiva che ama.
Chi ama la natura, ama il caldo e adora il sole che porta significazione di Dio. Ama la vita luminosa e calda perché le sue opere non sono malvagie.
Chi preferisce il freddo e le tenebre dell'inverno che rende scontente e malate tante persone, e durante l'estate si chiude al buio con l'aria condizionata teme e odia la vita stessa.
L'ha detto anche l'evangelista Giovanni: "kai; hjgavphsan oiJ a[nqrwpoi ma'llon to; skovto" h] to; fw'"”, e gli uomini amarono più la tenebra che la luce. Parole citate da Leopardi come epigrafe della canzone La ginestra.
L’onesto visionario e pure veggente Giovanni ne indica la causa: “ h\n ga;r aujtw'n ponhra; ta; e[rga (N. T., Giovanni, 3, 19) poiché le loro opere erano malvagie.
Nell'XI Idillio di Teocrito lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Nell'XI Idillio di Teocrito lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo anche qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario.
L’arte per essere tale deve significare l’universale
Poesia postfilosofica
"Questi poeti ellenistici erano, per dirla in una parola, post-filosofici, mentre i poeti arcaici erano pre-filosofici. La poesia più antica tende a scoprire sempre nuovi lati dello spirito (…) Così l'epica ha, coi suoi miti eroici, posto le basi della storiografia ionica e formulando il problema dell' ajrchv nei poemi teogonici e cosmologici, ha creato le premesse della filosofia ionica della natura (…) Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare" (Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p 371e 372)
Sentiamo Aristotele sulla differenza tra poesia e storia. " kai; filosofwvteron kai; spoudaiovteron poivhsi~ ijstoriva~ ejstin: hj me;n ga;r poivhsi~ ma`llon ta; kaqovlou , hJ de; iJstoriva ta; kaq j e{kaston levgei" ( Poetica , 1451b) la poesia è più filosofica e più importante della storia: la poesia infatti esprime l’universale, la storia il particolare
Invero non mancano gli storiografi dotati di quello che Nietzsche chiama “lo stile dell'immortalità” .
In Umano, troppo umano II si legge:"Lo stile dell'immortalità . Tanto Tucidide quanto Tacito-entrambi hanno pensato, nel redigere le loro opere, a una durata immortale di esse: ciò si potrebbe indovinarlo, se non lo si sapesse altrimenti, già dal loro stile. L'uno credette di dare durevolezza ai suoi pensieri salandoli, l'altro condensandoli a forza di cuocerli; e nessuno dei due, sembra, ha fatto male i suoi conti” (Parte seconda, Il viandante e la sua ombra, 144)
Concludo
L'arte che non significa l'universale è un'arte traviata, fuorviata da se stessa: non è arte. Lo stesso si può dire della politica non ideologica: non è politica; è piuttosto chiacchiera come ha dichiarato tempo fa, giustamente, Massimo Cacciari
La poesia postfilosofica dunque non racconta più l'universale. Post-filosofica o almeno postilluministica sarebbe anche quella di Goethe:" Callimaco e Goethe si trovano entrambi ad una svolta storica; al tramonto di una più che secolare cultura illuministica che ha dissolto le antiche concezioni religiose, quando è venuto a noia anche il razionalismo e incomincia a sorgere una nuova poesia significativa. Ma l'evoluzione del mondo antico segue una via così diversa da quella del mondo moderno, che Callimaco, e con lui tutto il suo tempo, si dichiara per la poesia minore, delicata, mentre Goethe, interprete anch'egli dei suoi contemporanei, dà la preferenza alla poesia patetica, interiormente commossa"[2].
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, è in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "…Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (2, 20, 36)"[3], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo in Il giocatore di Dostoevskij (1866) dove il protagonista Alexei dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[4].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia" La prigioniera, p. 183
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell' Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42-43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[5].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[6].
Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[7].
Fine excursus
Torniamo a Mirrina-mammina
Mirrina bacia il bambino chiamandolo teknivdion kakou` patrov" – figlioletto di un cattivo padre e pure glukuvtaton th` mammiva/ Lisistrata, 890, dolcissimo per mamma.
Bologna 28 marzo 2025 ore 9, 55 giovanni ghiselli
p. s
Link per chi vuole seguire da lontano la conferenza su Lisistrata.
Questo è il link per chi vuole seguire la conferenza su Lisistrata di lunedì 7 aprile ore 17.00 online:
https://meet.google.com/dbq-qqhz-yso?authuser=0
Biblioteca "Natalia Ginzburg"
Settore Biblioteche e Welfare culturale | Comune di Bologna
Via Genova 10 - 40139 Bologna
tel. 051/466307
saluti giovanni ghiselli
[1] Stuvw, stu'lo" pilastro.
[2]Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 371.
[3]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
[4] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[5] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[6] Cocotte, vv. 67-69.
[7] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
Nessun commento:
Posta un commento