Questo post farà parte della lezione che terrò lunedì 24 marzo dalle 17 alle 18, 30
Link per seguire da lontano la conferenza che terrò nella biblioteca Ginzburg di Bologna lunedì 24 marzo dalle 17 alle 18, 30 https://meet.google.com/tuy-dqhu-osh
Presenterò Sofocle e il suo Edipo re commentandone alcune parti.
oltre al link diretto, sulla pagina del sito è comunque cliccabile: https://www.bibliotechebologna.it/events/classici-a-confronto
Biblioteca "Natalia Ginzburg"
Settore Biblioteche e Welfare culturale | Comune di Bologna
Via Genova 10 - 40139 Bologna
tel. 051/466307
E’ tutto gratuito ma è bene prenotarsi per il conto dei posti telefonando alla biblioteca.
Saluti
giovanni ghiselli.
Primo episodio (vv. 216-462).
Edipo ingiunge ai Tebani di denunciare il colpevole e a questo, chiunque egli
sia, di autodenunciarsi. In tale proclama
risuona sinistramente l'ironia tragica: il nuovo re afferma che combatterà in
difesa del suo predecessore assassinato, come per suo padre (vv.264-265). Si
tratta di Laio: il pubblico sapeva che era il padre di Edipo.
E' questa una delle caratteristiche della affabulazione sofoclea: chi pronuncia
le parole intende dare loro un significato che arriva capovolto alle orecchie
dello spettatore, come attraverso un'eco rovesciata.
Quindi entra Tiresia, il vate cieco che
denuncia la terribilità del pensare -fronei'n wJ"
deinovn- quando non giova a chi pensa (v.316).
Cfr. L’Eremita dei Primi Poemetti di Giovanni Pascoli:
“ Pregava all’alba il pallido eremita:
“Dio non negare il sale alla mia mensa,
- non negare il dolore alla mia vita.
Ma del dolore che quaggiù dispensa
la tua celeste provvidenza buona
a me risparmia il reo dolor che pensa”
(vv. 1-6).
Nelle Baccanti di Euipide “Il sapere mon
è sapienza” e “Il potere non è potenza”
Il motivo antiintellettualistico, già presente e ricorrente nell'Edipo, avrà
un'infinità di riprese: da Euripide, il "filosofo della scena",
quando giunge alla stanchezza postfilosofica delle Baccanti (“to; sofo;n d j ouj sofiva”,
v. 395). ,al movimento abbastanza recente dello Sturm und Drang ("il mio cuore-annota Werther il 9
maggio 1772-è l'unica cosa della quale sono superbo...Quello che io so, lo può
sapere chiunque, ma il mio cuore lo possiedo io solo". ), fino a Elias
Canetti il quale afferma che "L'ignoranza non deve impoverirsi
con il sapere (...) Per ogni risposta deve saltare fuori una domanda che prima
dormiva appiattata...Le sole risposte inaridiscono il corpo e il respiro"
(La provincia dell'uomo in Canetti,
Opere 1932-1973, Bompiani, pp. 1600-1601).
E' il profeta a nutrire la forza della verità ( tajlhqe;" ga;r ijscu'on
trevfw, come rivendica Tiresia (Edipo re. v.356). Tale ijscuv~ non è potenza economica né militare, ma nemmeno
cerebrale, anzi è consapevolezza dei confini angusti che limitano le nostre
facoltà intellettive.
La verità è non latenza e spesso
opera un disvelamento apocalittico.
Tiresia nelle Baccanti di Euripide dà
a Penteo questo consiglio: “non presumere che il potere abbia potenza sugli
uomini, ( mh; to;
kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein, v. 310). Il potere dunque non è potenza come il
sapere non è sapienza.
Lo Stato ha la potestas ma l’auctoritas è della Chiesa nel conflitto medievale.
Il vate tebano Tiresia, interrogato da Edipo, vorrebbe restare muto, ma
il re prima lo costringe a parlare, quindi lo accusa di complottare contro il
suo potere che viene deplorato dallo stesso tuvranno~ con la
ricchezza (vv.380 e sgg.) per l'invidia che suscitano anche nelle persone più
vicine a chi li possiede.
Edipo
O ricchezza e potere e arte che prevale380
sull'arte nella vita piena di competizione
quanta invidia si serba accanto a voi,
se per questo regno che, regalato,
non richiesto, la città mise nelle mani mie
da questo, Creonte, il fedele, l'amico della prima ora,
fattosi sotto di nascosto, brama cacciarmi
dopo avere subornato un tale ciarlatano, tessitore di frodi
imbroglione, accattone, che nei lucri
soltanto ha imparato a vedere, ma quanto all'arte è cieco di natura
L'esecrazione dell'auri sacra fames
(Eneide, III, 57) quale
scaturigine di inquinamento morale, non mancherà in nessun autore
moralista, da Sallustio, a Virgilio, a Seneca a Dante.
Il re di Tebe ha capito quanto male produca e spanda il" maladetto
fiore" (Paradiso, IX, 131) , per
cogliere il quale gli uomini mentono e uccidono, ma non ha compreso quale misera
cosa sia la sua intelligenza cui rivendica in esclusiva la vittoria sulla
Sfinge (vv.397-398). Pecca di u{bri" come Aiace
che nella precedente tragedia aveva
espresso l'arrogante certezza di conquistare la gloria senza l'aiuto degli dei.
Quando il padre Telamone nel momento della partenza da Salamina gli suggerisce di aspirare a vincere non solo con la lancia ma anche con l’aiuto di un dio, Aiace si mostrò stolto (a[nou~) rispondendo: con tale supporto anche una nullità -oJ mhdevn- può ottenere il trionfo ma io anche senza quelli confido di ottenere questa vittoria- ejgw; de; kai; dica-keivnwn pevpoiqa tou`t j ejpispavsein klevo~ (Aiace, vv.762-769).
L’attore magari mostrava di averla già in pugno
Con tali affermazioni questi personaggi manifestano tutta la loro colpevolezza,
e la critica che attribuisce a Sofocle il compianto per il dolore degli
innocenti presi di mira da dèi crudeli, non comprende Sofocle e non se ne
intende.
Tiresia non si lascia impressionare e ribadisce la sua profezia di orrori;
Edipo del resto rivela un aspetto buono, quello che lo porterà al riscatto,
quando sospende l'ira e si sobbarca il dolore della polis con le
parole:"Ma se ho salvato questa città, non importa".
Questo verso (ajll
j eij povlin thvnd j ejxevsws j , ouj moi mevlei, 443) anticipa la trasfigurazione del dolore in bellezza e in vantaggio
della comunità, compiuta attraverso l'accettazione del destino da parte del
figlio di Laio cantato dalla poesia di Sofocle.
Cfr. Seneca: “vivit is qui multis usui est, vivit qui se utitur” (Ep. 60, 4) , vive chi è utile a molti, vive chi si adopera
Bologna 22 marzo 2025 ore 11, 20 giovanni ghiselli
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