venerdì 28 marzo 2025

Il viaggio in Grecia del 1978 VIII parte. A Micene. La notte sul tetto del povero ostello.


 

 

La mattina seguente pedalai da Epidauro a Micene. L’occhio era guarito del tutto. I terrori  nati dai mostri risvegliati dalla fatica, e altri evocati dalle tenebre con masochistica  necromanzia, erano stati espulsi e ricacciati nelle caverne infernali con gli orribili demoni che li avevano generati ingravidando streghe deformi quanto le Forcidi cui basta un occhio soltanto e un unico dente tra tutte e tre .

Rinfrancato, potevo  riprendere il dialogo con la mia bella, eroica figliola.

Ifigenia era più che mai decisa a morire per dare un esempio. Parlavamo mentre si cavalcava affiancati lungo la strada che prima scendeva sul porto di Nauplion amena, poi si stendeva in pianura per qualche chilometro e infine saliva fino alla rocca possente di Micene ricca d’oro, costeggiando  fortezza minori.

Come fummo arrivati alla porta dei leoni, la sposa Tindaride mi accolse senza cordialità: non gradiva l’intesa evidente che si era creata tra me e la  nostra figliola primogenita.

A Clitennestra non chiesi la ragione di tanta freddezza: volevo corteggiare e vezzegiare  soltanto la mia ragazzina che si era consacrata alla patria  con una morte gloriosa.

Ifigenia parlò all’assemblea popolare e disse che con il sacrificio della sua vita avrebbe salvato la Grecia dai barbari che non dovevano osare altri rapimenti di donne.

w\ lh`m j a[riston  o anima ottima”, mormorai, “non posso dire più niente, se questa è la tua decisione: gennai`a gar fronei`~ ,  nobile è il tuo pensiero[1].

La mia creatura moriva anche per la gloria dei Pelopidi e pure per  la mia di a[nax: sarei stato il condottiero capace di punire il crimine dell’ospite profanatore distruggendo dalle fondamenta la città che aveva accolto il principe indegno in compagnia dell’adultera Elena, la mia sciagurata cognata, l’emula di Afrodite che si sarebbe tramutata nell’incarnazione di Nemesi. Il popolo era commosso e trascinato dal fulgido esempio dato dalla mia figliola eroica e bella come la luce del sole: tutta la gioventù era pronta a sacrificarsi per l’Ellade santa, e per me. Ne ero felice. Non prevedevo  Nemesi incarnata in entrambe le sciagurate sorellastre: la bipede leonessa figlia di Tindaro e l’impudica figliola di Zeus.

Verso sera notai che la rocca non era cupa né sepolta nell’ombra come avevo letto nei manuali di storia, anzi prendeva la luce del sole fino alle otto e otto minuti.

Pensai che gli eroi e gli artisti dell’antica reggia avessero tratto forza da quella luce presente e  viva fino al tramonto. La sua resistenza alla tenebra mi riempiva di gioia

Il sole accarezzava la terra con i suoi ultimi raggi come Febo con il plettro d’oro  tocca le corde della sua lira sul far della sera. Passai la notte nell’ostello della gioventù situato duecento metri sotto il palazzo degli Atridi.

 Mi avvolsi nel lenzuolo sdrucito e mi stesi sopra una brandina situata sulla terrazza-tetto dove non mi era tronca la veduta del cielo ricco di stelle. Guardavo quelle luci sante  alte sopra di me e sul palazzo dove Agammennone al ritorno da Troia avrebbe pagato con il  sangue suo l’assassinio della propria figliola.

Quella notte lontana, mentre ero disteso sotto il cielo sereno, le stelle mi sembravano occhi di bambini stanchi che imploravano il sonno e la pace, forse i figli di Tieste che Atreo aveva imbandito al padre loro per odio verso il fratello che gli aveva adulterato la sposa.  Nei lunghi ululati dei cani  nell’ombra credevo di riconoscere le grida del re  cui la scure bipenne della moglie furente aveva macellato le membra nella vasca da bagno dove l’acqua fluttuava con onde arrossate dal sangue.

Gridai: “una rete è la compagna di letto, la complice dell'assassinio".

Quindi non potei trattenermi e aggiunsi con tutta la voce che avevo:  "tieni il toro lontano dalla giovenca: lo ha preso nei pepli, lo colpisce con la trappola delle nere corna, ed esso cade nella vasca piena d'acqua" [1]. Dei ragazzi  vicini assonnati e disturbati dal questo mio farneticare chiassoso mi intimarono di fare silenzio. Ma quei vicini erano  lenti a punirmi, anzi nemmeno si mossero e seguitai. 

“quell’ italiano è pazzo di nuovo”, avranno pensato

Quasi tre anni più tardi nell’aprile del 1981, di fianco a Ifigenia, quella reale, la bella, giovane collega e amante,  vedevo biancheggiare alla luna le piume di un cigno immoto nell’acqua fredda dello Starnbergersee, e  pensavo alla morte del lunatico re di Baviera annegato lì dentro mentre cercava di allontanarsi dai  suoi carcerieri.

“Più di un a[nax assassinato ricordavo: Agamennone, Ludwig II,  Allende, Pasolini, Moro. Sono in bilico pure io con costei, con il preside Tanghero e con altri malevoli. Ma saprò cavarmela, come sempre”.

Nota

[1] Sono citazioni tratte dall’Agamennone di Eschilo (vv. 1116-1117 e 1125-1128)

Bologna 28 marzo 2025 ore 18, 19 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1706472

Oggi216

Ieri398

Questo mese13527

Il mese scorso23432

 

 

 



[1] Ho utilizzato parole dirette da Achille alla ragazza nell’ Ifigenia in Aulide di Euripide (vv. 1421-1423)

Nessun commento:

Posta un commento