giovedì 27 marzo 2025

La Grecia in bicicletta estate 1978. III. Trasognato pedalatore.


 

 Il ciclista trasognato pedala fantasticando e ricordando alcuni versi tragici

 

Fantasticavo. Erravo non lontano dalla gioia.  Volevo che la luce della gioventù della creatura mia, Ifigenia, o Polissena[1] che fosse,  prevalesse comunque sulla tenebra della superstizione. Dato il mio ruolo di capo supremo, potei sottrarre la ragazza all’empio proposito del prete malvagio.

L’avevo rapita all’avida morte: la vedevo danzare, cantare  e sorridere sulla riva ventosa del mare ondeggiante.

“Questa gara dovrà sottostare alla mia volontà di vita-pregavo rivolto al Sole- tu dammi propizio l’evento”.

I ciottoli sotto l’acqua vicina alla riva scintillavano come cristalli. Api vellutate giravano intorno alle arance. Il sole sfolgorante circonfondeva tutto.

 Ifigenia cercava di propiziarsi gli dèi che, pietosi, ci avevano offerto l’occasione di quella felicità. Dolce aleggiava il suo canto e i movimenti avevano l’armonia del cosmo creato dalla sapienza dell’artista supremo.

Le parole mi fiorivano dentro e dicevo a mia figlia venuta vicino:

  “Inevitabile è il viaggio di ritorno a Micene. Io e tua madre detestiamo la guerra. Vogliono farla per amore di rapina e di stupro. Ma io amo te, figlia mia. Non mi importa niente della conquista di Troia, della vittoria sui barbari né del potere sui Greci: solo tu mi stai a cuore principessa: la tua vita che porterà avanti la mia, il tuo volto ridente, la tua gioia, il tuo amore. Torneremo insieme alla nostra inespugnabile rocca dove daremo gioia  anche alle tue sorelle[2], a tuo fratello, a tua madre. Questa è la ritirata dei forti, non è viltà. Torniamo nella nostra reggia difesa da mura possenti”.

Ma queste parole rimasero senza effetto:  Ifigenia aveva mutato disposizione d’animo. La mia primogenita era inopinata e improvvisa come una dea.

Rispose: “No, padre. A Micene tu farai convocare l’assemblea dei cittadini, poi annuncerai che la tua prima figlia vuole morire per la libertà dell’Ellade intera. Lascia che io salvi la Grecia. Il popolo vuole tali esempi da noi. Se non trovassimo il coraggio e la forza di darli, come potremmo pretendere di essere considerati i migliori? Io devo morire e lo voglio, non perché non ami la vita e sia stanca di vedere la splendidissima luce del sole, ma perché amo la mia identità di ragazza dall’anima nobile ancora più della vita. Tu stesso, padre, mi hai educata a sentire così altamente”.

Non potei dissuaderla. Dovetti sottoporre il collo al giogo ferreo della Necessità. Come quando Päivi decise di abortire la nostra bambina.

Non c’era verso di farle cambiare idea.

Ottenni soltanto che all’assemblea convocata dentro la rocca possente della nostra Micene fosse lei stessa ad annunciare il proposito suo e ne avesse intera la gloria.

Sapevo che i poeti l’avrebbero cantata per sempre. Come avei fatto anche io dopo avere perduto le tre amanti migliori e l’unica figlia concessami dal destino: avrei impiegato parte della mia vita  a raccontare le storie di questi  amori supremi divenendo “l’aedo di Debrecen” come mi avrebbe augurato Fulvio non senza posarmi sul capo  una corona d’alloro.

 

Tornato in me,  recitai a memoria qualche  verso di Eschilo annidato dentro di me e tornato a danzarmi davanti agli occhi nell’aria piena di luce.

Sapevo che vivono più a lungo delle pur nobili gesta le parole se sono tirate fuori da un sentimento profondo e hanno il favore delle Muse associate alle Grazie. Meravigliosa unione.

 

Quindi ripresi a sognare pedalando e pensando che la madre forse non avrebbe capito il sacrificio volontario della nostra figliola. L’avrebbe considerato un empio delitto voluto dal prete empio e dai duci ambiziosi dei Danai d’accordo con me.

Dovevo impedire che la furia materna arrivasse a sciupare l’eoico gesto voluto dall’anima nobile della nostra figliola innocente e non renitente al sacrificio supremo per l’Ellade nostra.

 

Uscito dall’estasi un’altra volta,  tornai in me  e recitai questi versi di Sofocle dove Clitennestra  ricorda a Elettra l’assassinio di Ifigenia quando dice alla figlia superstite, ostilissima a lei, che è stata Dike ad ammazzare Agamennone.

Io partorii quella ragazza con dolore; lui l’ha solo seminata.

ejpei; path;r ou\to" sov", o{n qrhnei'" ajeiv,

th;n sh;n o{maimon mou'no"   JEllhvnwn e[tlh

qu'sai qeoi'sin, oujk  i[son kamw;n ejmoi;

luvph" o{t j e[speir j , w{sper hJ tivktous  j ejgwv (Elettra, 530-533)

poiché questo padre tuo che piangi sempre,  lui solo tra i Greci osò  sacrificare agli dèi una del tuo stesso sangue, senza avere sofferto, quando la seminava, la pena del parto  come ho fatto io nel metterla al mondo.

 

Avevo pedalato per parecchi chilometri fantasticando e ricordando. Non sapevo che in autunno avrei conosciuto meravigliosamente una Ifigenia in carne e ossa; anzi pensavo alla bambina non nata siccome sacrificata allo studio e alla carriera da Päivi, e in nessun modo difesa da me.

deino;n to; tivktein ejstivn (v.770), tremenda cosa è il partorire! Citai ancora dall’Elettra di Sofocle gridando. E perdonai la finnica che mi aveva negato la figlia.

 


 

Bologna 27 marzo 2025 ore 11, 33  giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Una splendida ragazza, una nobile creatura che nell’Ecuba di Euripide viene sacrificata sulla tomba di Achille nonostante le suppliche della madre, la vecchia regina troiana sconfitta, eponima della tragedia.

[2] Nell’Iliade  (IX, v. 145 e v. 287 ripetuto da Odisseo) Agamennone dice di avere lasciato nella sua casa ben costriuita tre figlie: Crisotemi, Laodice, Ifianassa. Vero è che la vicenda di questo sacrificio è raccontata da Euripide ma io uso sempre diverse fonti, poiché, come scrive Leopardi, è moltiplicando i modelli che si raggiunge l’originalità” (cfr.Zibaldone , 2185-2186.)

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