mercoledì 26 marzo 2025

Aristofane Lisistrata VI. Inizia la battaglia tra i generi. Bellum plus quam civile.


 

Cleonice ripete i giuramenti fatti da Lisistrata sul dovere di aspettare in casa il marito dopo essersi imbellita al massimo perché lo sposo arda per me con tutta la forza - o{pw"  a[n aJnh;r ejpitufh'/ mavlistav mou-222, senza però compiacerlo mai.

 

L’amore viene associato al fuoco molto spesso nella letteratura.

 

Il fuoco d'amore  è attestato fin da Saffo che anzi inaugura il topos della cottura amorosa:"o[ptai" a[mme" (fr. 38 Voigt), tu mi cuoci.

 

Così, ancora nel VII idillio di Teocrito, c'è Licida ojpteuvomenon (v. 55), cotto da Afrodite per Ageanatte.

 

L'ardore e il fuoco sono presenti negli amorazzi dei giovani della commedia latina:"Sperabam iam defervisse adulescentiam :/ gaudebam. Ecce autem de integro! " fa Micione negli Adelphoe  (v. 151-152) a proposito del nipote, speravo che fossero ormai sbolliti quegli ardori giovanili: me ne rallegravo. Ecco invece di nuovo.

 

 Il fuoco nella storia di Enea e Didone  non cuoce né purifica, ma è deleterio, velenoso, ingannevole:"occultum inspires ignem fallasque veneno " (I, v. 688), infondile un fuoco occulto e ingannala con il veleno, ordina Cipride al figlio. L'amore  è causa di infelicità, è pestifero, mortale, e Didone innamorata di Enea è predestinata alla rovina:" Praecipue infelix, pesti devota futurae,/expleri mentem nequit ardescitque tuendo " (I, 712-713), sopra tutti l'infelice, consacrata alla rovina imminente, non sa saziare il cuore e s'infiamma guardando.

Fuoco ferita e follia tormentano insieme  Didone durante la successiva cerimonia religiosa con cui la regina cerca la pace:"quid  vota furentem,/ quid delubra iuvant? Est mollis flamma medullas/interea et tacitum vivit sub pectore volnus./ Uritur infelix Dido totaque vagatur/urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta"  ( Eneide, IV,vv. 65-69) a che giovano i sacrifici, a che i templi a chi è fuori di sé? divora i teneri midolli la fiamma intanto e si ravviva in silenzio la ferita sotto il petto. Brucia l' infelice Didone e vaga fuori di sé per tutta la città, quale cerva dopo che è stata scagliata la freccia.

 

Lisistrata continua a snocciolare il suo decalogo e Cleonice ripete.

Se poi mi prende a forza contro il mio volere- eja;n dev m’ a[kousan biavzhtai biva/, io sarò maldisposta e non mi muoverò.

E non alzerò le scarpette persiane fino al soffitto (229) le ingiunge Lisistrata.  

Cleonice deve ripetere tutto e alla fine giurare sotto la maledizione che la  coppa le si riempia di acqua, se avrà spergiurato

Dopo Cleonice giurano tutte. E Lisistrata consacra il giuramento sulla coppa bevendo.

 

Mentre tutte bevono a turno si sente il clamore delle donne ateniesi che hanno occupato l’Acropoli

Lampitò viene invitata a occuparsi delle donne spartane ed esce.

Lisistrata e Cleonice si muovono per andare a mettere i chiavistelli e chiudere fuori gli uomini che volessero muoversi contro le donne.

Cleonice proclama ed esalta le loro forze di persone chiamate giustamente invincibili e furfanti  a[macoi kai; miaraiv 251.

 

Parodo vv. 254-386

 Entra un coro di vecchi: ciascuno ha sulle spalle il peso di un tronco di olivo verde

Il  primo Semicoro esordisce notando che ejn tw'/ makrw'/ bivw/ povll j  a[elpt j e[nestin (256), in una lunga vita molte sono le cose inattese.

 

L’inaspettato

 Un topos presente in molti testi, tra i quali la Medea di Euripide che finisce con questi versi:

Di molti casi Zeus è dispensatore sull’Olimpo

 molti eventi in modo imprevisto compiono gli dèi;

polla; d j ajevlptw" kraivnousi qeoiv

e i fatti aspettati non vennero portati a compimento,

mentre per quelli inaspettati un dio trovò la via.

Così è andata a finire questa azione ( Medea, 1415- 1419)

 

La conclusione dell' Alcesti, dell'Andromaca , dell'Elena e delle Baccanti è uguale a questa della Medea, tranne che per il primo verso degli ultimi cinque : " pollai; morfai; tw'n daimonivwn" (Alcesti , v. 1159; Andromaca, v. 1284; Elena, v. 1688; Baccanti, v. 1388),  "molte sono le forme della divinità". L'Ippolito si conclude con la constatazione, da parte della Corifea che su Trezene inaspettatamente, ajevlptw~ (v. 1463) è caduto addosso un dolore comune che provocherà  un fluire continuo di lacrime.

Torniamo alla Lisistrata

Nel caso di questa commedia l’imprevisto è che le donne a}"  ejbovskomen-kat j oi\kon ejmfane;" kakovn,  che nutrivamo in casa, male ben noto, si sono impadronite dell’Acropoli e hanno bloccato i propilei con chiavistelli e serrami (265).

Il Corifeo fa fretta agli altri vecchi (wJ" tavcista) perché lo seguano nel portare i tronchi là dove verranno ammucchiati per bruciare le donne.

Cfr. "il puro" folle  Ippolito che dà in escandescenze:

 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini -kivbhdlon ajnqrwvpoi~ kakovn- Euripide, Ippolito, 616.

 

Un’anticipazione delle condanne al rogo delle streghe.

 

Il Semicoro II esprime la paura tipica degli eroi: quella della derisione, un oltraggio da evitare a costo del suicidio (cfr. Aiace di Sofocle) e dell’assassinio perfino dei figli.

 

Cfr. la  Medea di Euripide 404-407

Vedi quello che subisci?  non devi dare motivo di derisione- ouj gevlwta dei' s j ojflei'n

 ai discendenti di Sisifo per queste nozze di Giasone,

tu che sei nata da nobile padre e discendi dal Sole.

 

Il semicoro II dunque giura: no, per Demetra, finché vivo io, non si faranno beffe di me- ouj ejmou' zw'nto" ejgcanou'ntai271(ejgcaivnw, spalanco la bocca per sghignazzare).

 

Quindi i vecchi ricordano che nemmeno il re di Sparta Cleomene I che occupò l’acropoli nel 508-507  la passò liscia, anzi dopo due anni di assedio con  quel suo spartano darsi arie Lakwniko;n pnevwn-276-dovette andarsene tutto peloso-ajparavtilto"-parativllw- (e cfr. l’essere depilate invece delle donne) e sudicio non lavato da sei anni e{x ejtw'n a[louto" (280).

Costume attribuito agli Spartani e pure a Socrate. Nelle Nuvole del 423 si legge che nessuno nel pensatoio socratico si lava. Negli Uccelli del 414 Socrate viene screditato come a{louto~ (1553)

Cleomene appoggiò contro clistene l'oligarca Isagora che venne eletto primo arconte.

Clistene fuggì accusato di nuovo per la faccenda dei ciloniani uccisi dagli Alcmeonidi nel secolo precedente, ma poi la boulhv lo richiamò e potè riprendere la riforma democratica.

Il Corifeo ricorda di nuovo l’impresa compiuta da loro 90 anni prima, e aggiunge che a maggior ragione ora saranno capaci di trattenere da tale ardimento queste donne odiose a Euripide e a tutti gli dèi-tasdi; de; ta;" Eujripivdh/ qeoi'" te pa'sin  ejcqrav" (283).

Cleomene I aveva tentato di mettere al potere Isagora, nemico politico di Clistene accusato di essere contaminato dal sacrilegio della sua della famiglia che una trentina di anni prima aveva ucciso i Ciloniani rifugiatisi nel tempio delle dèe venerande.

 

Cfr. la commedia Tesmoforiazuse dello stesso anno. Il personaggio Euripide dice al suo parente: “le donne hanno tramato contro di me (aiJ ga;r gunai'ke" ejpibebouleuvkasiv moi, 82). Perché? domanda il khdesthv", e il drammaturgo risponde: oJtih; tragw/dw' kai; kakw'" aujta;" levgw (84) poiché faccio tragedie e dico male di loro.

 

Il primo semicoro lamenta la fatica della salita con i tronchi sulle spalle

Il secondo semicoro trasporta tizzoni ardenti dentro delle marmitte da dove schizzano  faville  come cagne infuriate e mordono gli occhi.

L’impresa è dunque epica.

Il Corifeo dà disposizioni per l’assedio con  il fuoco che scagliato contro le porte le bruci, e il fumo tormenti le donne. Quindi invoca devspoina Nivkh, Vittoria sovrana che li aiuti a innalzare un trofeo sull’ardire delle donne (gunaikw'n qravsou", 318).

E’ l’eterna paura che ha l’uomo della donna.

 

La paura della donna suggerisce al Catone il vecchio di Tito Livio alcune parole  sulla  necessaria sottomissione della femina  al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti intemperante.

Così si esprime il censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia  che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone[1] le quali erano scese in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento della legge:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam , si vere dicere volumus, desiderant " (XXXIV, 2, 11-14) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se vogliamo chiamarla  con il giusto nome la licenza in tutti i campi.

E continua: “ Extemplo simul pares esse coeperint, superiores erunt (XXXIV, 3, 2)” appena avranno cominciato ad essere pari, saranno superiori

 

Marziale (40 ca-104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma scrive:" Inferior matrona suo sit , Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.

 

Bologna 26 marzo 2025 ore 12, 43 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.

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