giovedì 27 marzo 2025

Aristofane Lisistrata XI. Il ridicolo degli uomini armati e l'imbroglio dei sacerdoti castrati.


 

Ora è Lisistrata che dice siwvpa 529 sta’ zitto- al commissario

Costui risponde con rabbia: “devo stare zitto io, davanti a te maledetta-w\ katavrate- che per giunta porti un velo sul capo? (kavlumma peri; th;n kefalhvn, 530). Che io muoia piuttosto.

Lisistrata risponde: “se è proprio questo che te lo impedisce, prenditi pure il mio velo, mettitelo in testa, ka\/ta siwvpa, e poi sta’ zitto 533-534.

Il velo dovrebbe simboleggiare la ritrosia o la riservatezza femminile. Dovrebbero portarlo gli uomini e diventare meno fanfaroni

 

Quindi l’ ateniese Cleonice vuole attribuire al Probulo altri simboli del ruolo di donna tradizionale:  cardare la lana sgranocchiando le fave- kuavmou" trwvgwn (537). E’ ora di cambiare le parti.

 

Il Coro delle donne canta

ejgw; ga;r ou[pot j a]n kavmoim j ojrcoumevnh 541, io non sarò mai stanca di danzare, mai faticosa pena mi prenda le ginocchia, voglio affrontare ogni ostacolo ajreth'" e{nec j, per la virtù (cfr. la morale eroica degli uomini valorosi come Achille) con quelle che hanno fuvsi", una buona natura, cavri", grazia e qravso", ardire, to; sofovn, il sapere, amor di patria e prudente valore ajreth; frovnimo" (547).

Non mancano la componente estetica né quella etica.

 Ora correte  con vento favorevole le esorta la corifea  (550) .

Lisistrata aggiunge: e se Eros glukuvqumo"- 551 delizioso, con Afrodite soffieranno desiderio nei seni e nelle nostre cosce h[nper i{meron hJmw'n kata; tw'n kovlpwn kai; tw'n mhrw'n katapneuvsh/ 552 e infonderanno negli uomini tensione piacevole e durezza di clava tevtanon terpnovn toi'" ajndravsi, kai; ropalismouv", (clava rjovpalon)553,  ci chiameranno Lusimavca", Lisimache, dissolvitrici di battaglie.

Il nomen dunque che era omen, presagio diventerà destino e storia .

 

Il pericolo e il ridicolo degli uomini armati.

 

A proposito di girare armati, Lisistrata dice al Probulo  “In primo luogo dobbiamo fare smettere  agli uomini di andare in piazza con le armi in stato di grave turbamento mentale mainomevnou"  (Aristofane, Lisistrata, 555-556).

 Si pensi ai mentecatti che possono comprare le armi dove vogliono, poi vanno a fare delle stragi o ammazzano chi capita.

 

Infatti ora tra le pentole e gli ortaggi passeggiano per la piazza armati come Coribanti ( xu; o{ploi~ w{sper Koruvbante~, Lisistrata, vv.555-558).

Il Probulo prova a dire che è un dovere degli uomini valorosi

 E Lisistrata: “ ma è di certo una ridicolaggine- kai; mh;n to; ge pra`gma gevloion  (559) quando vanno a comprare il pesce armati fino ai denti”.

 

Vediamo  i sacerdoti Galli (o Cureti) di Lucrezio e i Coribanti di Orazio

La furba follia, vero o simulata dai Galli, sacerdoti di Cibele, che vogliono fare paura agli stolti è evidenziato da Lucrezio nel II libro del De rerum natura.

Viene descritta la processione orrendamente superstiziosa. "tympana tenta tonant palmis, et cymbala circum-concava, raucisonoque minantur cornua cantu" (II, 618-619).

I tamburelli tesi tuonano sotto i palmi e i cembali concavi-piatti di metallo-

intorno, con il rauco suono minacciano i corni,

e il cavo flauto con frigia cadenza esalta le menti.

Inoltre brandiscono le armi (telaque praeportant), 621, segni di furia

che possano atterrire, con lo spavento conterrēre metu  della potenza della dea,

gli animi ingrati e i petti ribaldi del volgo.

Allora le genti aere atque argento sternunt iter omne viarum (626)

  lastricano tutto il percorso di bronzo e d'argento

arricchendoli di copiosa offerta largifica stipe ditantes e fanno nevicare fiori di rosa, coprendo di ombra la madre e le orde del seguito.

I Cureti  danzano armati facendo ricordare quelli che coprivano i vagito di Giove perché Saturno non lo azzannasse con le mascelle e infliggesse alla madre eterna ferita.

 

La magna mater aveva molti nomi: Rea che aveva generato Zeus sul monte Ida a Creta, Cibele i cui Coribanti si autoeviravano e venivano chiamati Galli e si identificavano con i Cureti cretesi.

Sui Coribanti sentiamo Orazio (Odi, I, 16, 7-9)" non- acuta sic geminant Corybantes aera,-tristes ut irae" (quatiunt mentes)  non così i Coribanti sbattono gli aspri bronzi come le ire tristi (scuotono le menti)

 

Torniamo a Lucrezio

I Galli evirati vogliono significare che non sono degni di generare quelli che hanno violato il volere della madre e non sono stati grati ai genitori "significare volunt indignos esse putandos,- vivam progeniem qui in oras luminis edant" (616-617)

Gli armati significano il volere della dea che la terra dei padri si difenda con le armi.

Queste leggende sono narrate bene e con eleganza ma sono tenute ben lontano da una corretta ragione –longe sunt tamen a vera ratione repulsa- (De rerum natura, II, 645). Dunque anche in questa religio c’è della pazzia, come nella guerra.

 

Il Socrate di Platone oppure Nietzsche?

 

Una chiave per spiegare la natura di Socrate ci viene spiegata dal fenomeno del suo demone, una voce che lo dissuadeva sempre.

 Cfr. Platone,  Apologia 31  dove Socrate dice che in lui c’è qei`ovn ti kai; daimovnion , una voce –fwnhv ti~- che quando si manifesta ajei; ajpotrevpei me, mi distoglie sempre da quello che sto per fare, protrevpei de; ou[pote, mentre non mi spinge mai.

Questo mi impedisce di occuparmi di politica.

 

Socrate è visto da Nietzsche come il nemico dell’istinto, o come un individuo dall’istinto rovesciato: “Mentre in tutti gli uomini produttivi l’istinto è proprio la forza creativa e affermativa, e la coscienza si comporta in maniera critica e dissuadente, in Socrate l’istinto si trasforma in un critico, la coscienza in una creatrice-una vera mostruosità per defectum! Più precisamente noi scorgiamo qui un mostruoso defectus di ogni disposizione mistica, sicché Socrate sarebbe da definire come l’individuo specificamente non mistico, in cui la natura logica, per una superfetazione, è sviluppata in modo tanto eccessivo quanto lo è quella sapienza istintiva nel mistico”[1].

 

“Io sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo”[2].

In Ecce homo “quasi alla fine della sua vita lucida, Nietzsche  scrive: “Io non sono un uomo, sono dinamite”[3].

“Il suo grido di omaggio non è “osanna” ma “evoè”[4].

C’è in Nietzsche una “sopravvalutazione coribantica”[5] della vita istintiva

 

 

 

Cleonice  ha visto un tale komhvthn, con la zazzera, un comandante di cavalleria che gettava nell’elmo di bronzo il purè di legumi (levkiqon) comprato da una vecchia. Un altro, un Trace che sembrava Tereo (il barbaro re stupratore), brandendo scudo e giavellotto, atterriva la venditrice di fichi-th;n ijscadovpwlin e tracannava quelli molto maturi (Lisistrata, 561-564).

Bologna 27 marzo 2025 ore 10, 25 giovanni ghiselli

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[1] La nascita della tragedia , capitolo 13

[2] Ecce homo, Prologo.

[3] Ecce homo, “Perché sono un destino”, 1

[4] T. Mann, Nobiltà dello spirito, p. 824.

[5] T. Mann, Op. cit., p. 825.

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