To; mevllon h{xei (Eschilo, Agamennone, 1240). Il futuro verrà
“E ora racconterò la storia dello Zarathustra. La concezione fondamentale dell’opera, il pensiero dell’eterno ritorno è dell’agosto del 1881”
Ma la prima parte uscì nell’aprile del 1883, “nell’ora sacra in cui Richard Wagner morì a Venezia. Ne risulta una gravidanza di 18 mesi. Questo numero potrebbe suscitare, per lo meno tra i buddisti, l’idea che io sia una elefantessa”.
L’inverno 1882-1883 “vivevo a Genova, in quell’insenatura graziosa e quieta di Rapallo, intagliata fra Chiavari e il promontorio di Portofino. Non ero nel migliore stato di salute; l’inverno freddo e oltremodo piovoso; un alberghetto proprio sulla riva del mare, sicché la notte il mare mosso mi impediva di dormire, tutto questo insieme mi offriva più o meno l’opposto del desiderabile. Ciononostante e quasi a riprova del mio principio secondo cui tutto ciò che è decisivo nasce “nonostante tutto”, il mio Zarathustra nacque proprio lì e in quelle sfavorevoli circostanze”.
Oltretutto nella primavera del 1882 respinse due volte la sua proposta di matrimonio “una giovane russa, di cui allora ero amico, la signorina Lou von Salomé”.
Ebbene “nonostante tutto, su queste strade mi venne incontro tutto il primo Zarathustra: più esattamente mi assalì”.
Posso confermare che quanto deve accadere accade e non ci può né ci deve spiacere: amor fati è una regola d’oro.
Ecce homo. Così parlò Zarathustra. 2
Odisseo e Ulisse.
“Per capire il tipo di Zarathustra bisogna in primo luogo aver chiaro il suo presupposto fisiologico: che è ciò che io chiamo la grande salute (…) cioè una nuova salute, una salute più vigorosa, più scaltrita, più tenace, più temeraria, più gaia di quanto non sia stata fino a oggi ogni salute (…) una salute che non soltanto si possiede, ma che di continuo si conquista, e si deve conquistare, perché sempre di nuovo si sacrifica e si deve sacrificare”.
In effetti una grande salute mentale e fisica non è conciliabile con una vita usuale, quella degli sperperatori del tempo, dei divoratori compulsivi di cibo, dei vani accumulatori di cose inutili o dannose. La salute grande richiede disciplina grande.
L’utopia degli Argonauti
“ E ora, dopo essere stati in cammino così a lungo, noi Argonauti dell’ideale, più coraggiosi, forse di quanto lo esigesse la prudenza, dopo che molto spesso incorremmo in naufragi e sciagure, ma sempre , come si è detto, più sani di quanto vorrebbero concederci, pericolosamente sani, sempre rinnovellati in salute-ora è come se a ricompensa di tutto ciò ci apparisse dinanzi agli occhi una terra ancora ignota, di cui nessuno ancora ha misurato con lo sguardo i confini, un al di là di tutti i paesi e i cantucci dell’ideale esistenti fino ad oggi, un mondo così sovranamente ricco di cose belle, ignote, problematiche, terribili e divine, che la nostra curiosità come la nostra sete di possesso sono fuori di sé: ah oramai non c’è più nulla che ci possa saziare!
Vengono in mente l’Odisseo di Omero e l’Ulisse di Dante
Odisseo perché con la sua intelligenza capace di intendere ogni aspetto della realtà, di rendersi complice della vita, con la sua grande salute mentale, se la cava in ogni situazione, e non c’è mostro, non c’è maga, non c’è droga, non ci sono proci che l’abbiano vinta su di lui, non c’è naufragio che lo sommerga ma rimane sempre a galla.
L’Ulisse di Dante è piuttosto caratterizzato dalla sua volontà di non fermarsi mai, di trovare un mondo nuovo a tutti i costi, compreso quello del naufragio e della morte per acqua.
Omero non pone limiti all’intelligenza di Odisseo, un acume mentale che gli viene riconosciuto e viene ammirato anche dalla dea Atena, mentre Dante vuole mettere in guardia se stesso e il suoi lettori da non lasciare correre troppo l’ingegno ma di frenarlo “perché non corra che virtù nol guidi” (Inferno XXVI, 22).
Ripeto che Dante è uno di quegli autori che insegnano a parlare e a scrivere, però non liberano la mente da diverse soggezioni a tanti dogmi che la inceppano. Lo stesso dico di Virgilio che è addirittura un panegirista dei suoi potenti protettori.
Altri autori, viceversa, hanno minore potenza nel mettere in fila le parole, talora sono anche meno chiari, però sono efficaci nel liberarci dalle catene delle superstizioni ostili alla vita libera o delle mode sfacciate. Tra questi metto Lucrezio, Nietzsche e Leopardi.
Torno dunque a Nietzsche che presenta “l’ideale di uno spirito che ingenuamente cioè suo malgrado e per esuberante pienezza e possanza gioca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono, intangibile, divino (…) un ideale con cui, nonostante tutto ciò, comincia forse per la prima volta la grande serietà, è posto per la prima volta il vero punto interrogativo, con cui il destino dell’anima ha la sua svolta, la lancetta si muove, la tragedia comincia”.
In effetti pure il gioco è una cosa seria e anche la libertà richiede disciplina. Ma non quella imposta da altri, da fuori.
Villa Fastiggi, primo settembre 2025 ore 15, 09 giovanni ghiselli.
p. s.
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