NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 31 luglio 2014

Conferenza "Conversazioni sul mondo classico"

L'INCONTRO SARA' ALLE 18.30, NON ALLE 19

"Er, l'anima" di Lucia Arsí



Il Mito rivisitato da Lucia Arsí

Er, l'anima

Spalanco le imposte e gli dei mi visitano

E’ un pomeriggio aggredito dai raggi. Il calore soffoca. Oltre la norma. Oltre la norma ed è errore, inevitabilmente. E nell’errore  la spinta. Dove?… una casetta, minuscola e linda. Un novantenne, lì. Accanto una giovane figlia. Le braccia di lei contengono il corpo del padre, oramai insecchito. Diresti un ramo consunto dal malsecco. Un ramo… un tempo… foglie nutrite da linfa, ora verdi...   poi…  senti il tonfo della caduta e nuovamente ri-tornano e la zagara bianca come una palla di neve e poi… schiantato dal Tempo impietoso, frustato dalla mancanza, privo degli umori della terra, quel ramo sradicato.

Ella accoglie sul petto il capo del vecchio, un tempo tondeggiante e birbante. Ora palpebre socchiuse, occhi vaganti e spenti al senso del qui. Le labbra tumefatte dai batteri e che importa?… non servono a lui, assente al richiamo del cibo, della voce. Non intende. Ha rotto con il senno. Nullo il gesto che segnala il volere. Il cuore pulsa, tremano le labbra e il delirio prima fioco “… un odore… sento un odore… antico… strano… bello… ”. Lo sproloquio diventa ardito “… sento…  l’odore di lei…   della mamma… tu sei la mamma… ”.

Il fiato condensa il suo profondo sentire. Cacciata  via la ragione, quella che disgiunge. Il vecchio interamente abitato dalle percezioni primarie, mai tradite, mai abbandonate. Seppellite in anfratti mentali che solo l’olfatto di un bimbo  riesce a disseppellire. E si riappropria dell’odore della sua mamma, che non vede da ottantatre anni. Ora la voce del padre morente diventa querula.

“Corri… corri… presto… - un tale urla e gesticola e mi indirizza lungo la battigia – … vai… corri… é sulla riva”. L’ uomo-puer – rosse le guance per l’emozione del rivissuto – prosegue. “ Io corro… sai… veloce… sono lesto e lei, la mia mamma  là… stesa sul bagnasciuga… c’è un lenzuolo bianco sul corpo e… mi avvicino e lei non mi parla ..non mi guarda… non mi risponde… non può… è rigida… assente…”. Serra le labbra e si rannicchia sul petto della figlia e su quella morbidezza, carezzato dalla tenerezza, ammaliato dalla sicurezza, il vecchio–bimbo riposa.

La figlia è la mamma. In quell’attimo il tempo aionico. E quando accade, assapori attimi di eternità, di memoria del sangue, del perduto che sa ritornare, del mare che ha tolto e ridona, della voluttà che è piacere non mirato. Quando accade, sei nella grazia di Dio, perché partecipi del mistero che sei e non sei. Sei nella totalità e non hai coscienza. Quando c’è l’eternità non ci sei tu, e quando ci sei non c’è l’eternità.
Questo respiro eterno, che ha avuto la meglio sull’egocentrismo, svolazza e potresti ri-conoscerlo nel viso tumefatto del vecchio. Respiro che è il sigillo della  vita di ognuno, e tale sigillo chiamiamo Anima.

L’anima?… lasciamo ad Er, il soldato panfilo, il difficile compito di riferire le cose di lì, dire dell’anima…
“ Trascorso il tempo stabilito, le anime giungono dall’alto, dal basso e si incontrano e riferiscono e gioiscono e fremono. Scontato il fio, é tempo di tornare sulla terra. Ecco… un araldo getta tanti “Kléros”. L’anima sceglie il kleros  (destino, pezzo di terra, immagine della  vita?) e si avvia da Lachesi, una parte del destino, che le affida il daimon (angelo custode ), compagno utile a rammemorare. Poi Cloto fila gli eventi e Atropo li rende irreversibili. Passa infine, senza voltarsi, sotto AnanKe, che le imprime la forza della Necessità… ”.
Le Moire hanno filato il destino, dall’anima liberamente scelto.

E noi? Noi liberi e necessitati. Strozzati da una forza più forte della nostra volontà. Eppure forza che nasce con noi, si alimenta dentro di noi e ci spiace di averla nutrita, quando rivela l’efferatezza. Ospite gradita, quando ci accompagna nel bosco umbratile e lascia intravedere la luce.

La figlia continua ad accarezzare  il viso consunto del vecchio, un attimo prima sorriso di bimbo che tocca l’Eterno coniugato con il Tempo.
E sulle sue rotaie corre la memoria e sosta ove le luci delle stazioni abbagliano maggiormente.
Incidono gli eventi, quelli  strani, paradossali.

Scende dal treno una ragazza. Tredici anni. Studentessa accorta. Compagni fedeli i libri, in un ambiente in cui la carta stampata non è di norma.

“ Figlia mia, è destino…  accade  perché voluto dal destino… La poggiatura della voce strana. Gli occhi fissi. Non è la mamma che prepara il budino quando la bimba a letto per la temperatura elevata e il latte e il cacao e l’amido e i biscotti e la bimba risorge. Quando la mamma chiosa il discorrere quotidiano con quella lapidaria sentenza, ella si rivela altra. In lei la Parola lapidaria.  Il destino aleggia in casa come un estraneo. Si piazza e impone il diktat. E sempre tutti bloccati dall’imponderabile, dall’inconoscibile. Non ci si ribella. E lei, la mamma orfana, nutrita di preghiere a stomaco vuoto, alza la testa, spalanca  gli occhioni speciali e canta e il tema rimane lo stesso “ E’ destino…

Un giorno triste…  torna la scolara tredicenne, torna a casa. La camera da letto invasa dall’enorme telaio. Al centro, su una seggiola dalla spalliera emergente e filigranata, la sorella, parecchia la differenza d’età. Il pollice e l’indice sinistro a strofinarsi su un ago minuscolo. Il medio incappucciato da un ditale argenteo. Il filo, luccicante e sottile, lì. E sui braccioli della poltroncina, un panno lindo. Le mani della ricamatrice eternamente umide di sudore. Il ricamo floreale sulla balza del lenzuolo di lino sancisce l’entità della dote. E il rito di preparazione si svolge senza tregua.

Quel giorno… gli occhi neri non si sollevano dal telaio. Pungono con forza il lino d’accordo con l’ago e attendono… ecco… la voce della mamma, rivolta all’allora tredicenne:“  tuoi libri… in una cassa… a mare… non li vedrai più… così ha deciso tuo padre… ”.
Il misfatto? … una passeggiata con un giovane… non si poteva… non si doveva…
Quale il senso?  C’è senso nel distruggere i libri? Manca il senso. Rimane l’errore. Necessario per imprimere forza agli eventi.
“ Senza divorare le parole entro i libri stampate? E la gara di storia? E i compagni a chiedermi lumi? E come soffocare la curiosità galoppante?, un dolore lancinante, l’angoscia che agguanta perché s’affioca la luce che accompagna giorni algidi ad altri calorosi.
Avverte, la tredicenne, la mancanza. Anzi sente un richiamo. Forte la chiamata. Affina l’udito… quei libri le mancano e i giorni diventano inutili.

I giorni a venire non la salutano. Forse è lei che si nega. Non importa. Ha bloccato le imposte e se ne sta accovacciata sul lettuccio e le mani graffiano la parete, che perde lo smalto. Il viaggio, anzi la danza nel labirinto delle immagini., che è movimento di salvataggio, per non finire del tutto. Le ombre sono dolenti e insecchite. Sono pesanti e claudicanti. Così le cose e le persone che le stanno attorno. E sono più buie di una notte d’inverno.

Poi… inevitabilmente il nostos, il viaggio di ritorno alla vita, in virtù della perdita; il risveglio dopo la notte profonda.

Si può non rispondere alla chiamata? A quella forza che pesa quintali e ti obbliga a fare a dire al di là delle normali possibilità? Da dove viene? Quale dio ha sancito il predominio su di te?.

L’angelo bussa forte e non puoi non comprendere le emozioni dell’anima e non rispondi responsabilmente ai dettami di fuori e ubbidisci al tuo profondo sentire.
Quella tredicenne oggi è una accorta quarantenne.
Quanta tenerezza visita la figlia! E lei accoglie fra le braccia il corpo esanime del vecchio padre!
La diresti un mantello imbottito delle piume di Fiducia e Pietà e Amore verso il padre, ora tornato all’origine e per sempre… ; potresti toccarla, imbottita di Gratitudine verso il suo mentore,  indefesso custode del gomitolo di vita, della vita della figlia.

Quel pomeriggio, martoriato dal calore di un Sole che ama nascondersi e si rivela necessariamente ambiguo e promettente, vede due contendenti e un febbrile ping pong fra ragione e sentire.  Più forte è la parola del cuore : “ L’anima?, il destino?, un estraneo sceglie e la vita di ognuno sarà solamente riflesso del già stabilito?… ”. No… no… e cosa fare, dire?

 schiudere le imposte e accogliere gli dei…  la loro visita… e concederci .
Loro sono le Essenze. Forze della Natura e campeggiano sulla terra. Condite da noi. Nani dotati e datati, viaggiano  e nell’etere si confondono, s’incontrano, si amalgamano. E ora più acri ora più dolci ora soavi. In rapporto al luogo, alle persone, al tempo. Le essenze ci scelgono, si svelano al modo di appartenenze ereditarie.

… accade…  il fuoco…  brucia.. non sai da che parte… le narici si affilano… distingui… confronti… pesi l’entità del disastro… vuoi salvare?…  cosa?…  non ciò che è utile… soddisfare lo stomaco è necessario ma a discrezione d’ognuno… custodire…  quella…  quella… .non so… so che gli occhi brillano senza avere nulla mangiato o bevuto… s’irradiano d’una luce sì intensa e il suo opposto è il buio di una notte di dicembre, quando assenti le stelle e la volta priva dell’ambigua deità… e ancora salvare… custodire… difficile perché non si chiude  nel pugno, non si pone ora qui ora lì… lottare per…  è tuo e  lo senti nel grigiore delle ore, infinite perché non conti i tuoi battiti, e non puoi…  manca la testa, alleata perenne, e loro, le energumene forze, oramai affilate lame di bisturi, armi che tagliano  in modo diverso le diverse parti del  corpo, spadroneggiano e ti spingono, con forza, loro trascurano ogni quadrato perfetto e intensificano la luce  e quando manca -  solo luce trasmettono, sfavillante scarica elettrica -  il fiato si strozza e le orbite simile ad un campo spoglio, e la testa non c’è e piangi, al modo d’un bimbo che non si chiede il prezzo del giocattolo né avverte che mancano i soldi, quelle lacrime dicono di strappo, di mancanza del proprio oggetto, quello che gli procura gioia infinita, pienezza e ora basta coi preamboli, con le contorte misure, dosate solamente ad ovest, là ove il Pensiero si cruccia del limite, impotente a squarciare il suo interno. Basta con l’angoscia che sfibra ogni fibra. Perché quando la materia si sfalda, le forze volano via. E custodiscono il codice di ogni individuo e affidano, anzi regalano alle torbide nuvole tutto ciò che è manifesto.


martedì 29 luglio 2014

Twitter, XXXIV antologia

A Renzi e a tutti i chiacchieroni della sua specie: la politica come la cultura e la morale non è solo parole -logos monon cfr. Platone Settima Lettera, 328C

Le piroette del primo Renzi potevano ingannare, ma ora l'ex sindaco fiorentino si è tolta la maschera: eripitur persona, manet res.

Renzi non intende mollare. Si farà sostenere dai droni della Nato o dai ladroni -padroni del mercato? Aspetto risposta

Nella politica è contenuta la cultura e la sostanza della vita morale. Renzi e i suoi ragazzotti pimpanti non se ne intendono.

Pina Picierno è un gioiellino. Peccato che non sia mia figlia né sia stata mia allieva: l'avrei educata.
Puoi sempre venire alle mie conferenze, carissima Pina. La prossima sarà a Pesaro il 7 di agosto. Parlerò dell'eros nei classici.
Ti insegnerò parole piene di luce contro i tuoi detrattori ottenebrati. Li confuterai con logos e con pathos. Sai che cosa vuol dire?

Nel progetto renziano avranno optimum ius pieni diritti politici solo gli optimates: quelli non impacciati da difficoltà economiche ( cfr. Cicerone, Pro Sestio, 45).

Selezione su base censitaria. I poveri si accontentino delle elemosine, degli ossi gettati dalla mensa, come si appaga l'agognare mugugnante dei cani 

Gli oppositori sarebbero privi di responsabilità. Quel “famoso” buon senso del sussiegoso, esoso, Monti, della querula, supercolpevole Fornero i quali avrebbero salvato il paese

Rarissimae aves levano la voce contro le menzogne governative. Ma non sono voces clamantium in deserto. Il mio blog ha già superato i 167 mila lettori

Cacciamo dal parlamento i supercolpevoli (aitiòtatoi) non votandoli. Dai gionali, non leggendoli

Gli articoli dei gazzettieri pennivendoli sono altrettanti manifesti del  loro mercenariato. 

Senofonte venne condannato epì lakonismò, per laconismo. Renzi invece andrebbe multato per eccesso di chiacchiera e mandato per  strada a tambureggiare ditirambi con le sue menadi belline.
Tanto la deformità metteva in evidenza Tersite, quanto la venustà evidenzia la Picierno e la Boschi. Così latitano gli ingegni, se ci sono

giovanni ghiselli

domenica 27 luglio 2014

In difesa della democrazia e della libertà, 2a parte

Pericle
dipinto di Philipp von Foltz
27 luglio 2014

Il programma di Renzi e dei suoi è l’esclusione dalla rappresentanza politica del ceto dei non abbienti e delle teste capaci di pensare.
I cittadini pleno iure dovranno essere  quelli che non hanno difficoltà in termini di denaro e quanti sono disposti ad asservirsi agli interessi di costoro, gli optimates, la “razza padrona” di Cicerone che li definisce, e li ossequia, con queste parole nell’orazione Pro Sestio[1]: "Omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt, nec natura improbi nec furiosi, nec malis domesticis impediti" (45), sono ottimati tutti quelli che non fanno del male, né sono malvagi né squilibrati per natura, né impacciati da difficoltà domestiche.   
Cittadini selezionati su base censitaria insomma, e pure con il criterio del “non educato umanamente, non dotato di spirito critico”.
I poveri non devono creare difficoltà ai ricchi. Si accontentino delle elemosine, degli ossi gettati dalla mensa sfarzosa, come si accontenta l’agognare dei cani.
Esclusi dall’optimum ius, dalla piena cittadinanza, i poveri e gli intellettuali non potranno più disturbare. Lor signori pensano che debba contare, cioè pensare, parlare, scrivere, solo chi è funzionale ai loro interessi.
Cercano di infamare gli oppositori come privi di senso della responsabilità. Quel buon senso che avrebbero avuto loro quando mandarono al governo il sussiegoso, noioso Monti, la querula Fornero e altri esosi affamatori del popolo.  Utili solo ai padroni delle banche e del mercato.  Il parlamento non è ancora completamente addomesticato. Vogliono un senato di cooptati per indebolirlo. Procederanno con l’esautorarlo del tutto. Cercheranno di eliminare gli avversari a furia di pettegolezzi e calunnie. I processi politici avranno una parvenza di legalità.
Ceffi e supercanaglie fiancheggeranno l’operazione. La stampa è già in gran parte schierata a favore della dittatura. Una minoranza presenta lagne inerti davanti alle intimidazioni, e solo rarissimae  aves levano la voce contro. Non sono ancora voces clamantium in deserto, però.
Ci sono non pochi italiani e diversi blog che protestano.
 Il mio ha più di 166 mila lettori, quasi quanti le firme raccolte da “Il fatto quotidiano” contro la dittatura strisciante. L’aspirante tiranno deve essere combattuto con l’arma del pensiero e con lo scherno. Ai colpi di Stato e i colpi di sole dobbiamo opporre i colpi dall’ intelligenza, della formazione culturale, e la sacrosanta parresia, cioè la libertà di parola.
E’ in corso un assalto alla libertà, alla cultura e alle stato sociale. E’ necessaria una resistenza, un nuovo risorgimento.
Stanno compilando liste di proscrizione con tutti i dissidenti. Hanno diritti e tutela giuridica solo le persone sedute nelle poltrone del potere e i loro amici. La massa ha gioito delle promesse di riduzione del ceto parassitario e dei suoi privilegi, poi ha gioito degli 80 euro al mese. Renzi, nato come rottamatore, ha detto di voler attaccare i vecchi, i parassiti, gli incapaci. Ma il vero bersaglio dei suoi strali, sono state le persone dotate di spirito critico, capaci di dire parole pensate e aderenti ai fatti, dissonanti con le sue chiacchiere prive di logos e piene di pathos fasullo. Vogliono sterminare il ceto degli studiosi capaci di pensare e di notare la fallacia della chiacchiera. Questa è impolitica, e non possiamo accettarla, poiché nella politica è contenuta la cultura e la sostanza della nostra vita morale.
Renzi è sostenuto da un aspirante monarca che riceve un consenso quasi unanime dalla stampa di lor signori. In suo onore si cantano peana e si sacrifica la libertà.
Il primo ministro si designa quale principe ereditario. Se non diverranno presto un monarca e un principe mancati[2], il loro ruolo egemonico costituirà il segno di un mutamento profondo nella struttura politico-costituzionale. L’avvisaglia c’è già. Una solida rete di giornali e di canali asserviti, resi complici del liberticidio, sostiene questo declino della democrazia. Sono strumenti capillari e pervasivi. Anche il cesarismo però ha le sue tare.
Al di sopra di tutto ci sono le eterie, le cosche, le lobby che detengono la somma del potere e muovono i fili della pupazzata politica. Contrastare questi potentati economici pare impossibile. Si tratta di trovare e approfondire le loro contraddizioni interne. Vero è che il popolo denutrito non pensa a sufficienza, ma è pure vero che quando la fame aumenta, l’affamato è disposto a rischiare il tutto per tutto.
Renzi, le sue forosette e i suoi ragazzotti di campagna non brillano certo per acribia: non è difficile evidenziare le inesattezze, le scorrettezze e le sciocchezze che escono da quelle bocche prive di freni e piene di parole largamente inattuate. Per ora, a seguito dei successi del leader, l’esercito dei renziani si è ingigantito, ma al primo insuccesso la truppa dei camaleonti, cambierà colore. Se vuole un successo non effimero Renzi deve emanciparsi dalle lobby, dalle eterie, dalle cosche, e diventare un vero capo del popolo, istruendolo e istruendosi. Le sue chiacchiere vuote eppure pretenziose e autoritarie, gli ammiccamenti della Boschi e i sorrisi della Picierno, carini per carità, lasciano il tempo che trovano. Un tempo calamitoso.


giovanni ghiselli






[1] Del 56 a. C.
[2] Cfr. J. Carcopino, Sylla ou la monarchie manquée, L’artisan du livre, Paris, 1931.

In difesa della democrazia e della libertà

26 luglio 2014

Renzi vuole togliere i diritti politici a noi Italiani. Intanto molti perdono o non trovano il lavoro, non pochi muoiono di fame, e noi tutti rischiamo la libertà. Disoccupazione fame e schiavitù sono le parole chiave che sfittiscono la nebbia del palazzo, ne aprono le porte, e svelano le intenzioni dei suoi inquilini. Il titanismo dell’ex sindaco fiorentino non deve ingannarci: lui, le sue graziose e scoppiettanti forosette, i suoi spavaldi, incolti giovanotti, non devono fare quello che il popolo sovrano non vuole. Gli eventi di questi giorni sono emblematici della prepotenza del potere non democratico.
Il rischio che corriamo ora è quello dell’asservimento totale.
Renzi si è proposto come il salvatore e invece ci sta mandano in rovina. Spia il momento in cui potrà prendersi l’Italia intera per fame o per nausea. Il mutamento costituzionale auspicato da questo epigono di Mussolini, se realizzato, significherebbe la fine della libertà. L’ordine nuovo che il suo governo cerca di instaurare è liberticida. Dice: “non mollo”. Una volta, nel 1971, “boia chi molla” era lo slogan dei fascisti di Reggio Calabria. Come riuscirà a non mollare? Si farà sostenere dai droni della Nato? O dai ladroni padroni del mercato?
Gli oppositori che non si lasceranno addomesticare, saranno messi a tacere in qualche modo. I fili cui è appeso Renzi infatti vengono mossi dalle consorterie oligarchiche che vogliono promuovere la linea politica non democratica.
Pensano di ottenere la legittimazione popolare manipolando il consenso, contano sull’effetto rigetto della gente, gettando discredito sui suoi oppositori, un discredito cui la stampa asservita, quasi tutta, fa da cassa di risonanza. Il popolo, sperano, accetterà la limitazione della sua sovranità. Cercano di creare disgusto infamando Grillo, accusandolo di buffoneria e ribalderia, per togliere di mezzo l’opposizione. Chi si avvicina alle posizioni del “comico” viene a sua volta tacciato di infamia. Napolitano, osannato da quasi tutta la stampa, è tra i congiurati di questa manovra contro la libertà. La sovranità del popolo è già limitata; se la congiura ordita dal capitalismo finanziario sarà attuata dai suoi burattini, la democrazia verrà annichilita. Le piroette del primo Renzi potevano anche ingannare. Ora colui, l’uomo di fiducia del mercato, si è tolta la maschera.
Eripitur persona, manet res (Lucrezio, De rerum natura, III, 58), si strappa la maschera, rimane l’essenza. L’essenza è la tirannide.
Ho concluso con questa citazione perché non si pensi che il pezzo sia apocrifo e adespoto, nonostante la firma con la quale me ne prendo tutta la responsabilità.


giovanni ghiselli

venerdì 25 luglio 2014

Twitter, XXXIII antologia

24 luglio

Sono salito sull'Etna pedalando come un eroe per 37 km, infliggendo mezz’ora di distacco a dei quarantenni. Poi, arrivato in cima alla strada, sono precipitato , come Tifeo, come il maledetto Encelado. Vidi il cielo splendere della fiamma vomitata dal gigante  schiacciato dalla’immensa mole. E caddi giù con lui

Quindi  evasi dall’orribile caverna. Da un mese però il peso di quella montagna colossale grava sulla mia coscia destra e mi impedisce di compiere altre imprese degne di me. Per ora.

Il vocabolo guerra inizia con le medesime lettere di guadagno
Di ogni guadagno che distrugge o danneggia la vita è infernale

Chi non sa di latino e di greco somiglia a chi si trova in un posto bello mentre il tempo è nebbioso: la sua vista, pure quella mentale, è limitata assai.

Indigenti sono le tasche di molti. Indigente è il vocabolario italiano di quanti non conoscono il greco e l'italiano antico: il latino

Se non riacquisterò presto la salute ottima aspetterò. Nel frattempo sostituirò il ruolo dell'atleta pagano con quello dell'asceta cristiano.

Non sono di alcuna fazione. Le combatterò tutte

Bisogna smascherare i furfanti annidati nell'arca santa, e gli imbecilli ignoranti travestiti da maestri del pensiero.

Si sente il suono malauguroso di orribili sistri rosi dalla ruggine, agitati da mani sinistre di profittatori o di imbecilli.

Cloto ha usato un filo forte per tessere le vicende della mia vita: la rovina del mio precipitare dall'Etna è quasi risanata. Ho già pedalato su e giù per  la panoramica di Pesaro.

L'amore è ontologicamente necessario a una persona umana: senza l'amore non si dà, non "c'é" persona umana.
Il 7 agosto, alle 18, 30, terrò una conferenza sull'amore nei classici nella libreria il Catalogo di Pesaro.

Arguor obsceni doctor adulterii (Ovidio), vengo accusato di essere maestro di immondo adulterio.  Che ne dite lettori del blog? Siete più di 166 mila, oltre 300 al giorno per 540 giorni. Meglio del famigerato premio Bancarella e pure del reputato premio Strega

Michelangelo disse a Vasari che il suo ingegno dipendeva dalla nascita nell'aretino (a Caprese, ora chiamata Caprese Michelangelo appunto) . Così crede per sé anche la Boschi. Lei crede. Bellina, bellina, però.

Le vestali della teocrazia capitalistica hanno parlato:"Pensa, lettor, se io mi sconfortai/nel suon delle parole maladette" (Dante, Inferno, VIII, 94-95) Sono parole gridate “stizzosamente” da più di mille diavoli piovuti sulle porte della città di Dite. I nostri parlamentari?

giovanni ghiselli

giovedì 24 luglio 2014

"Generazioni" di Remo Bodei, parte VII della presentazione



Settima parte della presentazione del libro di Remo Bodei
Generazioni
Età della vita, età delle cose.  Editori Laterza, Roma-Bari 2014.

Bodei procede ricordando le varie tappe attraverso le quali in alcuni Stati si è giunti al welfare state. Quindi ne riferisce una “buona definizione”.  Questa: “Con l’espressione ‘Stato sociale’ s’intende l’insieme di iniziative assunte dai vari paesi nell’ambito dell’assistenza, della previdenza, della sanità, della regolamentazione del lavoro e, più in generale, per la tutela dei ceti più deboli. Frutto della rivoluzione industriale e della necessità di offrire qualche risposta ai gravi problemi sollevati dalla nascita dell’economia di mercato, lo Stato sociale-e, prima di esso, le politiche di lotta alla povertà e all’emarginazione-ha assunto valenza e connotazioni differenti a seconda dei periodi storici”[1]
Il welfare state ha diffuso “la solidarietà intergenerazionale” la quale “si è così decisamente spostata dall’ambito della famiglia verso l’esterno, in direzione non solo dello Stato e delle sue istituzioni, ma anche delle Chiese…” (p. 43).
La solidarietà interpersonale, dal 1968  fino alla metà degli anni Settanta, ricordo, era presente anche nel costume, almeno tra noi giovani. Allora si poteva ricevere simpatia, accoglienza  e aiuto non solo dal parente, dall’amante  e dal sodale, ma anche dal collega, e perfino dal conoscente occasionale.
Si giocava, si cantava, si stava insieme, non poche volte ci si aiutava a vicenda. Poi una serie di stragi e una propaganda antiumanistica, anzi antiumana, ha diffuso il sospetto, il terrore e l’odio reciproco.
Lo Stato sociale era l’ aspetto istituzionale di una buona socialità.
Bodei delinea le fasi della decadenza dello Stato sociale: “Dopo aver raggiunto lo zenit negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, il welfare state ha iniziato il  suo declino, che si è accentuato, nel mondo occidentale, nell’epoca delle politiche neo-liberiste di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan e ancora di più, in Europa, per effetto della crisi finanziaria ed economica del 2007-2008. Secondo alcuni analisti, le ragioni di questo tramonto sembrano connesse all’ultimo mutamento di strategia del capitalismo per assicurarsi la propria sopravvivenza… Le prestazioni del welfare state stanno perciò diminuendo in modo drastico, tanto che un secolo e mezzo di conquiste operaie, sindacali e civili rischia di ridursi, almeno in parte, a un ricordo” (Generazioni, pp. 44-45).
Un ricordo che la mia generazione conserva con quello del costume di solidarietà di cui dicevo sopra, non senza rimpianto e non senza la speranza che quel mos possa ritornare. Prima o poi. Se noi non ci saremo più, ci saranno altri giovani. Se non c’è simpatia tra gli umani, la vita degli uomini e delle donne è  un inferno.  
“La crisi finanziaria ha, inoltre, messo in rilievo il fatto che non è più lecito concedere ai desideri, specie a quelli acquisitivi, l’ampia libertà di cui hanno goduto nel periodo d’oro del consumismo. Si torna così, con crescente favore, a guardare indietro nel tempo: in campo filosofico fino ai precetti dell’etica stoica, secondo la quale, se si vuole essere ricchi, bisogna essere poveri di desideri[2] (la loro soglia, infatti, anche per evitare cocenti delusioni, deve, per precauzione, rimanere sempre bassa)” (p. 45).
Cicerone nei Paradoxa Stoicorum[3] aveva scritto sinteticamente:"non esse emacem vectigal est" (VI, 51) non essere consumisti è una rendita.
Seneca mette tra i precetti che non hanno bisogno di alcuna dimostrazione (probatio) questa sentenza di Catone il Censore: “emas non quod opus est, sed quod necesse est; quod non opus est asse carum est[4], compra non quello che è utile, ma quello che è necessario; quello che è inutile, è caro anche se costa un soldo.
“L’incertezza del futuro spinge quindi, oggi, per un verso a mettere la sordina ai desideri di maggiore godimento di beni e servizi e, per un altro, a far riscoprire valori immateriali di felicità (convivialità, amicizia, cultura, sport) non misurabili, come si dice, mediamte il PIL, bensì mediante il FIL, ossia la “Felicità Interna Lorda”[5].
Sarebbe interessante a questo punto fare un sondaggio su cosa intendano i più per felicità. Alla mia età tale bene è dato da una buona salute innanzitutto, poi da ricchezza di affetti, dalla volontà inesausta di imparare, e di insegnare, e certamente anche dalla tranquillità economica[6].

Ma torniamo a imparare da Bodei: “Mi riferisco, soprattutto, al progetto di decrescita” e di “abbondanza frugale”, frutto, in parte, di wishful thinking, della speranza di sostituire la moderna Gesellschaft, in cui gli individui vivono isolatamente come atomi, con la tradizionale Gemeinschaft solidale. Si tratta di una prospettiva che guarda con nostalgia a un futuro che porta impressa l’immagine del passato, della promessa di un ritorno a una nuova età dell’oro” (p. 46).
L’autore di Generazioni quindi rileva la difficoltà di questo ritorno, già più volte invano auspicato. Si può pensare alla quarta bucolica di Virgilio: “Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna;/iam nova progenies caelo demittitur alto[7]
La nova progenies dovrebbe porre rimedio ai guasti prodotti da quella delle guerre intestine, una specie di età del ferro, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni: "et consanguineum mensas odere timentque " ( Lucrezio, De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

Meno male dunque che stava per nascere una nova progenies, poiché la vecchia si stava estinguendo. La decadenza della nostra civiltà ricorda per certi aspetti quella dell’antica Roma. Vediamo il problema del calo demografico antico, un declino che si sta ripetendo, soprattutto per quanto riguarda la classe dirigente.
 Augusto nel 9 d. C. parlò agli sposati e ai celibi  per spingerli a procreare. Elogiò i primi, meno numerosi, dicendo che erano cittadini benemeriti e fortunati: infatti ottima cosa è una donna temperante, casalinga, buona amministratrice e nutrice dei figli ("a[riston gunh; swvfrwn oijkouro;" oijkovnomo" paidotrovfo" "[8], ed è una grande felicità lasciare il proprio patrimonio ai propri figli; inoltre anche la comunità riceve vantaggi dal grande numero (poluplhqiva) di lavoratori e di soldati.
Quindi l’imperatore parlò con parole di biasimo ai non sposati che erano molto più numerosi. “Voi- disse in sostanza- siete gli assassini delle vostre stirpi e del vostro Stato. Voi tradite la patria rendendo deserte le case e la radete al suolo dalle fondamenta: gli uomini infatti probabilmente costituiscono la città, non le case né i portici né le piazze vuote di uomini” (a[nqrwpoi gavr pou povli" ejstivn, ajll' oujk oijkivai oujde; stoai; oujd j ajgorai; ajndrw'n kenaiv, LVI, 4, 1, 2). Augusto poi ricordò le sue leggi moralizzatrici, o presunte tali, quindi accusò i celibi di essere simili ai briganti e alle fiere selvatiche: “voi-disse- non è che volete vivere senza donne, visto che nessuno di voi mangia o dorme solo, ma volete avere la facoltà della dismisura e dell'impudenza” (ajll' ejxousivan kai; uJbrivzein kai; ajselgaivnein e[cein ejqevlete, LVI, 4, 6, 7).
Il princeps ammise che nel matrimonio e nella procreazione ci sono aspetti sgradevoli (ajniarav tina), ma, aggiunse, non  mancano i vantaggi. Ci sono anche i premi promessi dalle leggi (kai; ta; para; tw'n novmwn a\qla", LVI, 4,  8).
Polibio nel secondo secolo a. C. aveva lamentato la crisi demografica della Grecia che all’epoca non toccava ancora Roma.
Tacito agli inizi del II secolo d. C. ricorda la lex Papia Poppaea (del 9 d. C.). Questa, tra l’altro, concedeva agevolazioni fiscali e legali a chi avesse almeno tre figli (ius trium liberorum). Lo storiografo  ci fa sapere che Augusto già piuttosto vecchio (senior) l’aveva ratificata dopo le leggi Giulie[9] incitandis caelibum poenis et augendo aerario (Annales 3, 25), per aggravare le pene contro i celibi e per impinguare l’erario.
Non per questo tuttavia, continua l’autore, i matrimoni e le nascite dei figli divenivano più frequenti, praevalida orbitate, tanto si era affermato il costume di non avere famiglia.
Rostozeff  annovera il calo demografico della classe dirigente tra le cause della caduta dell’impero e della civiltà dei Romani.
Lo storico scrive che  sotto la brillante apparenza dell’impero romano si sente il venir meno dello slancio creativo e il disprezzo per esso; si sente la stanchezza e l’indifferenza che minarono non solo la cultura dello stato, ma anche la sua organizzazione politica, la sua forza militare ed il suo progresso economico. Ebbene, Un sintomo di questa indifferenza è “il suicidio della razza-il rifiuto della continuazione della specie. Il reclutamento delle classi superiori avveniva dall’esterno, non dall’interno ed esse si estinsero prima di avere il tempo di trasmettere alle generazioni successive il patrimonio culturale”[10] (p. 717).
Bodei conclude il primo capitolo della seconda parte di Generazioni con queste parole a proposito della decrescita e dell’abbondanza frugale : “Sebbene tale progetto possa in teoria favorire la nascita di inedite modalità di utilizzo delle risorse materiali e immateriali, la sua eventuale  realizzazione comporterebbe un profondo e doloroso cambio di atteggiamenti, di gusti e di politiche al quale molti non sembrano pronti. E anche se esistono lodevoli tentativi di mettere in pratica tale disegno, almeno sul piano economico, attivando la circolazione di moneta creditizia allo scopo di incrementare lo scambio di servizi o l’acquisto in comune di cibo, prodotti e servizi locali, difficilmente esso sembra realizzabile in tempi storici ragionevoli[11]” (Generazioni, p. 46).

Giovanni ghiselli

P. S
  
I commenti a Generazioni di Bodei sono presenti anche nella rivista “Bibliomanie”




[1] Per questa definizione di welfare state si veda Conti, Silei, Breve storia dello stato sociale cit., p. 9. Per la critica al concetto di welfare state, cfr. A, Schonfiel, Modern Capitalism. The Changing Bilance of Public and Private Power, Oxford University Press, New York 1965 (e, per un inquadramento, G. Marramao, Il Leviatano. Individuo e comunità, Nuova edizione ampliata, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 353-364). Per un utile inquadramento nel contesto europeo, cfr. E. Eichenhofer, Geschichte des Sozialstaats in Europa cit.
[2] Cfr. Cleante, in Stobaeus, Florilegium 95, 28. Si vedano inoltre: P. Hadot, Esercises spirituals et philosophie ancienne, Études augustinennes, Paris 1981, trad. it. Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino 1987; M. Foucault, Le souci de soi, Gallimard. Paaris, 1984, trad, it, La cura di sé, Feltrinelli, Milano, 1985.
Cleante a un tale che gli chiese come  potrebbe uno essere ricco, rispose “eij tw`n ejpiqumiw`n ei[h pevnh~” (Stobeo, Flori. 95, 28 Mein.)
[3] Del 46 a. C.
[4] Ep. 94, 27.
[5] Su questo indice di benessere della popolazione si veda, ad esempio, Felicità ed economia, a cura di L. Bruni e P. Porta, Guerini, Milano, 2004.
[6]  Parini, nell’Ode  Alla Musa raffigura il poeta, ovvero  se stesso, con questi versi “Colui cui diede il ciel placido senso/E puri affetti e semplice costume;/Che di sé pago e dell’avito censo,/Più non presume;/
Che spesso al faticoso ozio de’ grandi/E all’urbano clamore s’invola, e vive/Ove spande natura influssi blandi/O in colli o in rive/
E in stuol d’amici numerato e casto,/Tra parco e delicato al desco asside;/E la splendida turba e il vano fasto/Lieto deride;/
Che ai buoni, ovunque sia, dona favore;/E cerca il vero; e il bello ama innocente;/E passa l’età sua tranquilla, il core/
Sano e la mente”
[7]Ecloga IV,  6-7,  già torna la Vergine (Astrea, dea della giustizia), torna il regno di Saturno, già una nuova stirpe scende dall’alto cielo.
[8] Cassio Dione, Storia di Roma, LVI, 3, 3
[9] De maritandis ordinibus e De adulteriis coërcendis del 18 a. C.
[10] Storia del mondo antico (1930) Trad it. Sansoni, Firenze, 1975, p. 717
[11] Cfr. S. Latouche, Vers une société d’abondance frugale. Contresens et controverses dìsur la décroissance, Fayard, Paris 2011, trad. it. Per un’ abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita, Bollati Boringhieri, Torino 2012, p. 13. Ma si veda anche W. Sachs, Nach uns die Zukunft-Der globale Konflikt un Gerechtigkait und Ökologie, Brandes & Apsel, Frankfurt a. M. 2002, trad it. Per un futuro equo. Conflitti sulle risorse e giustizia globale, Feltrinelli, Milano 2007.