domenica 12 ottobre 2014

Il culto del sole nella letteratura europea

Omero, Eschilo, Sofocle, Aristofane, Prodico di Ceo, Platone, Ennio, Cicerone,  Virgilio, Seneca,  Giuliano Augusto, Ovidio, Apuleio,  Longo Sofista, Ammiano Marcellino, Francesco d’Assisi,  Dante, Shakespeare, Alfieri, Hölderlin, Foscolo,  Manzoni, Ibsen, Freud, T. Mann

Francesco d’Assisi nel Cantico delle creature  loda Dio  
Laudato sie, mi’ Signore,  cum  tucte le tue creature”,
 e, tra queste, per prima
  " spetialmente messor lo frate sole/lo quale è iorno, et allumini noi per lui./E ellu è , bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione".
 
L'elogio del sole, il dio che vede, ode tutto, e nutre la vita,   percorre parte della letteratura greca e prosegue  in quella europea. Voglio indicarne alcune espressioni.
Già Omero, nell' Iliade  ,  gli attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:"  jHevliov" q  j, o{" pant  j ejfora'/" kai; pavnt  j ejpakouvei""[1] (III, 277); una formula che torna un poco variata in Odissea  (XI, 109) :"  jHelivou,   o{" pavnt  jejfora'/ kai; pavnt  j ejpakouvei"[2].
Nell'Inno "omerico" a Demetra , quando Persefone venne rapita da Ade , solo Ecate ed Elio signore , splendido figlio di Iperione ( " jHevliov" te a[nax  JUperivono" ajglao;" uiJov"" v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.
Nel Prometeo incatenato  di Eschilo  il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.
Nelle Supplici   il coro delle Danaidi   chiede aiuto ai raggi del sole che danno salvezza (kalou'men aujga;" hJlivou swthrivou", v. 213).

nella Parodo dell’ Antigone  di Sofocle, il coro dei Tebani  esprime gratitudine alla luce del Sole per la vittoria sugli Argivi:" raggio di sole, la luce/più bella apparsa su Tebe dalle sette porte/tra quelle di prima" (vv. 100-102) e più avanti  la protagonista condannata a morte lo saluta e rimpiange quale "lampavdo" iJero;n-o[mma" (vv. 879-880), santo volto di luce.
 Nell' Edipo re  il sole è" pavntwn qew'n provmo"" (660),  il primo fra tutti gli dei, e "th;n..pavnta bovskousan flovga"(v. 1425), la fiamma che nutre la vita.
Nell' Edipo a Colono  è, con una ripresa dell'idea omerica,"oJ pavnta leuvsswn  {Hlio"" (v. 869), Elio che vede tutto.
Nella Parodo delle Trachinie   il Coro di donne di Trachis prega Elio, perché annunzi dove si trova Eracle, invocandolo come "kratisteuvwn kat  j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come interpreta lo scoliaste:"w\ nikw'n pavnta" tou;" qeou;" kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere visivo.  

Sul sole onniveggente torna Ennio nella Medea (fr. 148, v. 1):"Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis ", Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto)  poi,  all'inizio dell'Asino d'oro , Apuleio quando Aristomene giura che sta per raccontare la verità (I, 5):"sed tibi prius deierabo solem istum omnividentem deum ".
Nelle Metamorfosi  di Ovidio, il sole identificato con Febo, vide per primo l’adulterio di Venere con Marte[3]. Infatti videt hic deus omnia primus (IV, 172). Ne ebbe dolore e denunciò la tresca a Vulcano che incatenò i due amanti i quali si trovarono a giacere ligati- turpiter (186-187) oscenamente legati. Allora Venere volle vendicarsi e dice: “Nempe, tuis omnes qui terras ignibus uris/ureris igne novo, quique omnia cernere debes,/Leucothoën spectas et virgine figis in una,/quos mundo debes, oculos” (194-197), certo, tu che con i tuoi fuochi bruci tutte le terre, sei infiammato da insolito fuoco, e tu che devi vedere ogni cosa, Leucotoe[4] contempli e fissi solo su quella ragazza gli occhi che devi puntare sul mondo.
Quindi il Sole va a corteggiare la ragazza  con queste parole :"ille ego sum-dixit-qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places !" (IV, 226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutto la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia , mi piaci!". La fanciulla, vinta dallo splendore del dio si arrese senza lamentarsi
L'espressione si ritrova pure in  Shakespeare:"the all-seeing sun ne'er saw her match, since first the world begun " , il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, dice Romeo all’amico Benvolio[5].
Ma torniamo a Ovidio
Quando Circe, figlia del Sole cerca, invano, di indurre Pico ad unirsi con lei, gli chiede di accogliere come suocero il Sole che  vede tutto con chiarezza ("et socerum, qui pervidet omnia, Solem/accipe ", XIV, 375-376),
Pico era figlio di Saturno e padre di Fauno. Era bello e sposò la ninfa Canente. Circe lo vide e lo corteggiò. Ma Pico la rifiutò. Circe si infurò: “laesaque quid faciat, quid amans, quid femina disces/rebus- ait- sed amans et laesa et femina Circe” (Ovidio, Metamorfosi, XVI, 384-385), imparerai con i fatti che cosa può fare una donna amante offesa, disse, e l’amante offesa è Circe.
 Quindi trasformò Pico in picchio (pennas in corpore vidit)
Poi Circe convoca la Notte e gli dèi della Notte dall’Erebo e dal Caos e prega Ecate con ululati lunghi
Convocat et longis Hecaten ululatibus orat (405). Infine trasforma I compagni di Pico in mostri.
  
La luce del sole è sacra per quanti sono iniziati ai misteri nelle Rane  di Aristofane (hJmi'n h{lio"-kai; fevggo" iJerovn ejstin,-o{vsoi memuhvmeq& ",454-456).

L'"ateo" Prodico di Ceo chiama dèi i quattro elementi[6] e poi il sole e la luna. Infatti affermava che da questi ha esistenza per tutti la forza vitalr:"ta; tevssera stoicei'a qeou;" kalei' ei\ta h{lion kai; selhvnhn. ejk ga;r touvtwn pa'si to; zwtiko;n e[legen uJpavrcein"[7]
 Nella Repubblica  di Platone dove si narra il mito della caverna, la luce del sole nel visibile (e[n tw̃/ oJratw̃/ fw̃ς ) è generata dall’idea suprema  del bene nel campo conoscibile  ( ejn tw̃/ gnwstw̃/ teleutaiva hJ tou' ajgaqou' ijdeva, 517c) che a fatica si vede, ma, una volta vista, va considerata quale causa per tutti di tutte le cose rette e belle.
E’ questa idea del bene dunque che fa apparire il sole, signore della luce, ed è lei la signora (kuriva)  che nell’intellegibile (e[n te nohtw̃/)   elargisce la verità e l’intelligenza

Cicerone nel Somnium Scipionis (VI, 17)  chiama il Sole"dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi[8] et temperatio, tanta magnitudine ut cuncta sua luce lustret et compleat ", guida e principe e governatore degli altri astri, mente del mondo e principio regolatore, seguendo un misticismo solare di origine pitagorica, tanto grande da rischiarare e riempire tutto con la sua luce (cfr. Virgilio, Eneide, IV, 607)

Uno degli autori del romanzo greco, Longo Sofista (probabilmente del II secolo d. C.) fa del sole un esteta che per volontà di bellezza spoglia tutti i belli:"ei[kasen a[n ti"...to;n hJvlion filovkalon o[nta pavnta" ajpoduvein", Le avventure pastorali di Dafni e Cloe , 1, 23. sembrò che il sole, amante della bellezza, spingesse tutti a spogliarsi. Il romanzo greco che " ha usato e rifuso nella propria struttura quasi tutti i generi della letteratura antica"[9] non ha tralasciato l'elogio del sole.
Giuliano Augusto l'imperatore calunniato dai Cristiani con l'infamante epiteto di "Apostata" riassume questi elogi dell'antichità in termini neoplatonici nella orazione A Helios re  dedicata a Salustio. Questo "sermone natalizio" fu redatto alla fine del 362 d. C. per  celebrare il 25 dicembre, dies natalis Solis invicti . Elio  è visto come il signore del mondo intelligente e viene definito dio mediatore e potentissimo assai simile al Bene preesistente a tutte le cose. Giuliano cita  la Repubblica  di Platone dove (508c) si dice che il Sole è figlio del Bene ("tou' ajgaqou' e[kgonon") che il Bene generò simile a sè ("oJ;n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/") e ciò che è il Bene nel mondo intellegibile rispetto all'intelletto e agli intellegibili è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose visibili (5, 17-21).   L’Uno (e{n) o il Bene (tajgaqovn), come lo chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio potentissimo del tutto simile a sé. Quindi Elios viene identificato con Zeus e con Apollo (31)
Alla fine (44) Giuliano prega Elio, to;n basileva tw̃n o{lwn, di accordargli una vita virtuosa, una intelligenza più piena e una mente divina. E alla fine della vita di congiungersi a lui.

Nelle Storie di Ammiano Marcellino i vaticini[10] dicevano che Costanzo sarebbe morto presto e Giuliano si preparava ad attaccarlo. Gli auspici si traggono dagli uccelli non perché loro conoscano il futuro sed volatus avium dirĭgit deus (21, 1, 9).
Anche il rostrum sonans dà segni. Anche le viscere degli animali (exta pecŭdum) . Inventore di questa aruspicina fu Tagete che balzò improvvisamente dal suolo in terra etrusca.
Quando sono in effervescenza (cum aestuant) anche i corda hominum prevedono il futuro ma per loro bocca parla la divinità.
 Il sole è la mens mundi, ut aiunt physici, e  rende coscienti le nostre menti quando le incendia con maggiore violenza spargendo da sé come scintille nostras mentes ex sese velut scintillas diffundĭtans, cum eas incenderit vehementius, futuri conscias reddit (Ammaini Marcellini, Rerum Gestarum XXI, 1, 11).
  
I segni del Sole sono veritieri: Virgilio, nella prima Georgica (463-464), afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere falsum/audeat? ", il sole chi oserebbe chiamarlo falso?

 Al Sole dobbiamo gratitudine:  Seneca in una lettera a Lucilio (73, 6)  esprime personale riconoscenza al sole e alla luna che pure sorgono per tutti:"Soli lunaeque plurimum debeo, et non uni mihi oriuntur ". Cfr, sotto Hölderlin.

Questa riconoscenza per il sole interpretato quale Dio, o quale immagine visibile di Dio, percorre vari momenti della letteratura europea.
Dante ne fa il simbolo della grazia divina: il sole è il “pianeta/che mena dritto altrui per ogni calle” (Inferno, I, 17, 18), La luce del sole è il simbolo della grazia divina e guida verso la salvezza; infatti la lupa simbolo dell’avarizia risospingeva Dante “là dove il sol tace” (v. 61)
Nel Purgatorio torna questa identificazione del sole con la grazia divina in questa preghiera di Virgilio:
" O dolce lume a cui fidanza[11] i’ entro
Per lo novo cammin, tu ne conduci,
-dicea-, come condur si vuol quinc’entro
Tu scaldi il mondo, tu sovr'esso luci:
s'altra ragione in contrario non pronta,
essere dien sempre li tuoi raggi duci[12]"(Purgatorio , XIII, 19-21).
   Anche nel Convivio Dante esprime questa idea:  
Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che’l sole (…)
Lo sole tutte le cose col suo calore vivifica (…) così Iddio tutte le cose vivifica in bontade ” ( III, 12).

Manzoni ripete che il Sole è una guida sicura
Nell'Adelchi  di Manzoni, il diacono Martino, raccontando la sua prodigiosa traversata delle Alpi, compiuta non senza l'aiuto divino ("Dio gli accecò, Dio mi guidò", III, 2, v. 167), riconosce di essersi avvalso, di fatto, della guida del sole:"Era mia guida il sole/Io sorgeva con esso, e il suo viaggio/Seguia, rivolto al suo tramonto"(III, 2, vv. 207-209).

   F. Hölderlin nel romanzo epistolare Iperione   (1799) scrive:" l'eroica luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra"(p.76), e, "il sacro sole sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine, che spesso, con un solo sguardo, mi ha guarito da un profondo dolore e ha purificato la mia anima dallo scontento e dalle preoccupazioni"(p.111).

Foscolo, nell'Ortis , lo chiama"ministro maggiore della natura"(20 novembre 1797) e "sublime immagine di Dio, luce, anima, vita di tutto il creato"(3 aprile 1798).

Leopardi nello Zibaldone (3833-3834) scrive :"Quando gli Europei scoprirono il Perù e i suoi contorni, dovunque trovarono alcuna parte o segno di civilizzazione e dirozzamento, quivi trovarono il culto del sole; dovunque il culto del sole, quivi i costumi men fieri e men duri che altrove; dovunque non trovarono il culto del sole, quivi(ed erano pur provincie, valli, ed anche borgate, confinanti non di rado o vicinissime alle sopraddette) una vasta, intiera ed orrenda e spietatissima barbarie ed immanità e fierezza di costumi e di vita. E generalmente i tempii del sole erano come il segno della civiltà, e i confini del culto del sole, i confini di essa (5 Nov. 1823.)”.
Nel Cantico del Gallo Silvestre  leggiamo:" Io dimando a te, o sole, autore del giorno e preside della vigilia: nello spazio dei secoli da te distinti e consumati fin qui sorgendo e cadendo, vedesti tu alcuna volta un solo infra i viventi essere beato?" 

Il sole è invocato dalle creature morenti come ultima immagine della vita terrena:  Aiace mentre combatte nella nebbia, prega Zeus di rasserenare il cielo prima di farlo morire, in modo che la sua fine avvenga ejn favei, nrlla luce ( Iliade, XVII, 645-647). L’Anonimo Sul sublime trova altamente poetica questa preghiera
Anche Alcesti morendo  cerca la luce:" blevyai pro;" aujga;" bouvletai ta;" hJlivou"(v. 206), vuole rivolgere lo sguardo ai raggi del sole.
 Altrettanto  i moribondi Foscolo ("perché gli occhi dell'uom cercan morendo/ il Sole", i Sepolcri , 121) e pure Osvald  di Ibsen:"Mamma, il sole...dammelo, dammi il sole", chiede il giovane nell'ultimo atto degli Spettri  e, chiudendo il dramma, ripete:'il sole, il sole". 

Concludo con
Il culto del sole dal faraone della XVIII dinastia Amenofi IV-Ekhnaton al Romanticismo.
La venerazione del dio-sole, della quale abbiamo mostrato molte testimonianze nei testi europei, ha avuto il suo primo apostolo nel faraone Amenofi IV della XVIII dinastia. Egli sostituì il culto di Ammone con quello del Sole e cambiò il proprio nome in Ekhnaton, gradito ad Aton, il disco solare. Al sole il faraone eretico dedicò un Inno e delle immagini. Ecco alcune parole:" le greggi sono liete nei loro pascoli/quando tu sorgi/gli alberi e le erbe verdeggiano/gli uccelli svolazzano nei loro nidi/e le loro ali ti elogiano.../i tuoi raggi penetrano fin nell'intimo del mare".
Gli autori del libro che ho consultato[13] riportano un'immagine del faraone con la moglie, la regina Nefertiti, e le figlie illuminati e benedetti dal sole, e la commentano così:"Questo bozzetto familiare raggiante sotto la benedizion del dio-Sole, Aton, è uno dei frammenti di calcare, provenienti dalla tomba del Faraone, illustranti la felicità che il culto del dio elargisce ai suoi regali adoratori. Il fluire delle linee incide nel calcare i corpi agili, sinuosi contrapposti l'un l'altro in un vivace conversare animato dall'infantile gestire delle gaie, sottili principessine. Il disco solare forma con le sue braccia raggianti[14] un triangolo secondato dalla posizione dei corpi e quasi concluso in basso".

Freud fa di questo faraone illuminato l'inventore del monoteismo e il predecessore della religione ebraica. "Durante la gloriosa diciottesima dinastia, sotto la quale l'Egitto per la prima volta divenne un impero mondiale, salì al trono intorno all'anno 1375 a. C. un giovane faraone, che dapprima si chiamò Amenofi (IV) come il padre, ma poi cambiò nome, e non solo nome. Questo re tentò di imporre ai suoi sudditi una nuova religione...Si trattava di un rigoroso monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne possiamo sapere...In due inni ad Atòn, serbatici dalle iscrizioni sulle tombe rupestri e probabilmente da lui stesso composti, il sole come creatore e conservatore di tutti gli esseri viventi dentro e fuori l'Egitto, è celebrato con tale fervida fede quale si ritrova molti secoli più tardi nei Salmi  in onore del dio ebraico Yahweh. Non gli bastò tuttavia anticipare sorprendentemente la scoperta scientifica dell'effetto della radiazione solare. Non v'è dubbio che egli fece un passo avanti, onorando il sole non come oggetto materiale, bensì come simbolo di un essere divino la cui energia si manifestava appunto nei raggi del sole...Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè fu egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la religione di Ekhnatòn, la religione di Atòn...Entrambe sono forme rigide di monoteismo...Mosè non diede solo una nuova religione agli Ebrei; con pari sicurezza si può affermare che egli introdusse presso di loro la consuetudine della circoncisione...Erodoto, il "padre della storia", ci informa che la consuetudine della circoncisione era da lungo tempo familiare in Egitto[15]...e la supposizione...è tale da darci il coraggio di trarre la seguente conclusione: se Mosè diede agli Ebrei non solo una nuova religione, ma anche il precetto della circoncisione, egli non era ebreo, ma egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia, e precisamente, a cagione del contrasto con la religione popolare, la religione di Atòn, con cui si accorda anche la religione ebraica posteriore in alcuni punti degni di nota"[16].

 Hauser sostiene che questa riforma religiosa portò il naturalismo nell'arte:"Amenothes IV, che legò il suo nome al grande rivolgimento spirituale, non è solo-come tutti sanno- il grande riformatore religioso, lo scopritore dell'idea monoteistica; non è solo, come fu chiamato, il "primo profeta" e il "primo individualista" della storia universale[17], ma è anche il primo consapevole rinnovatore dell'arte, il primo che fa del naturalismo il proprio programma e lo contrappone come una conquista allo stile arcaico...Ciò che l'arte gli deve e che gli artisti hanno appreso da lui, è-evidentemente-il nuovo amore della verità, la nuova nervosa sensibilità, che conduce a quello che si potrebbe definire l'impressionismo dell'arte egiziana. Alla sua lotta contro le tradizioni religiose fossilizzate e svuotate di ogni senso, corrisponde il superamento del rigido stile accademico da parte dei suoi artisti. Sotto la sua influenza il formalismo del Regno Medio lascia il posto, nella religione come nell'arte, all'amore della vita e della natura, al piacere di nuove scoperte"[18].
Concludo questo omaggio al faraone profeta del sole citando Gombrich:"Soltanto un uomo riuscì a scuotere le ferree sbarre dello stile egizio. Fu un re della diciottesima dinastia...Questo re, chiamato Amenofi IV, era un eretico. Eliminò molte consuetudini consacrate da un'antica tradizione, e non volle rendere omaggio alle numerose divinità del suo popolo, così bizzarramente raffigurate. Per lui soltanto un dio era sommo, Aton, e lo adorò e lo fece rappresentare in forma di sole. Dal nome del dio volle chiamarsi Ekhnaton e trasferì la corte per sottrarla all'influenza dei sacerdoti degli altri dèi, nell'odierna Tell el-'Amarna. I dipinti che egli ordinò devono aver colpito i suoi contemporanei per la loro novità. In essi non sopravviveva nulla della solenne e rigida dignità dei precedenti faraoni. Si era fatto raffigurare nell'atto di prendere la figlioletta sulle ginocchia e di passeggiare in giardino con la moglie, appoggiato al bastone. Alcuni ritratti ce lo mostrano brutto: forse voleva che gli artisti lo riproducessero in tutta la sua umana fragilità oppure era così convinto della sua eccezionale importanza come profeta che riteneva essenziale attenersi alla somiglianza"[19].  
Da Steiner gli Ebrei sono visti come gli inventori e i propagatori di ideali troppo duri e scomodi per i popoli dell’Europa occidentale, insomma per noi. Il primo vulnus inferto all’Europa pagana fu quello del monoteismo. Steiner cita Nietzsche: “ Nel politeismo consisteva la libertà dello spirito umano, la sua poliedricità creativa. La dottrina di una singola divinità…è “il più mostruoso di tutti gli errori unani” (“die ungeheuerlichste aller menschlichen Verirrungen”)”[20]. Seguì il marxismo.
 Nietzsche non si limitò a questo. Egli vide negli Gli Ebrei un popolo sacerdotale, il “popolo della più latente sete di vendetta sacerdotale”. E ancora: “Con gli Ebrei si inizia la rivolta degli schiavi nella morale”.
C’è una ostilità culturale piuttosto che razziale-biologica, come fa notare T. Mann: “Quando Socrate e Platone cominciarono a parlare di verità e di giustizia egli dice una volta ‘non furono più greci, ma ebrei, o che so altro’. Orbene, gli ebrei, grazie alla loro moralità, si sono dimostrati buoni e tenaci figli della vita. Con la loro fede in un Dio giusto, essi sono sopravvissuti ai millenni, mentre il piccolo, dissoluto popolo greco di esteti e di artisti è presto scomparso dalla scena della storia. Ma Nietzsche, pur lontano da ogni odio razziale antisemitico, vede nel giudaismo la culla del cristianesimo e in questo, a ragione ma con aborrimento, il germe della democrazia, della rivoluzione francese e delle odiate “idee moderne che la sua parola squillante marchia con il nome di ‘morale del gregge’…ciò che egli disprezza e maledice in queste idee è ‘utilitarismo e l’eudemonismo, il loro far della pace e della felicità terrena i beni più desiderabili ed alti, mentre l’uomo nobile, tragico, eroico, calpesta questi valori molli e volgari”[21].
Certamente non è l’eudemonismo la quintessenza della cultura ebraica. Piuttosto essa è contrassegnata dal monoteismo.
Ebbene, il rifiuto del monoteismo importato in Europa dagli Ebrei si trova in diversi autori. Sentiamo, per esempio, Vittorio Alfieri: “Nel trattato Della tirannide (del 1777) l’Astigiano distingue la religione cristiana dalla pagana rilevando l’incompatibilità della prima con la libertà: “La religion pagana, col suo moltiplicare sterminatamente gli dèi, e col fare del cielo quasi una repubblica, e sottomettere Giove stesso alle leggi del fato[22], e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e fu infatti, assai favorevole al vivere libero…La cristiana religione, che è quella di quasi tutta la Europa, non è per se stessa favorevole al viver libero: ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero…Ed in fatti, nella pagana antichità, i Giovi, gli Apollini, le Sibille, gli Oracoli, a gara tutti comandavano ai diversi popoli e l’amor della patria e la libertà. Ma la religion cristiana, nata in popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già intieramente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina né pure mai la libertà; ed il tiranno (o sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio” (I, 8).
Anche qui l’obiettivo polemico è il popolo ebraico, origine della malattia monoteistica, come si vede.
Steiner mette anche in rilievo il fatto che Freud cercò di scagionare gli Ebrei dalla “colpa” del monoteismo : “In una delle sue ultime opere, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, Freud attribuì questo “errore” a un principe e veggente egiziano del casato disperso degli Ikhnaton. Molti si sono chiesti perché abbia cercato di togliere dalle spalle del suo popolo quel supremo fardello di gloria… Quando, durante i primi anni di regime nazista, Freud cercava di scaricare su spalle egiziane la responsabilità dell’ “invenzione” di Dio, stava facendo, pur forse senza averne piena coscienza, una disperata mossa propiziatoria, sacrificale. Stava tentando di strappare il parafulmine dalle mani degli ebrei. Troppo tardi. La lebbra della scelta di Dio-ma chi aveva scelto chi?-era troppo visibile su di loro”[23].
Il faraone Amenhotep (Amenophi IV) nel romanzo di T. Mann Giuseppe e i suoi fratelli: “Guarda qui!” disse a Giuseppe. “Avvicinati e guarda!” E scostando la batista dall’esile braccio gli mostrò le vene azzurre nella parte interna dell’avambraccio. “Questo è il sangue del Sole!”[24].
Giovanni Ghiselli 
Il culto del Sole 12 ottobre 2014


[1] E’ Agamennone che prega nel sancire i patti prima del duello tra Menelao e Paride.
[2] Qui parla Tiresia dopo avere bevuto il sangue della vittime sgozzate da Odisseo per evocare i morti. Gli dice che deve lascire intatte nell’isola di Trinachia le floride greci del Sole che tutto vede e tutto ascolta.
[3] Viene raccontato da Demodoco nell’VIII canto dell’Odissea (vv. 266 ss.)
[4] Principessa persiana, figlia di Orcamo
[5] Romeo e Giulietta  (I, 2). Quando il sole si accieca la scena assume "an atmosphere of Juliet's tomb"[5], un'atmosfera da tomba di Giulietta  (T. S.Eliot, Portrait of a Lady, Ritratto di Signora, del 1917  
[6] Fuoco, aria, acqua, terra.
[7] Frammenti da Scritti incerti in Sofisti Testimonianze e Frammenti , a cura di Mario Untersteiner, fasc. II, p.195
[8] Cfr. Seneca, Naturales quaestiones, I, 13. Quid est deus? Mens universi
[9]        M. Bachtin, Estetica e romanzo , p. 235.
[10] Siamo nel 361 d. C.
[11] Cfr. Solem quis dicere falsum/audeat? ", citato sopra
[12] Cfr. Infermo, XXVI. Ulisse dice ai compagni “vecchi e tardi”, come lui: “non vogliate negar l’esperienza,/di retro al sol” (vv. 116-117)
[13]      Ciotti-Marzi-Kiernek, Storia dell'arte , p. 8.
[14]      Cfr. Empedocle, Poema fisico , 30 Diels-Kranz:" e[nq& ou[t& hjelivoio dieivdetai wjkeva gui'a ", là non si scorgono nemmeno le rapide membra del sole. 
[15]      Erodoto, II, 104.
[16]      S. Freud, L'uomo Mosè e la religione monoteistica ,  in Freud  Opere 1930-1938 , pp. 350 e sgg.
[17]      J. H. Breasted, A History of Egypt , 1909,  pp. 356-377.
[18]      Storia sociale dell'arte , p. 65.
[19]      La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich , pp. 54-55.
[20] G. Steiner Nel castello di Barbablù Note per la riedifinizione della cultura, p. 39.
[21] Nobiltà dello spirito.
[22] Il predominio del fato non risparmia nessuno: il Prometeo di Eschilo, afferma consolandosi del suo martirio, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (th;n peprwmevnhn)"(Prometeo incatenato, v. 518).  Ndr.
[23] Gerorge Steiner, Nel castello di Barbablù, p. 41
[24] Giuseppe il nutritore (IV volume), p. 204.

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