venerdì 1 maggio 2015

L’Expo e lo spreco degli eterni Trimalchioni

Vediamo l'entrata in scena di Trimalchione: "In his eramus lautitiis, cum ipse Trimalchio ad symphoniam allatus est positusque inter cervicalia minutissima expressit imprudentibus risum" (32, 1), eravamo in mezzo a questo lusso, quand'ecco che fu portato  dentro a suon di musica lo stesso Trimalchione e, situato tra cuscini minuscoli, strappò una risata inconsulta. Commentiamo le lautitiae.  
“E' significativo che la parola (insieme con l'aggettivo lautus) ricorra soltanto nella Cena (con una sola eccezione per Quartilla). Quando parlo di Leit-wort, intendo il termine proprio nel senso dell'opera in musica: vale a dire, la parola si accompagna alle successive epifanie del personaggio, e scandisce i momenti culminanti (naturalmente in senso comico) del melodramma; è un vero e proprio tema trimalcionico. Del resto, lo stesso Petronio ha provveduto ad accompagnare frequentemente la parola-chiave con la notazione della musica, come nella terza occorrenza, in cui è detto (32, 1) In his eramus lautitiis, cum ipse Trimalchio ad symphoniam allatus est. Così anche  quando Trimalcione torna in scena (47, 8) (dopo un'assenza dovuta a un bisogno poco nobile): nec adhuc sciebamus nos in medio lautitiarum, quod aiunt, clivo laborare. Nam cum mundatis ad symphoniam mensis
…Al tema delle lautitiae io non posso qui, per chiari motivi, dedicare altre analisi. Preferisco aggiungere qualche considerazione di carattere storico e sociologico. E' molto interessante costruire un "sistema" linguistico e assiologico di lautus/lautitia nel I sec. dopo Cristo, utilizzando non solo i soliti Giovenale e Seneca, ma anche lo Svetonio (a torto trascurato) delle Vitae Caesarum. La premessa è ben nota: nel I sec. d. C., una società affluente, remota dall'impegno politico e di scarsa creatività culturale. La base o piattaforma del valore è la ricchezza, la sanctissima divitiarum maiestas (secondo l'ironica definizione di Giovenale. Il primo grado del valore è la luxuria, pura tendenza a profondere denaro; il vertice è la lautitia, qualità che alcuni individui eletti conseguono, unendo alla prodigalità l' ars libidinis , che tende a creare nella vita forme di bellezza (ancora Giovenale, XI 1 sgg. 21 etc.). Per comprendere bene, bisogna aggiungere che tale società è scenae vacans (Giovenale VIII 118) non solo nel senso della disponibilità ai ludi e agli spectacula del circo e del teatro (mimo, pantomimo e altri generi minori), ma nel senso che la società è spettacolo a se stessa, e la "teatralità" è divenuta un modo di esistenza"
Platone, che era contrario agli spettacoli drammatici, biasima gli Ateniesi i quali, "come se avessero dato in affitto le orecchie, corrono in giro ad ascoltare tutti i cori senza mancare alle Dionisie, né a quelle urbane, né alle rurali"(Repubblica , 475d). 
Nelle Leggi (701a) il filosofo afferma che gli spettacoli troppo frequenti generano la  cattiva  teatrocrazia madre della licenza.

Torniamo a M. Barchiesi:" Si potrebbe dire che è una società ludica (totus mundus agit histrionem), in cui l'accadimento e la persona non si distinguono più chiaramente dalla loro rappresentazione e contemplazione, come evento scenico e attore-personaggio. Non soltanto l'Urbe accerchia e contempla la corte imperiale, come se essa fosse un luogo teatrale; non solo l'Urbe è, a sua volta, palcoscenico d'Italia e del mondo, ma l'individuo (quello che conta, o che vuole contare) vive per vedersi vivere ed essere veduto. Quando Giovenale (sat. X) descrive il pretore che nella pompa circensis reca sulle spalle un sipario di teatro (auleae togae, v. 39) non allude solo all'ampiezza: l'istituto del trionfo scade a mimo fastoso, costoso, vuoto. Ma (come insegna Seneca nel De brevitate vitae ) è il banchetto il mezzo essenziale per conquistarsi l'immagine dell'uomo lautus (lautitiae fama captatur 12, 5), il luogo essenziale del mimus vitae; e Quintiliano (I 2, 6 e I 2, 9) contrappone il convito alla scuola, che è anch'essa theatrum, ma in senso positivo, come luogo di comunicazione dei valori. 
Ma molto più impareremmo da Svetonio, se ce ne fosse il tempo: nelle Vitae egli ha scritto, per chi sa leggere al di là dell'aneddoto individuale, una storia della lautitia e della luxuria, che è anche Geistesgeschichte. Si muove dall'estetismo di Giulio Cesare (lautitiarum studiosissimus, 46), che nel dispendio non ignora il rimorso e il timore di danneggiare il proprio mito personale".
Spieghiamo aggiungendo qualche parola autorevole, ossia tratta dagli autori.
Le spese sostenute per i banchetti danno visibilità e accrescono la reputazione. Seneca nel De brevitate vitae (12)  scrive: “ex his elegantiae lautitiaeque fama captatur”, da questi (banchetti lussuosi) ci si procura la fama di eleganza e sontuosità e questi loro malanni li seguono in ogni intimo recesso della vita “ut nec bibant sine ambitione nec edant”, al punto che non devono e non mangiano senza ostentazione.
Viene in mente l’ambitiosa mors, la morte teatrale disapprovata da Tacito.
Nei Memorabili  di Senofonte, Socrate  si difende dall'accusa mossagli da Antifonte sofista di essere un pezzente con queste parole: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto ( trufh;n kai; polutevleian); io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno del meno possibile è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10).

Giovenale mette in luce il fatto che Roma era una città parassitaria che viveva del colonialismo imposto ai territori conquistati e annessi all’impero: gli abitanti dell’Urbe avevano sempre tempo di andare agli spettacoli in quanto nutriti dal lavoro dei provinciali.
Lo fa capire in una richiesta di moderazione a Pontico che doveva andare a governare una provincia: “parce et messoribus illis-qui saturant urbem circo scenaeque vacantem” (8. 117-118), risparmia anche quei mietitori che nutrono la città libera per il circo e il teatro.
Nella prima satira Giovenale scrive che la maestà della ricchezza è la più santa tra loro, a Roma (inter nos sanctissima divitiarum-maiestas (112-113) pur se la funesta Pecunia ancora non abita in un tempio e non abbiamo ancora innalzato altari al denaro (115-116)  

  Il banchetto può significare anche spesa e addirittura danno. Queste accezioni vengono considerate e spiegata da Benveniste che parte dal latino daps  "banchetto", appunto. "Questa parola fa parte di un insieme etimologico ben caratterizzato dalla sua forma, ma con significazioni divergenti. Al di fuori del latino, la radice si ritrova in greco in davptw con un senso più generale, 'divorare', ma anche in forma nominale che si associa strettamente a daps  malgrado la differenza apparente: dapavnh, "spesa"...vi si ricongiunge anche il lat. damnum <*dap-nom...Daps  è un termine del vocabolario religioso...Anticamente, in epoca storica, daps  ha il senso di 'banchetto offerto agli dei, festino di cibarie'. La daps  è descritta in Catone, De agricultura, con un'espressione caratteristica del vecchio vocabolario religioso del latino: dapem pollucere  'offrire un banchetto sacro'; questo termine arcaico pollucere  si usa per i festini molto costosi offerti agli dei: polluctum. D'altronde, diverse testimonianze insegnano che daps  è associato a nozioni di abbondanza, di grandi spese, di offerte generose. Soprattutto, l'aggettivo dapaticus , l'avverbio dapatice , forme obsolete raccolte e citate da Festo
: dapatice se acceptos dicebant antiqui, significantes magnifice, et dapaticum negotium amplum ac magnificum  ' gli antichi dicevano che erano stati ricevuti dapatice , che voleva dire sontuosamente'...In greco dapana'n significa 'spendere', dapavnh è una 'spesa fastosa'; in Erodoto, il termine si applica a spese magnifiche. Gli aggettivi gr. dayilhv", lat. dapsilis  (calco sul greco) si applicano a ciò che è abbondante, fastoso...Si ritrova così in indoeuropeo una manifestazione sociale che nel linguaggio degli etnografi si chiama il potlach : esibizione e distruzione di ricchezze in occasione di una festa. Bisogna mostrarsi prodighi dei propri beni per provare in quanto poco conto li si tenga, per umiliare i propri rivali con lo spreco istantaneo di ricchezze accumulate. Un uomo conquista e mantiene il suo rango se supera i suoi rivali in questa spesa sfrenata...Ma si tratta di nozioni e di termini arcaici, che ormai si cancellano. In epoca storica sussiste solo damnum  col senso derivato da 'danno subìto, ciò che viene tolto con la forza da quello che uno possiede'. E' la spesa alla quale si è condannati dalle circostanze o da certe condizioni di diritto. Lo spirito contadino e la preoccupazione giuridica dei Romani hanno trasformato la nozione antica; la spesa di fasto è vista ormai come spesa in pura perdita, e questo costituisce un danno. Damnare  è provocare un damnum  a qualcuno, operare un prelievo sulle sue risorse; è da qui che viene la nozione giuridica di damnare  'condannare'"Cfr. anche il tedesco verdammen, “condannare” e “maledire”. 
Abbiamo visto che nella Roma di Cesare e dei Cesari successivi lo sperpero era considerato non un danno ma un segno di ricchezza, di potere, di importanza.

Torniamo alle Vitae di Svetonio per chiarirlo meglio.
Augusto crea il convito-spettacolo: “ Convivabatur assidue…Convivia nonnumquam et serius inibat et maturius relinquebat…et aut acroamata et histriones aut etiam triviales ex circo ludios interponebat ac frequentius aretalogos" ( Vita di Auguso, 74), dava spesso conviti…talvolta entrava in ritardo e lasciava il convito prima degli altri… e faceva intervenire cantori e attori o anche ballerini ordinari del circo e più spesso ciarlatani sulla virtù. 
 Tuttavia il primo imperatore non vi si immergeva, manifestando quel controllo che si allenterà solo nelle sue parole finali, così rivelatrici di lui e del secolo che egli apriva: "et admissos amicos percontatus ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" ( Svetonio, Vita di Augusto, 99), domandò agli amici presenti se a loro sembrava che avesse recitato bene la farsa della vita. Quelli dissero di sì. ovviamente, e Augusto chiese un applauso.
Con Caligola e Nerone, i due imperatori-attori, si instaura la confusione dei valori e delle parole: luxuria e saevitia deformano l'immagine del lautum convivium (Vita di Caligola 32).
Partecipava ai banchetti un miles decollandi artifex, un esperto decollatore che tagliava le teste ai condannati. 
Durante un banchetto particolarmente sontuoso, Caligola scoppiò a ridere e ai due consoli sdraiati al suo fianco che gli domandarono perché ridesse, rispose che lo faceva pensando che loro due potevano essere scannati a un suo cenno. 
 Con Nerone, il nipote di Caligola che  imitava lo zio, il titolo di "molto raffinati" venne attribuito a quelli che possedevano soltanto la frenesia di distruggere  spendendo : “Divitiarum et pecuniae fructum non alium putabat quam profusionem, sordidos ac deparcos esse quibus impensarum ratio constaret, praelautos vereque magnificos qui abuterentur ac perderent. Laudabat mirabaturque avunculum Gaium nullo magis nomine, quam quod ingentis a Tiberio relictas opes in brevi spatio prodegisset" (Svetonio, Vita di Nerone, 30) Nerone considerava unico vantaggio della ricchezza e del denaro lo spreco, sordidi e tirchi quelli che tenevano il  conto delle spese, fastosi e davvero magnifici quelli che sciupavano e sperperavano. Lodava e ammirava lo zio Caligola per nessun' altra rinomanza che per il fatto che aveva scialacquato in breve tempo le grandi ricchezze lasciate da Tiberio
Il novum atque inauditum, la ricerca dello stravagante e dell'impossibile, diventa la legge del banchetto, in un senso che include la manipolazione mostruosa della natura: “Ad mensam nemo agnoscet quid manducet ”, suggerisce Apicio nel De re coquinaria (IV, 2), nessuno riconosca quello che sta mangiando.
Infatti al banchetto di Trimalchione viene recato un fericulum longe monstrosius (69, 7), una portata di gran lunga più snaturata: aveva l'aspetto di un'oca ingrassata (anser altilis)  con intorno pesci e uccelli di ogni tipo e invece, disse Trimalchione, "de uno corpore est factum… ista cocus meus de porco fecit " (Satyricon, 70), il cuoco insomma aveva fatto tutto con la carne di porco
Lo spreco diviene predicato di magnificenza e di felicità:   Nepotatus sumptibus omnium prodigorum ingenia superavit, con le spese dello sperpero superò il talento di tutti i prodighi (Svetonio, Vita di Caligola 37).

Nerone praticava anche la mescolanza dei sessi e dei ceti.
Riferisco una sola delle tante violenze e turpitudini sessuali attribuite questo imperatore auriga e citaredo:"puerum Sporum exectis testibus etiam in muliebrem naturam trasfigurare conatus, cum dote et flammeo per solemnia nuptiarum celeberrimo officio deductum ad se pro uxore habuit" (Svetonio, Vita di  Nerone, 28), fatti tagliare i testicoli al giovinetto Sporo, tentando di trasformarlo in femmina e fattolo venire a sé con la dote e il velo arancione da sposa in una cerimonia gremita di gente, lo tenne con sé come moglie. Il prefetto del pretorio Tigellino fungeva da padre della sposa.
 Claudio, negato alla lautitia, inaugura in compenso il banchetto visceralmente dissoluto:"Dicitur etiam meditatus edictum, quo veniam daret flatum crepitumque ventris in convivio emittendi, cum periclitatum quendam prae pudore ex continentia repperisset " ( Svetonio, Vita di Claudio, 32), si dice pure che avesse preparato un editto con il quale concedeva licenza di emettere flatulenze e crepiti di ventre durante la cena, avendo saputo che un tale aveva corso pericolo in seguito al fatto di essersi trattenuto per la vergogna
Trimalchione se ne ricorda lamentando i propri disturbi intestinali e dando licenza a tutti di non badare troppo all'etichetta trattenendo le flatulenze:"alioquin circa stomachum mihi sonat, putes taurum. itaque si quis vestrum voluerit sua re causa facere, non est quod illum pudeatur. nemo nostrum solide natus est. ego nullum puto tam magnum esse tormentum quam continere. nemo nostrum solide natus est " (Satyricon, 47), del resto intorno allo stomaco ho dei rumori, un toro, fate conto. Se qualcuno di voi volesse fare i suoi comodi, non ha di che vergognarsi. Nessuno di noi è nato senza fessure. Io penso che non ci sia tormento tanto grande quanto trattenersi.
Dopo la parentesi gargantuesca di Vitellio, si torna con Domiziano al sadismo: “ Erat autem non solum magnae, sed etiam callidae inopinataeque saevitiae, era poi di una crudeltà non solo grande ma astuta e imprevedibile (Svetonio, Vita di Domiziano, 11). 
Tacito insinua che  Domiziano invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in Britannia:"Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli " ( Agricola , 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe. 
“Quello che Svetonio ha soltanto intravisto (e che Camus sembra avere inteso, o involontariamente ritrovato, per il suo Caligula) è che il banchetto del I secolo non soltanto riflette il carattere dell'individuo, come lo riflettono altri atti privati e sociali, ma mira a rappresentarlo nello schema della lautitia. Il pater cenae tende a comporre un copione per mettere in scena se stesso e la propria vita; una vita che-se l'anfitrione è l'imperiale-tende a identificarsi con una rappresentazione del mondo: la sala del banchetto di Nerone è l'immagine del cosmo . Nella precedente ricostruzione molti avranno già riconosciuto elementi del mondo trimalcionico. Naturalmente, noi non dimentichiamo i limiti del cosmo e del copione di Trimalcione, che è pur sempre un liberto provinciale di limitato potere e di goffa fantasia"

Nella domus aurea praecipua caenationum rotunda, quae perpetuo diebus ac noctibus vice mundi circumageretur, la sala prescelta per le cene era rotonda e tale che con moto perpetuo diurno e notturno era fatta girare secondo il moto della terra. Svetonio  Vita di Nerone, 31.
Seneca denuncia con una sentenza la volgarità dei banchetti fastosi:"ambitiosa non est fames, contenta desinere est " ( Ep. 119, 14), la fame non è pretenziosa, si contenta di cessare.

giovanni ghiselli
continua


p. s. il blog giovanni ghiselli blog è arrivato a 233678

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1 e ancora non sapevamo di affaticarci solo a metà del colle di quell'enorme abbondanza, come suol dirsi.  Infatti, sgombrate le mense a suon di musica… ndr.
2 M. Barchiesi, , I moderni alla ricerca di Enea, p. 122)., p. 132.
3 Cfr. E. K. Chambers, The Elizabethan Stage, Cambridge 1923, II 434:" Malone conjectured that the name "Globe" was taken from the sign "which was a figure of Hercules supporting the globe, under which was written Totus mundus agit histrionem". I do not know where he got this information". Per l'origine di questo motivo v. E. R. Curtius, La littérature Européenne et le Moyen Age latin, Paris 1956, pp. 170-174. Traduco l'inglese: Malone (studioso shakespeariano che nel 1790 pubblicò un'eccellente edizione dell'opera del drammaturgo ) congetturò che il nome "Globe" ( The Globe è un teatro londinese costruito nel 1599. Chiamato "The Wooden O", la O di legno per la sua forma circolare, vide Shakespeare stesso calcare le sue scene) fosse stato preso dall'insegna che era un'immagine di Ercole il quale sostiene il globo, sotto cui era scritto Tutto il mondo fa l'attore. Io non so da dove abbia preso questa notizia.
 4 Munditiarum lautitiarumque studiosissimus, amantissimo dell'eleganza e del lusso.
5 M. Barchiesi, op. cit., p. 133.
6Il quale nel III secolo d. C. fece un riassunto del De verborum significatu , un glossario alfabetico di parole desuete, composto da Valerio Flacco, il maggior grammatico del tempo di Augusto, precettore dei nipoti dell'imperatore Lucio e Gaio.
7E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino, 1976, pp. 55-56.
8 Rispetto alle precedenti
9 M. Barchiesi, op. cit., p. 134.

1 commento:

  1. L'Expo rappresenta lo spreco di pochi contro la fame di tanti. Giovanna Tocco

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Ifigenia CLVIII. Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare.

  Pregai il sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura. “Aiutami Sole, a trovare dentro questo lungo travagli...