venerdì 15 maggio 2015

L'inizio del lavoro di insegnante. V parte

Ugo Foscolo
La prima sistemazione nel motel Palace di Cittadella. L’approccio con il preside della scuola media Carmignano di Brenta. Per mettere in guardia verso lo strapotere dei presidi. 


La prima sera di Cittadella dunque posai il bagaglio nella camera 64 del grande motel, poi uscii per mangiare. Entrai nel paese murato. In una delle due vie principali, i diametri del cerchio, vidi una scritta: Ristorante il Gobbo. 
“E’ di buon auspicio”, mi dissi.
 Dovevo pure trovare qualcosa di buono per non cadere nello sconforto. Entrai, sedetti, ordinai un secondo: bollito misto con zucchine, un quarto di vino, acqua. Dovevo fare attenzione a non deformarmi l’aspetto con il cibo e a non rimbecillirmi con il vino. Bastava poco per scivolare, dato il frangente, triste se non  terribile.  
Mentre aspettavo, pensavo: “Domani comincio a insegnare. Sono a una svolta della mia vita. Carmignano sarà un luogo fatale come il trivio di Edipo? Devo stare attento alle imboscate del destino.
 Avrò uno stipendio: detto 118 mila lire al mese, mi hanno detto. Altre 80 mila me le dà generosamente la zia Giulia. In cambio vorrebbe che facessi carriera. Secondo lei dovrei obbedire al preside. Come studente sono stato bravo, soprattutto al liceo; alle elementari non tanto: c’erano troppi numeri; alle medie mi ostacolavano il disegno e la matematica scritta. In seconda liceo ho vinto un viaggio premio per i cento studenti liceali più bravi d’Italia. L’università mi piaceva meno: mi pareva una mafia istituzionalizzata. I docenti erano tutti dei cooptati, per varie ragioni. Mi hanno dato pochissimo.  Prendevo trenta negli esami, come tanti altri, ripetendo a memoria dei libri. Voglio tornare al liceo classico come docente. L’insegnamento alle medie sarà un apprendistato. Del resto l’uomo buono è apprendista per tutta la vita. Essenziale sarà interessare i ragazzi, farmi ascoltare. Non basteranno le ciance. Dovrò studiare. Così imparerò tante cose, per gli allievi e per me”
Durante i mesi freddi mantenni il proposito buono: tutti i pomeriggi di quell’autunno-inverno dopo la scuola passavo il tempo studiando. Nella solitudine grande del motel sulla strada, mi commuovevo, talora fino alle lacrime, leggendo e ripetendo i miei autori. Soprattutto Foscolo mi emozionava perchè nei suoi versi ritrovavo il grado eroico dell’esistenza umana, il culto della bellezza, l’amore delle donne, della vita, dell’arte: tutti i valori nei quali credevo, per i quali vivevo, che volevo insegnare ai miei alunni.
Dopo la cena tornai nel motel e salii nella mia stanza. Aveva due letti separati e una terrazza volta a sud est. Mi affacciai. Nella grande pianura non c’era nebbia ma tante luci, come quelle delle barche nel mare di Pesaro. Le cose del mondo sono tutte imparentate tra loro, pensai. Alla radice di tutte infatti ci sono gli dèi. Ce l’avrei fatta a insegnare bene.
Ero ottimista, pur senza prevedere le persone e le cose meravigliose, non poche, che mi sarebbero toccate più avanti: le giovani finniche, Ifigenia e  altre, il lavoro fatto egregiamente, le gare sportive vinte, le amicizie, i concorsi superati e così via. 
Dopo la visione della notte veneta, scesi a guardare la televisione. Non mi rattristai poiché non sapevo quante sere dopo un pomeriggio di studio, avrei passato davanti al televisore nella sala grande del piano terreno del motel, mentre la nebbia annichiliva le stelle , oppure il vento freddo soffiato dalla Valsugana o quello umidiccio della laguna metteva in agitazione le bandiere del paese murato cui la notte fosca aveva tolto i colori, oppure nell’aria pulita la luna faceva brillare, come le sciabole di una parata, i rami secchi degli alberi incanutiti dal gelo.
Dopo lo studio e la triste cena dal Gobbo o in camera mia, andavo a guardare la televisione, aspettando tempi migliori.
Più tardi, nel letto, talora non potevo dormire, siccome mi attanagliava l’insonne desiderio degli occhi splendenti, delle cosce sode e profumate, del seno odoroso di una giovane donna piena di luce, di forza e di mitezza. Doveva essere un’artista luminosa, animata da un fuoco sacro. L’avrei trovata. Intanto però dormire dovevo. Sennò mi imbruttivo. 
 A Cittadella del resto non era sempre notte ottenebrata. L’autunno e l’inverno bene o male passarono. La mia solitudine non fu sempre una pena da martire pagano. Gli dèi furono benevoli con me: nel 1970 la bella stagione fu più bella e più lunga che mai: per mesi il sereno brillò alto e turchino sulle montagne, il sole al tramonto quasi ogni giorno indorava e iridava tutto, anche le cupe vetrate del motel Palace, perfino le mosche e le tetre mura di Cittadella. Allora il volo elegante delle rondini e lo svolazzare lieto delle farfalle mi spalancava l’anima alla gioia poiché antivedevo la felicità futura: le donne belle e fini che mi avrebbero amato, la grande educazione che avrei dato ai miei discepoli sempre più numerosi, a un popolo intero forse.
La mattina dopo la prima notte, quando mi presentai al preside della scuola media Ugo Foscolo, però fu dura assai. Mi ricevette nel suo ufficio: una stanza oscurata da un albero enorme che protendeva i rami ancora frondosi davanti all’unica finestra, non grande e rivolta a nord. Era un uomo sui cinquantanni, portati non male. Mi presentai. Avevo una camicia chiara, una giacca marrone, calzoni nocciola e un impermeabile beige. Voglio dire che ero vestito da persona normale, non come uno stravagante o un mendicante o un hippy da guardare con sospetto e trattare con diffidenza. 
Credo che lo insospettisse la mia provenienza dall’Università di Bologna: un noto covo di contestatori comunisti e pure edonisti, ai suoi occhi che mi osservavano ostili. Mi chiese di fargli vedere la nomina. Gliela diedi. Si mise gli occhiali, la guardò, mi scrutò con aria severa e un po’ contrariata, poi disse che ero arrivato in ritardo, e lui aveva già chiamato una supplente annuale, una già esperta che lavorava benissimo. Mi venne in mente l’agrimensore di Kafka arrivato nel villaggio sotto il Castello con la nomina in tasca.
Burocrazia ottusa e mezza matta, pensai. Forse anche mafiosa.
“In conclusione a me va bene la professoressa Scotti” disse.
“A me invece questo non va. replicai L’incarico è mio e non l’ho rifiutato, anzi l’ho già accettato, e ufficialmente, con un telegramma. Nella nomina che ho ricevuto ieri mattina, c’è scritto che ci sono tre giorni di tempo per presentarsi qui. Dunque sono arrivato in anticipo caso mai, comunque non certo in ritardo come lei dice. E, in conclusione, vorrei cominciare il mio lavoro oggi stesso, in anticipo appunto


giovanni ghiselli 

continua 

1 commento:

  1. Figurati quando sarà approvata la buona scuola....la professoressa Scotti avrebbe avuto il tuo incarico senza meno, e tu... saresti tornato a Bologna senza il posto e con la coda tra le gambe.Giovanna Tocco

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Ifigenia CLVIII. Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare.

  Pregai il sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura. “Aiutami Sole, a trovare dentro questo lungo travagli...