mercoledì 17 giugno 2015

"Ifigenia" in Aulide di Euripide


Associazione Culturale Italo Tedesca di Siracusa
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Cari soci ed amici,
venerdì 19 giugno 2015 alle ore 18, 00, presso l'Hotel Parco delle Fontane, Viale
Scala Greca n. 325, in collaborazione con l’A. M. M, I. (Associazione Nazionale Mogli
Medici) e FEDER. S. P. e V. (Federazione Nazionale Sanitari Pensionati e Vedove), il
Prof. Giovanni Ghiselli, già docente ordinario di greco e latino nei licei classi di
Bologna, professore a contratto nelle Università di Bologna, Urbino, Bressanone,
membro del direttivo del Centrum Latinatis Europae, terrà una conversazione dal
titolo Ifigenia, Medea e altre donne della tragedia antica.
Al termine della conferenza, per gli amici che vorranno parteciparvi, è prevista una
riunione conviviale con il relatore presso il ristorante - pizzeria L'Ottavo Peccato,
sito in Traversa Sinerchia 1/F.
Coloro che vorranno parteciparvi, sono pregati di telefonare allo 0931-32741 entro le
ore 22 di giorno 16.
IL PRESIDENTE
Avv. Giuseppe Moscatt


19 giugno 2015
Ifigenia in Aulide di Euripide 


Prologo 1-163
Agamennone ha scritto una lettera ingannevole a Clitennestra, ed è pentito. Invidia un vecchio servo che passa una vita ajkivndunon, priva di rischi, rimanendo ajgnw;~ ajklehv~ (18) sconosciuto e oscuro.
Invidia meno chi vive ejn timai`~, tra gli onori.

Superiorità della vita privata
Euripide auspica spesso la fuga dai luoghi e dai tempi. Il drammaturgo prefigura il lavqe biwvsa~ di Epicuro.
Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato[1]: “del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi de;- luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw; “ kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano fortunato piuttosto che essendo tiranno ( “dhmovth “ a]n eujtuch; “-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno “ w[n “), /il quale si compiace di avere amici malvagi, /mentre odia i generosi per paura di attentati “ (Ione, vv. 621-628).
Si apre la strada all’Ellenismo: nel mito[2] di Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, capitata nel sorteggio per ultima, dovendo scegliersi un'altra vita “guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e tranquillo “(bivon ajndro;~ ijdiwvtou ajpravgmono~, 62Oc).
il Pericle di Tucidide invece aveva detto: “movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen “ (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non tranquillo, ma inutile chi non partecipa alla vita politica.
Si ricordi pure che le leggi di Solone molto tempo prima punivamo chi in caso di sommosse non si schierava. Plutarco presenta come singolare e paradossale questa legge, ma spiega che il legislatore voleva che nessuno fosse insensibile e indifferente al bene comune (pro;~ to; koinovn, Vita di Sloone, 20, 1)
Il topos contro il potere prosegue con Seneca
“Il tema fondamentale di tutto il teatro senecano…è che potere e regno, condizioni di illusoria felicità soggette a rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con la frode, con l'Erinni familiare, con il furor mentre l'unica salvezza è la obscura quies [3], la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla. L'avversione al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della tranquillità di ogni piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix mediae quisquis turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v. 103). Liceat in media mihi/latere turba (Thy. 533 sg,) afferma Tieste prima di cadere nelle lusinghe del potere e nella trappola tesagli da Atreo “[4].
Nelle Phoenissae, Giocasta chiede a Polinice di rinunciare alla guerra poiché il premio che spetta al vincitore non è desiderabile: anzi Eteocle pagherà il fio del successo a caro prezzo, con il solo fatto di essere re: “poenas, et quidem solvet graves: regnabit “(v. 645).
La bellezza del potere, continua l’Agamennone di Euripide, è scivolosa, insicura: “ to; kalo;n sfalerovn (Ifigenia in Aulide, 21)
L’ambizione appagata può dare dolore. Talora le cose che non vanno dritte ci sconvolgono la vita, talora ci tormentano le varie fastidiose opinioni degli uomini-gnw`mai pollai; dusavrestoi (vv. 26-27). - du “ e ajrevskw[5].

Nelle Fenicie, dove “Eteocle incentra tutto il suo elogio della tirannide sul “di più “[6], Giocasta obietta: “tiv d j e[sti to; plevon; o[nom j e[cei monon: /ejpei; tav g j ajrkounq j iJkana; toi' “ ge swvfrosin “vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi. Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a turno, ce le portano via di nuovo.
Seneca nella Consolatio ad Marciam scrive: “mutua accepimus. Usus fructusque noster est “ (10, 2)
Il vecchio, che Tindaro aveva mandato quale servo da Clitennestra, vede che Agamennone scrive su una tavoletta (devlton te gravfei~, 35) cancellando e cambiando le parole, mettendo e rompendo il sigillo.
Gli chiede di confidarsi.
Agamennone racconta l’antefatto, cioè la storia di Elena con Paride, il pacchiano principe barbaro, che venne fiorente ajnqhrov~ di vesti sfarzose (73) e crusw`/ lamprov~ luminoso nell’oro di un barbarico lusso (barbavrw/ clidhvmati, 74).
E la moglie di Menelao andò via con lui.
Ora devono andare a riprendere Elena, ma l’esercito ne è impedito dai vènti.

Nelle Troiane, Elena è la maliarda accusata da Ecuba di avere seguito Paride perché era bello e ricco e perché Troia era piena di oro.
“Mio figlio era eccezionale per bellezza (kavllo~- 987) e tu vedendolo nelle vesti barbariche –barbavroisi ejsqhvmati (991) e raggiante nell’oro-crusw`/ te lamprovn (992), hai perso la testa. Sperasti di sommergere nelle spese la città dei Frigi dove scorreva oro (th;n Frugw`n povlin-crusw`/ rJevousan h[lpisa~ katakluvsein-dapavnaisin 994-995)
Nell’Elena si è mantenuta fedele a Menelao e non è andata a Troia[7].
Calcante ha prescritto di sacrificare Ifigenia alla dea Artemide.
Menelao lo ha persuaso a osare la cosa tremenda (e[peise tlh`nai deinav, 98). Sicché Agamennone ha scritto a Clitennestra chiedendole di portare Ifigenia. Si è inventato yeudh` gavmon (105) mentite nozze con Achille che non ne sa niente.  
Le nozze vengono comunque rifiutate da Euripide
Le nozze tra Ifigenia e Achille sono false e daranno motivo di dolore, ma anche quelle vere non procurano gioia. Il primo stasimo dell’Alcesti canta: “ ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-pleovn h] lupei'n toi' “ te pavroiqen-tekmairovmeno “ kai; tavsde tuvca “-leuvsswn basilevw “ (238-241) non dirò mai che le nozze diano gioia più che dolore deducendolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re che che, perduta la migliore delle spose, vivrà per il tempo che gli resta un vita che non è vita (240-243)
Lo stesso Admeto, rimasto privo di Alcesti, dice:
“Dei mortali invidio quelli senza nozze né figli: zhlw` d j ajgavmou~ ajtevknou~ te brotw`n
infatti hanno una sola vita, e soffrire per questa
è un peso moderato.
Ma vedere le malattie dei figli
e il letto nuziale reso vedovo dai colpi della morte
 non è sopportabile quando è possibile vivere
sempre senza moglie e senza figli “(882-888).
Antifonte sofista afferma che le nozze sono un grande agone in effetti: mevga “ ga;r ajgw;n gavmo “ ajnqrwvpwn[8].
“Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l'amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione “ sostiene il dottor Urbino, il marito di un romanzo di Màrquez[9].

Torniamo all’Ifigenia in Aulide.
Ora sono pentito, continua Agamennone, e metagravfw, cambio quello che ho scritto (109).
Questa metagrafhv sembra una correzione della persona, ma è solo momentanea.
Quindi legge la lettera con il contrordine e ammette che era uscito di senno.
“Se le incontri per strada mandale indietro agli altari della ciclopica città “ (152), ordina al vecchio servitore.
Il duce conclude dicendo che dei mortali nessuno è felice e beato (o[lbio~, eujdaivmwn[10]) fino al termine (ej “ tevlo “), nessuno è immune da dolore (161-163)

Parodo (164-302)
Nella Parodo, il Coro, formato da donne di Calcide (Eubea), racconta che Paride, il bovaro (oJ boukovlo~, 180) portò Elena via dall’Eurota che fa crescere le canne (ajp j Eujrwvta donakotrovfou).
Il Coro descrive l’esercito. Euripide ricorda il catalogo delle navi del II libro dell’Iliade.
Achille si allenava correndo in armi sulla ghiaia del litorale.
Gareggiava a piedi con una quadriga e vinceva.
Le donne euboiche ammirano la nautica forza, l’indicibile spettacolo (qevan ajqevsfaton, 232) che dà soave piacere agli occhi delle donne.
 “Sono venuta al conto delle navi per riempire la veduta femminile degli occhi, soave piacere (231-234).
 E’ la bellezza apparente della guerra, il suo ingannevole estetismo.
Orazio chiama il dio Marte torvus in Carmina I, 28, 17 e cruentus in II, 14, 13. Nella prima Ode del primo libro[11] il Venosino menziona le guerre maledette dalle madri: “ bellaque matribus/ detestata “ (vv. 24-25).

Euripide denuncia le guerre con particolare forza nelle Troiane, scritte a ridosso dell’eccidio di Melo (415). In questa tragedia il tragediografo è “filobarbaro “, come scrisse Plutarco di Erodoto. Andromaca denuncia la barbarie dei Greci vincitori che ammazzano i bambini
Cruciali sono i versi con i quali la vedova di Ettore accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (Troiane, 764-765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente?
Le sofferenze dei bambini sono un prezzo troppo alto per qualsiasi verità, si legge nei Fratelli Karamazov. Ivan non la vuole: restituisce il biglietto.

Torniamo alla Parodo dell’Ifigenia in Aulide: la partenza per un’impresa bellica la fa apparire grande, gloriosa, non priva di bellezza. Il Coro vede il biondo Menelao, il nobile Agamennone. Tutto apparenza.
Le ragazze di Calcide hanno passato lo stretto dell’Eurìpo che separa l’Eubea dall’Aulide, per vedere l’armata con i suoi eroi: i due Aiaci, Protesilao e Palamede che giocavano con le pedine. Tutti finiti male. Poi Diomede che lanciava il disco, e Odisseo venuto dai monti isolani (ajpo; nhsaivwn ojrevwn) e Nireo kavlliston jAcaiw'n, il più bello tra gli Achei, 205. Omero agiunge però “dopo il Pelide perfetto “ (Iliade, II, 674).
Achille, figlio di Tetide e allievo di Chirone gareggiava a piedi e armato in una corsa con una quadriga guidata da Eumelo, figlio di Alcesti e Admeto.
Giravano rasenti alla meta (Cfr. l’Elettra di Sofocle con la falsa notizia della morte di Oreste in una gara di carri).
 Non mancano gli Ateniesi guidati dal figlio di Teseo.
Omero chiama gli Ateniesi dh`mon (II, 547), popolo di Eretteo magnanimo. Erano guidati da Menesteo.
Il loro emblema è Pallade.
Plutarco attribuisce a Teseo la promessa mantenuta, ai potenti, di un governo senza re e democratico, nel quale egli si sarebbe riservato solo il comando dell’esercito e la custodia delle leggi, mentre avrebbe offerto a tutti uguaglianza di diritti (Vita di Teseo, 24, 2). Poco più avanti (25, 3) Plutarco aggiunge che di questa rinuncia alla monarchia dà una testimonianza anche Omero quando nel catalogo delle navi chiama dh'mo “ solo gli Ateniesi (Iliade, 2, 547).
Poi i Beoti, Nestore di Pilo sabbiosa, gli Acarnani, quelli dell’Elide, Stenelo figlio di Capaneo e i capi Atridi.
In conclusione: se qualcuno armerà battelli barbari, contro questa flotta non ne riporterà il ritorno (novston oujk ajpoivsetai, 298).
E’ da tenere conto che in questi anni Ciro il Giovane dava denaro a Lisandro: parei'ce crhvmata Peloponnhsivoi “, Tucidide, II, 65)
 forniva ai Peloponnesiaci il denaro per la flotta. Questo fatto segnò la fine della guerra e, dal punto di vista della letteratura, che è il nostro, provocò la chiamata a raccolta di tutte le energie contro i Persiani da parte di Euripide, specialmente nell'Ifigenia in Aulide, dove la ragazza proclama la necessità della guerra santa contro i barbari di Oriente (vv. 1397-1401).

Primo episodio (303-542)
Arriva Menelao, spesso in Euripide un personaggio negativo (cfr. Oreste).
In quanto è re di Sparta, la città nemica degli Ateniesi.
Qui meno che nell’Andromaca del 429 e nell’Oreste del 408.
Ha intercettato il servo, rotto il sigillo e letto le parole. Litiga con il vecchio.
Agamennone esce dalla tenda disturbato dall’ ejn puvlaisi qovrubo~ (317), il fracasso sulla porta.
I due fratelli discutono animosamente.
Menelao rinfaccia ad Agamennone di avere brigato assai per ottenere il comando: “ eri umile e stringevi la mano a tutti (339) la tua porta era aperta a chiunque. Ora che hai raggiunto lo scopo sei diventato inaccessibile (dusprovsito~, 344.).
L’uomo di valore non dovrebbe cambiare carattere[12] una volta salito al potere. Dovrebbe rimanere costante bevbaio “ con gli amici.
Non dovrebbero comandare sempre e solo quelli che hanno privilegi di nascita: “nou`n crh; to;n strathlavthn e[cein “ (v. 374) è necessario che il comandante abbia senno.

Nell’Antigone, Creonte ammette desolato: mh; fronei'n pleivsth blavbh (1051), non capire è il danno massimo.
Il Coro qualifica come deinovn questo alterco tra fratelli (376), una beceraggine tremenda.

Agamennone replica dicendo che vuole parlare senza alzare troppo il sopracciglio davanti all’impudenza
Poi fa del sarcasmo: ami riprendere il letto onesto? (crhsta; levktr j ejra' “ labei'n; v. 382). Battuta da commedia, quasi aristofanesca.
 Tu vuoi avere di nuovo tra le braccia la tua bella moglie, ma ponerou` fwto;~ hJdonai; kakaiv (387) sono volgari i piaceri del malvagio.
Hai perduto un letto cattivo e te lo vuoi riprendere- ajpolevsa “ kako;n levco “, ajnalabei'n qevlei “ (389-390).
Io non ucciderò i miei figli (396)
La Corifea manifesta il suo accordo.
Agamennone dice al fratello che vorrebbe condividere la sua saggezza (sunswfronei'n, 407), non la sua malattia (sunnosei'n).
E aggiunge che con lui la Grecia nosei`, è malata per opera di un qualche dio(JElla; “ de; su;n soi; kata; qeo;n nosei' tina (411).

La malattia e la salute del capo infatti si estendono sul suo popolo.
Cfr. Omero, Odissea, XIX, 108-114; Esiodo Opere 240-244.
Sofocle: Edipo scopre di essere il miasma della povli “ (Edipo re)
Nell’Antigone, Tiresia accusa Creonte: “kai; tau'ta th' “ ejk sh' “ freno; “ nosei' povli “ (1015) la città ha questa malattia che deriva dalla tua mente.
Seneca: Edipo dice: “fecimus caelum nocens “ (36), abbiamo reso colpevole il cielo.
Macbeth: dopo l’assassinio, il nobile Lennox fa: “some say the earth was feverous and did shake “ (II, 3)
Dante fa derivare la malvagità del mondo dal malgoverno: “Ben puoi veder che la mala condotta/è la cagion che il mondo ha fatto reo/e non natura che in voi sia corrotta “[13].
Non vi è, nel destino tutto dell’uomo, sventura più dura di quando i potenti della terra non sono anche i primi uomini. Tutto diventa falso obliquo mostruoso, quando ciò avviene “[14].
Questo topos vale anche per il costume femminile: il cattivo esempio che le donne importanti danno a tutte le altre, viene biasimato da queste parole di Fedra nell'Ippolito di Euripide: “ wJ~ o[loito pagkavkw~-h{ti~ pro;~ a[ndra~ h[rxat j aijscuvnein levch-prwvth quraivou~ (vv. 407-409), fosse morta malamente colei che per prima disonorò i letti di casa con uomini esterni. Infatti, continua, questo male ha cominciato a propagarsi dalle case nobili: “ejk de; gennaivwn dovmwn “ (v. 409). Quando le turpitudini (aijscrav) sono reputate belle dalle persone di alta condizione, certo sembreranno belle anche al volgo (vv. 411-412).

Arriva Ifigenia accompagnata da Clitennestra e dal fratellino Oreste.
Un messo le annuncia.
Il volgo, sempre interessato ai potenti, non parla di altro.
 Il messo prevede nozze.
Agamennone è disperato: hJ dusgevneia d j wJ~ e[cei ti crhvsimon “ (445) oh, come ha qualche cosa di utile avere bassi natali!
La eujgevneia dunque non è un vantaggio soprattutto se i cosiddetti eujgenei' “ sono dei delinquenti come Pelope e Atreo.
I poveracci possono piangere con facilità dakru`sai rJa/divw~ (447). Il nobile non può.

“L’ira e la beffa sono signorili, l’elegia e la querimonia, no. Nell’albero genealogico di un signore lamentoso e querulo c’è sempre qualche ramo secco “ (Il Gattopardo. P. 135).

Noi siamo schiavi della massa. “tw`/ t j o[clw/ douleuvomen “ (v. 450). Mia figlia dovrà sposare Ades.

Il tiranno nella Repubblica di Platone (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, “mequstikov “.. ejrwtikov “.. melagcolikov “ “, incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile “oJ tw'/ o[nti tuvranno “ tw/' o[nti dou'lo “ “(579e). Questa considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che “ l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere “ (p. 144).

Dunque Agamennone piange, però cede alla pressione dell’esercito.

A questo punto si pente Menelao: prova compassione per Ifigenia
Ma ora Agamennone dice che non può e non vuole tornare indietro.
Calcante aizzerebbe l’esercito contro di lui: la razza degli indovini è un malanno ambizioso (filovtimon kakovn, 520).

Nell’Antigone di Sofocle, Creonte dice che la pretaglia è filavrguron gevno~ (1056).
Ma Creonte è un personaggio negativo, confutato dagli eventi che danno ragione a Tiresia.
Per giunta il figlio di Sisifo è al corrente ed è poikivlo~, e sta demagicamente con la massa (tou` t j o[clou mevta, Ifigenia in Aulide 526)
Inoltre l’Itacese è preso dall’ambizione, un male tremendo filotimiva/ ejnevcetai deinw`/ kakw`/ (527).
Molto frequente è l’aggettivo deinov~, qualificazione tragica per eccellenza[15].
Agamennone teme che la consumata volpe di Itaca spinga la turba a ucciderlo.
Quindi chiede al fratello di non svelare il suo proposito a Clitennestra.

Primo Stasimo (543-589)
Il Coro auspica per sé un buon equilibrio, desideri santi (povqoi o{sioi, 555) e metriva cavri~, una gioia misurata. Inoltre: ciò che è direttamente buono è sempre chiaro (to; d ’ orqw`~ ejsqlo;n safe;~ ajeiv, 560).
Sapienza è rispetto (tov te ga;r aijdei`sqai- sofiva, 563. Cfr. Baccanti).
Esiodo nelle Opere e giorni (200-201) afferma che quando aijdwv “ e nevmesi “ se ne saranno andati dalla terra, non ci sarà più difesa dal male.
La verità è ajlhvqeia, disvelamento.
Grande cosa è andare a caccia della virtù (mevga ti qhreuvein ajretavn, 568): per le donne evitare Venere furtiva, per gli uomini l’ordine interiore (kovsmo~ ejnwvn, 571) che fa crescere la polis. Infine c’è il ricordo del giudizio di Paride, il boukovlo “ allevato tra le giovenche candide dell’Ida (574). Dal suo amore con Elena e[ri “ spinse e[rin ellenica contro la rocca troiana. Sono due cattive e[ride “-contese.
La buona e[ri “ produce, la cattiva distrugge (Esiodo le pone alle radici della terra)
Esiodo nelle Opere e giorni distingue due diversi tipi di [eri “: quella cattiva che fa crescere la guerra malvagia e la lotta (v. 14), e l'altra che, generata prima della sorella dalla Notte, Zeus pose alle radici della terra (v. 19), cioè alla base del progresso umano. Questa suole svegliare al lavoro anche l'ozioso. Allora il vasaio gareggia con il vasaio, l'artigiano con l'artigiano, il mendico con il mendico e l'aedo con l'aedo (vv. 24-26)[16].
Nietzsche commenta la doppia [Eri~ di Esiodo con queste parole: “ tutta l'antichità greca la pensa diversamente da noi circa l'astio e l'invidia e giudica come Esiodo, il quale designa come cattiva una sola Eris, quella cioè che trascina gli uomini gli uni contro gli altri in animose lotte distruttrici, e stima invece buona un'altra Eris, che, come gelosia, astio e invidia, sprona gli uomini all'azione, ma non all'azione della lotta distruttrice, bensì a quella del certame (...) Togliamo invece il certame della vita greca, subito ci affacceremo su quell'abisso preomerico che è il feroce stato selvaggio di odio e di voglia d'annientamento “[17]

Secondo episodio (vv. 790-750)
Entra in scena il carro con Clitennestra e i due figli.
Ifigenia corre ad abbracciare il padre precedendo la madre che le dice è giusto: tu sei la più filopavtwr tra i miei figli (638).
La ragazza si accorge che lo sguardo del padre non è sereno (ouj blevpei~ eu[khlon, 644). Gli chiede di non essere accigliato.
Agamennone dice che come comandante ha molte preoccupazioni. E piange (650). La figlia non si capacita.
“Il pianto è tipica espressione di un insufficiente controllo della realtà esterna “[18]. Nelle Troiane le lacrime sono consolatorie: “wJ “ hjdu; davkrua per coloro che stanno male (608-609)
Nell’Elena (125) ci sono le lacrime di gioia di Menelao.
Comunque il padre maledice le armi (o[lointo lovgcai, 658, le lance) e i guai di Menelao.
Cfr. maledizioni della guerra e di Ares nell’Agamennone, nell’ Edipo re e nelle Troiane.
Agamennone allude in forma enigmatica e con doppi sensi al prossimo sacrificio della figlia che non comprende.
Il padre dice zhlw` se, ti invidio perché non capisci (tou' mhden fronei'n 677).
 Infine le ordina di entrare nella tenda: “ ojfqh`nai kovrai~-pikrovn (678-679), è un brutto affare per le ragazze venire osservate.
Cfr. la condizione della donna chiusa in casa: Senofonte, Economico; Euripide, Medea, Andromaca, Troiane; Eraclidi dove Macaria dice che per la donna le doti più belle sono il silenzio e l’equilibrio, poi rimanere in tranquillità dentro casa “ei[sw qj h[sucon mevnein dovmwn (477) Aristofane, Lisistrata;
Nei 7 a Tebe di Eschilo, Eteocle dice alle donne del coro: son d’ au' to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovmwn 477, il tuo compito è tacere e rimanere dentro casa.

Dammi un bacio e la destra (fivlhma dou`sa dexiavn tev moi, 679), dice Agamennone, mentre spinge la figlia dentro la tenda, e aggiunge w\ stevrna kai; parh//`/e~, w\ xanqai; kovmai (681), oh petto e guance, oh bionde chiome, che peso (a[cqo~) Elena e Troia!
Nel toccarla piange.
Poi il marito si scusa con Clitennestra per tanta commozione. Dovuta al fatto che deve consegnare la figlia a un’altra casa, con doppio senso macabro e ironia tragica.
Nell’Ifigenia fra i Tauri del 413 la ragazza ricorda che il padre la convocò a sanguinose nozze (ej “ aiJmathro;n gavmon, 371) per farle sposare non Achille il figlio di Peleo, ma Ade.

La donna chiede notizie sullo sposo. L’eroe nacque da Peleo, figlio di Eaco, figlio di Zeus. Grande genealogia, matrimonio prestigioso.
Peleo e Tetide si unirono nel Pelio dove abita Chirone che allevò Achille
Il Centauro lo educò i{n j h[qh mh; mavqoi kakw`n brotw`n (709) perché i costumi degli uomini malvagi non li imparasse.
Il centauro di D’Annunzio significa la riunione dell’uomo, centauro storpio e mutilato, con l’energia atroce della natura.
Clitennestra benedice l’unione.
Le nozze saranno celebrate nel momento del ciclo propizio della luna (piena)
Agamennone dice a Clitennestra che deve obbedirgli.
E le suggerisce: “ ouj kalo;n ejn o[clw/ s j ejxomile`sqai stratou`(735) non è bene che tu ti mescoli alla truppa.
La madre vorrebbe accompagnare la figlia all’altare, ma il marito le dice piqou` (738), obbedisci!
Cfr. Paolo, Agli Efesini, 5, 22 Come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così la moglie ai mariti.
Ai Corinzi I, 14, 34: mulieres in ecclesiis taceant
Clitennestra insiste, ma poi entra nella tenda.
Però non cede rispetto alla sua assistenza della figlia da maritare.
Agamennone, rimasto solo, si lamenta di essere costretto a sofisticare, escogitare sottigliezze e cercare artifici sofivzomai kai; tevcna~ porivzw (745) anche contro le persone più care, per poi essere vinto su tutti i fronti.
Quindi deplora la sua condizione di uomo sposato con Clitennestra: un uomo saggio dovrebbe prendersi in casa una moglie utile e buona (gunai`ka crhsth;n kajgaqhvn) o non mantenere (trevfein) nessuno (749-750).
Secondo Semonide (VII sec. a. C.) l’unica donna buona, utile, pulita, è quella che discende dall’ape.

II Stasimo (vv. 751-800)
Il coro prevede e canta la guerra di Troia
Spera di non fare la fine delle donne troiane che saranno in ansia per l’esito della guerra temendo la schiavitù: di venire tirate per le chiome ed essee strappate come fiori di loto dalla patria rovinata
La colpa è di Elena la figlia del cigno dal lungo collo (ta;n kuvknou dolicauvceno~ govnon, 793), se è vera la leggenda della metamorfosi di Zeus, e se i miti nelle tavolette pieridi non portarono queste favole agli uomini contro l’opportunità, vanamente (para; kairo;n a[llw~, 800).
Dubbi razionalistici.
Cfr. le favole intarsiate di iridescenti bugie (dedaidalmevnoi yeuvdesi poikivloi~- mu'qoi) dell’Olimpica I di Pindaro vv. 46-47). Anche queste traggono in inganno oltre la verità (uJpe;r to;n alaqh` lovgon (v. 45). Odiosa sapienza è diffamare gli dèi.

III Episodio (801-1035)
Entra Achille maldisposto per l’inattività,
Clitennestra lo sente, esce dalla tenda e gli si fa incontro.
Il Pelide invoca povtnia aijdwv~ (821) il venerando pudore nel vedere una donna di nobile aspetto in mezzo ai soldati
Clitennestra si presenta come figlia di Leda e moglie di Agamennone, e
Achille loda la brevità della risposta essenziale: “kalw`~ e[lexa~ ejn bracei` ta; kaivria “ 829. Il ritardare è epico, non drammatico.

Nell’Andromaca, Ermione denuncia le chiacchiere deleterie delle comari che riceveva in casa. La figlia di Menelao è pentita di essersi lasciata montare la testa da queste Sirene maligne che hanno provocato la rovina del suo matrimonio con Neottolemo: “ Ed io ascoltando queste parole di Sirene[19], / scaltre, maligne, variopinte, chiacchierone, / fui trascinata da un vento di follia. Che bisogno c'era infatti che io/controllassi il mio sposo (tiv gavr m j ejcrh'n-povsin fulavssein), io che avevo quanto mi occorreva? /grande era la mia prosperità, ero padrona della casa, /e avrei generato figli legittimi, /quella[20] invece dei mezzi schiavi e bastardi[21] servi dei miei. / Mai, mai, infatti non lo dirò una sola volta, / bisogna che quelli che hanno senno, e hanno una moglie, / lascino andare e venire dalla moglie che è in casa/ le donne: queste infatti sono maestre di mali: / una per guadagnare qualcosa contribuisce a corrompere il letto, / un'altra, siccome ha commesso una colpa vuole che diventi malata con lei, / molte poi per dissolutezza; quindi sono malate/ le case degli uomini. Considerando questo, custodite bene/ con serrature fulavssete- klh//v/v//vqroisi[22] e sbarre le porte delle case;/ infatti nulla di sano (uJgie; “ oujdevn)[23] producono le visite/ dall'esterno delle donne ma molte brutture e anche dei mali (Andromaca, vv. 936-953). –

Del resto, dice Achille, è vergognoso che io qui intrecci discorsi con una donna.
Fa per allontanarsi, ma Clitennestra vuole dargli la mano.
Il Pelide ribatte che si vergognerebbe davanti ad Agamennone se toccasse quello che non gli è lecito w|n mh; moi qevmi~ (834)
La madre di Ifigenia replica che gli è lecitissimo (qevmi~ mavlista, 835) poiché lui deve sposare sua figlia.
Cfr. Manzoni (I promessi sposi, VIII: “Lucia scansava dolcemente e con destrezza l’aiuto che il giovane le offriva nei passi malagevoli. Stava stretta al braccio della madre “.
Achille non ne sa niente e i due si scoprono ingannati.
Si affaccia il vecchio servo, devoto a Clitennestra.
Il servo rivela il proposito folle dell’a[nax: deina; d j jAgamevmnwn e[tlh (887).
Nell’Ifigenia in Tauride, la ragazza ricorda che disse al padre: non era Achille, ma Ade lo sposo promesso, quando mi convocasti a sanguinose nozze (370 ss.)
Achille vuole punire chi lo ha offeso. Ouj fauvlw~ fevrwkoujc aJplw`~ non sopporto superficialmente, assolutamente no (v. 897)
La madre dolorosa lo supplica di aiutarle.
La corifea commenta che partorire entra nella categoria del deinovn (deino;n to; tivktein) e che porta una grande magia (fevrei fivltron mevga) in modo che a tutte è comune avere travagli per i figli (917-918)

Il parto, il travaglio, le doglie
Nell’Elettra di Sofocle, Clitennestra dice alla figlia: questo padre che tu piangi tanto ebbe cuore di sacrificare agli dei tua sorella; “oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph “ o{t j e[speir j w{sper hJ tivktous j ejgwv “ (531-532), senza avere passato come me il travaglio doloroso del parto quando la seminava.
Nelle Fenicie di Euripide, la corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo che sono terribili i parti attraverso le doglie (deino;n gunaixi;n aij dij wjdivnwn gonaiv) e tutte le donne amano i figli.
Cfr. Anche Medea 250-251: preferirei stare tre volte con uno scudo che partorire una volta sola.
Achille fa della psicologia: dice di essere uno che ragiona, anche se talvolta è dolce hJdu; mh; livan fronei`n (924), non essere troppo saggi.
E’ un inizio di mentalità postfilosofica che rinuncia a occuparsi dei massimi sistemi
Cfr. Orazio misce stultitiam consiliis brevem: / dulce est desipere in loco (Odi, IV, 12, 28) mescola ai progetti un momento di follia: è bello folleggiare a tempo debito.
Ma, continua Achille, c’è anche il caso in cui è utile avere senno (gnwvmhn e[cein).
Insomma il lovgo~ dovrebbe prevalere qualche volta. Sono le ragioni e le controragioni con le quali, secondo Nietzsche, Euripide ha mandato in rovina la tragedia.
Il Pelide ricorda che dal centauro Chirone ha imparato tou;~ trovpou~ aJplou`~ e[cein (v. 927). Cfr. l’Achilleide di Stazio.
Cfr. Tucidide II, 40: amiamo il bello con semplicità.
La semplicità non come rozzezza ma quale complessità risolta.
Semplicità è cogliere direttamente il significato reale di un problema e trovarne la soluzione per la via più breve. provblhma (prov-bavllw) è un ostacolo che viene gettato davanti.

Dunque: “Non obbedirò a ordini ingiusti degli Atridi “, assicura Achille.
E continua: “A Troia mostro una natura libera e onoro Ares.
Sarei un uomo pessimo, sarei una nullità (ejgw; to; mhdevn, 945) se il mio nome servisse a uccidere tua figlia. Ti circondo di pietà. La pietà oi\kto~ distingue l’uomo dal nulla.
Sarei figlio di Alastore, uno spirito maligno, non di Peleo se non ti aiutassi (946). Se non ti soccorressi, Sipilo in Lidia da cui provengono i Pelopidi, sarebbe più civile di Ftia. E Calcante deve stare attento. Un indovino è un tale che dice molte menzogne e poche verità e (957), quando va bene.
Non dico questo per le nozze-murivai kovrai- qhrw`si levktron toujmovn, 959-60), migliaia di ragazze danno la caccia al mio letto[24], ma perché Agamennone mi ha offeso.
Clitennestra lo ringrazia dicendo che aiutare i disgraziati ha una bella forma, un decoro, (e[cei sch`ma dustucou`nta~ wjfelei`n, 983-984).
E’ un’espressione di quell’umanesimo di charitas che Manzoni non trova nei testi classici.
La misericordia non è virtù ignorata né trascurata dai classici e lo sviluppatissimo senso estetico dei Greci non aveva atrofizzato quello etico: è del tutto falso dunque che la morale cattolica sia l'unica vera e buona come afferma Manzoni, per esempio, quando sostiene che “ essa è la sola santa e ragionata in ogni sua parte “[25].
Vedi anche Nausicaa VI dell’Odissea, Eumeo XIV, Antigone 527, Edipo a Colono 567. I miti greci che iniziano con il salvataggio per compassione di un bambino abbandonato: Paride, Edipo, Cipselo (Erodoto, V, 92). Didone in Eneide I, 630.
Decameron: Umana cosa è l’aver compassione degli afflitti
Kubrick Orizzonti di gloria: the noblest impulse of man,: his compassion for another
Achille sconsiglia Clitennestra dal portagli la figlia per non incorrere nel biasimo ignorante (eij~ o[neido~ ajmaqev~, 999), in rozze censure da parte da una truppa che è raccogliticcia (stravto “ ajqrovo “), in ozio, e ama le tristi, malefiche ciance (1001).
Qui sono smontate le “ imprese grandi e meravigliose “ del proemio di Erodoto.
La madre benedice il giovane guerriero: possa avere sempre il bene tu che aiuti i disgraziati (o[naio sunecw' “ dustucou'nta “ wjfelw'n, 1008)[26].
Achille vorrebbe convincere Agamennone con le parole, ma Clitennestra ribatte che suo marito è un vile e teme troppo l’esercito (kako; “ ti “ e[sti kai; livan tarbei' stratovn, 1012)
Quindi la donna ringrazia il suo difensore: “se gli dei esistono, tu che sei un uomo giusto, otterrai cose buone, eij de; mhv, tiv dei` ponei`n ; (1035), se no, perché affaticarsi?

III Stasimo (vv. 1036-1097)
Il Coro ricorda le nozze di Peleo e Tetide[27], una grande festa con uomini ninfe, dei e centauri
Ora invece si approssima un lugubre sacrificio: una ragazza verrà incoronata nelle belle chiome come montana vitella pezzata intatta che viene da pietrose grotte, eppure Ifigenia non è cresciuta tra zampogne né tra zufoli di pastori ma presso la madre, per andare un giorno sposa.
Dove ha qualche forza il volto del Pudore, della Virtù? Da quando l’empietà ha potere, mentre la Virtù è negletta dai mortali, l’illegalità prevale sulle leggi-ajnomiva de; novmwn kratei` (1094) e non c’è gara tra gli uomini perché non giunga il rancore degli dèi.

Euripide è favorevole alle leggi scritte che significano democrazia. Dove non ci sono leggi scritte c’è l’arbitrio del potere cfr. le Supplici
Cfr. anche Senofonte, Elleniche, I, 7, 12: dopo le Arginuse (406) la massa gridava che era terribile se qualcuno non permetteva al popolo di fare quanto voleva
Cfr. Sofocle Antigone, Edipo re contro le leggi scritte
Cfr. lo Scita Anacarsi in Plutarco (Vita di Solone).
Lo scita Anacarsi, racconta Plutarco, derideva l'opera di Solone che pensava di frenare l'ingiustizia e l'avidità dei cittadini con parole scritte le quali non differiscono per niente dalle ragnatele ( “aJ; mhde;n tw'n ajracnivwn diafevrein “, Vita di Solone, 5, 4), ma, come quelle, tratterranno le deboli e le piccole tra le prede irretite, mentre saranno spezzate dai potenti e dai ricchi. Il legislatore ateniese rispose che adattava il suo codice ai cittadini, in modo da mostrare a tutti che agire con giustizia è meglio che trasgredire le leggi. Ma, commenta Plutarco, le cose andarono a finire come supponeva Anacarsi il quale dopo avere assistito all'assemblea fece un'altra riflessione intelligente: “oJvti levgousi me;n oiJ sofoi; par j JvEllhsi, krivnousi d j oiJ ajmaqei' “ “(5, 6), che presso i Greci parlano i sapienti ma decidono gli ignoranti
Cfr. Antifonte (Della verità) e Alcidamante contro la schiavitù (Messeniaco). Don Milani.

Quarto episodio (vv. 1098-1282)
Clitennestra Agamennone e Ifigenia si incontrano.
La ragazza piange. Il padre continua a mentire, ma la moglie gli pone la domanda diretta: è vero che vuoi uccidere nostra figlia? (1131)
Il padre tenta di eludere la risposta ma poi è costretto ad ammettere.
Clitennestra lo accusa: hai ucciso il mio primo marito, Tantalo[28] e hai strappato dal mio seno e sfracellato al suolo il bambino avuto da lui
I miei fratelli Dioscuri volevano punirti, ma mio padre Tindaro ti salvò e così mi sposasti. Quindi sono stata una moglie irreprensibile (a[mempto~ gunhv). Una fortuna per te: una moglie siffatta è spavnion qhvreum j (1162) raro bottino, mentre non c’è spavni~, penuria di spose cattive.
Ti ho dato un maschio, Oreste, e 3 figlie: Ifigenia, Elettra, Crisotemi.
Come credi che reagirò se me ne toglierai una; quali sentimenti pensi che avrò, vedendo vuoti i seggi di Ifigenia? Lascerai odio (mi`so~, 1179) partendo, e al ritorno basterà un lieve pretesto per farti avere l’accoglienza che meriti.

Nell’Agamennone di Eschilo, tra i motivi di odio c’è anche la gelosia.
L’Atride nell' Iliade afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non le era inferiore “per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere “ (I, 115).
Nel primo dramma dell’Orestea pare che sia stato questo amore ancillare troppo elogiato a mettere in moto il risentimento della moglie legittima: “kei'tai gunaiko; “ th'sde lumanthvrio “, -Crushivdwn meivligma tw'n uJp& jIlivw/ “(Agamennone, vv. 1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna, /la delizia delle Criseidi sotto Ilio, grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo.
Allora, continua Clitennestra, non costringermi per gli dèi a diventare cattiva nei tuoi confronti, e non diventarlo tu (mh; dh'ta pro; “ qew'n mhvt j ajnagkavsh/ “ ejme; -kakh;n genevsqai peri; se, mhvt aujto; “ gevnh/, Ifigenia in Aulide, 1183-1184).

Nell’Elettra di Euripide del 413, Clitennestra poi si giustifica dell'assassinio di Agamennone davanti ai figli in procinto di ucciderla, ricordando loro i torti subiti dal marito, giustiziato dunque, per le sue numerose malefatte. Intanto uccise la primogenita in maniera spietata: “leukh;n dihvmhs j [29] jIfigovnh “ parhΐda “ (v. 1023), lacerò la bianca guancia di Ifigenia. E non lo fece per difendere la sua città o per salvare altri figli, ma per recuperare Elena che schiumava di lussuria (mavrgo~ h\n, era dissoluta, v. 1027) e Menelao era incapace di punire una moglie infedele. Inoltre tornò a casa dalla moglie portandosi dietro una menade invasata[30] e la infilò nel letto ( “mainavd j e[nqeon kovrhn-levktroi “ t j ejpeisevfrhke[31] “, vv. 1032-1033).

L'inimicizia delle donne nei confronti degli uomini ha avuto spesso la genesi che Seneca attribuisce a quella degli schiavi per i padroni: “non habemus illos hostes, sed facimus (Epist. ad Luc., 47, 5), non li abbiamo nemici, ma li rendiamo tali.
Hai pensato agli affetti che annienti, o a te importa solo portare lo scettro e comandare l’esercito? (1195).
Si poteva almeno tirare a sorte, o meglio sacrificare Ermione la figlia di Elena e Menelao, invece così paido;~ ejsterhvsomai (1203) verrò privata dei mia figlia io che ho salvato il tuo letto (hJ to; so;n- sw/zousa levktron), mentre hJ ejxamartou`s j, la peccatrice. Elena, si terrà la figlioletta (1202-1204).
Nel Secondo Stasimo dell’Agamennone, il Coro canta di Elena, la donna che può essere nello stesso tempo, o in tempi diversi, personificazione di Afrodite e di Nemesi, della gioia amorosa e della vendetta divina.
La figlia di Leda e di Zeus Viene esecrata:
“Elena le cui nozze furono causa di guerra, poiché chiaramente
distruggitrice di navi, di uomini, di città “.
Si tratta di un'etimologia fantasiosa del nome dell'adultera (nomen omen): “ejpei; prepovntw “-eJlevna “, e{landro “, eJlev-ptoli “, poiché corrispondentemente distruggitrice di navi, di uomini, di città (vv. 688-690).
Dunque, non ammazzare nostra figlia. La corifea approva.
Quindi parla Ifigenia, pateticamente. Vorrebbe avere la parola di Orfeo[32] per sedurre khlei`n. Invece mostrerà i soli mezzi sapienti (ta; sofav) che possiede: le lacrime (davkrua, v. 1215).
Quale supplice ramo, la ragazza attacca alle ginocchia del padre il corpo che la madre partorì per lui: “iJkethrivan de: govnasin ejxavptw sevqen -to; sw'ma toujmovn, o{per e[tikten h{de soi “ (1216-1217.
Quindi gli chiede di non ucciderla prima del tempo: “mh; m j ajpolevsh/~ a[wron [33](1218): hJdu; ga;r to; fw`~-blevpein (1218-1219) è dolce infatti vedere la luce del sole.

Seneca nell’Epistola 122 mette in rilievo che sono attirate dalla luce le persone oneste: “gravis malae conscientiae lux est “ (13), è molesta la luce alla cattiva coscienza. I lucifugae sono farabutti[34]. Perfino i corpi di costoro sono disgustosi
Continua Ifigenia: prwvth s j ejkavlesa patevra (1220), per prima ti ho chiamato padre.
Lucrezio ricorda queste parole: “Nec miserae prodesse in tali tempore quibat/quod patrio princeps donarat nomine regem “ (De rerum natura, I, 93-94) né all'infelice in tale circostanza poteva giovare/ il fatto che aveva donato per prima al re il nome di padre.
Continua la ragazza di Euripide: e tu per primo mi chiamasti figlia, e mi tenevi sulle ginocchia e ci scambiammo tenere carezze.
E mi dicevi: “ti vedrò, o figlia, nella casa di un uomo fortunato vivere e fiorire in modo degno di me? o[yomai-zw`savn te kai; qavllousan[35] ajxivw~ ejmou`; (1224-1225).
E io ti promettevo un contraccambio di tante cure quando saresti stato vecchio. Di queste parole io conservo memoria (mhvmhn e[cw, 1231), tu invece te ne sei dimenticato (su; d j ejpilevlhsai, 1232).
Ti supplico per Pelope, per Atreo, per mia madre che partorendomi prima tra i dolori[36] (pri;n wjdivnous j ejmev, 1234) ora riceve questo travaglio (wjdi`na thvnde lambavnei, 1235).
 Che cosa c’entro io con Elena e Paride?
blevyon pro;~ hjma`~, o[mma do;~ fivlhmav te (1238). Guardami, dammi uno sguardo e un bacio (1238) per avere dopo la morte almeno questo segno in ricordo di te, se non potrò convincerti.
Si rivolge poi a Oreste, il fratellino, troppo piccolo per essere ejpivkouro~ fivloi~ (1241) di aiuto ai suoi cari, “ma puoi piangere con me[37] e supplicare il babbo per me “. Una percezione del dolore è insita anche in chi non sa parlare: “ai[sqhma toi-kajn nhpivoi~ ge tw`n kakw`n ejggivgnetai “ (1243-1244).
“Piange, dunque è vivo “, come Nagg in Finale di partita di Beckett.
Ti supplichiamo entrambi, lui neossov~ (1248), cucciolo, io già cresciuta. Riassumendo tutto in una sola frase vincerò ogni obiezione: vedere questa luce è per gli uomini il piacere più grande, laggiù c’è il nulla: è matto chi si augura di morire: kakw`~ zh`n krei`sson h] kalw`~ qanei`n (1252), vivere male è meglio che morire bene[38].

E’ l’antisapienza silenica già espressa da Achille da vivo, nell’Iliade e da morto nell’Odisssea,
Achille nella Nevkuia dice al figlio di Laerte “ non consolarmi della morte, splendido Odisseo. /Io preferirei essendo un uomo che vive sulla terra servire un altro, /presso un uomo povero, che non avesse molti mezzi per vivere, /piuttosto che regnare su tutti i morti consunti “(Odissea, XI, 488-491).
Essere vivi diventa il valore supremo. “Per esprimere con impressionante efficacia il suo rimpianto per la vita, il morto Achille dice a Odisseo che lo incontra nell'oltretomba: vorrei lavorare come un thes (qhteuevmen[39], Od. XI, 489) “[40].
Già nel IX canto dell’Iliade Achille aveva detto che niente ha lo stesso valore della vita: “ouj ga; r ejmoi; yuch`~ ajntavxion (v. 401): non le ricchezze di Ilio prima della guerra, non quanto racchiude la soglia di pietra del tempio di Apollo.
Buoi e grassi montoni si possono rapire, i tripodi si possono comprare e pure bionde criniere di cavalli, ma la vita di un uomo (ajndro;~ de; yuchv) non la puoi rapire né afferrare perché torni indietro, quando ha superato la chiostra dei denti (405-408).
“Un atteggiamento passeggero e dettato dall’odio verso Agamennone e gli Achei…Poi Achille torna in battaglia per riconquistare il suo statuto e il suo destino, torna alla sua scelta per una vita breve e gloriosa: il dubbio, dettato dall’odio temporaneo verso i compagni, è il pensoso chiaroscuro introdotto da un grande poeta “[41].
Su questo ribaltamento sentiamo Leopardi: “La morte consideravasi dagli antichi come il maggiore de’ mali; le consolazioni degli antichi non erano che nella vita; i loro morti non avevano altro conforto che d’imitar la vita perduta; il soggiorno dell’anime, buone o triste, era un soggiorno di lutto, di malinconia, un esilio; esse richiamavano di continuo la vita con desiderio, ec. ec…. (14 Ottobre 1828) “[42].
Affermazioni contrarie a questa si trovano in altri personaggi della tragedia e anche in questo dramma, da parte di Ifigenia, nella conclusione del dramma.
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere, afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a una vita senza onore: “to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba, v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento “.

Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente “peivsomai ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n (Antigone, vv. 95-97).
 Aiace il quale risponde al corifeo (vv. 479-480): “ajll j h] kalw' “ zh'n h] kalw' “ teqnhkevnai-- to;n eujgenh' crhv ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire.
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce l'ancella Carmione la quale, al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato: “kala; tau'ta Cavrmion ; “ è bello questo?, risponde con il suo ultimo fiato: “kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn “ (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi. Lo stesso personaggio dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done? ), replica: “It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (5, 2) “, è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!

Il coro accusa Elena (dia; sev)
Agamennone risponde con la logica del politico al potere: io amo i figli ma pra`xaiv me dei` (1258), devo agire anche se per me è tremendo (deinw`~ e[cei moi, 1257).
Deve osare il sacrificio perché non farlo è pure tremendo.
L’amore per il suo ruolo è più forte di quello per la figlia e prevale su tutti i ragionamenti[43].
In questo contesto la causa dei mali è la passione del potere.
Del resto una passione viscerale, quella della guerra, non manca nemmeno nella truppa: “mevmhne d j jAfrodivth ti~ JEllhvnwn stratw/` “ (1264) folleggia una Afrodite nell’esercito degli Elleni.

Fromm sostiene che molti uomini accettano di fare la guerra perché questa è l’unica avventura offerta alla loro vita, l’unico modo di uscire dalla routine.
 War is exciting, even if it entails risks for one’s life and much physical sofference. Considering that the life of the average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine of daily life-and to throw oneself into an adventure, the only adventure, in fact, the average person may expect to have in his life[44], la guerra è eccitante, perfino se implica rischi per la propria vita e grandi sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è noiosa, fatta di routine, e carente di avventure, la disposizione a partire per la guerra deve essere intesa come il desiderio di porre fine alla noiosa routine della vita quotidiana e di gettarsi in un’avventura, l’unica avventura, di fatto, che la persona media può aspettarsi nella vita.
Già Achille ai vv. 808-809 aveva detto che un terribile amore (deino;~ e[rw~) di questa spedizione era caduto sull’Ellade non senza il volere di un dio.
Agamennone continua dicendo che non è stato Menelao a volere la spedizione, ma l’Ellade per la quale devo sacrificarti (dei` qu`saiv se, 1272) che io lo voglia o no. A questa realtà di fatto siamo inferiori
touvtou d j h[ssone “ kaqevstamen (1272)
E’ necessario che l’Ellade sia libera e che i barbari non rapiscano più le nostre spose.
Clitennestra compiange la figlia
Segue una monodia di Ifigenia (1283-1335)
La ragazza ricorda il giudizio di Paride quando le tre dèe vennero krivsin ejpi; stugnavn, e[rin te-kallona`~, ejmo;n de; qavnaton (1308-1309), a un odioso giudizio, a una gara di bellezza, alla mia morte. Una pessima Eris.
Chi mi ha dato la vita se ne è andato tradendomi e abbandonandomi da sola.
Io che ho visto pikra;n Duselevnan [45](1316) amara Elena[46] funesta, devo morire assassinata dagli empi colpi di un empio padre (foneuvomai diovllumai-sfagai'sin ajnosivoisin ajnosivou patrov “, 1317- 1318 -notare il poliptoto).

Ifigenia conclude la sua monodia lamentando la sorte della stirpe dei mortali un gevno~ poluvmocqon (1330), una razza piena di travagli.
giugnol
Quinto Episodio (vv. 1336-1509)
Ifigenia dice alla madre che vede appressarsi ajndrw`n o[clon (1338), una turba di uomini. C’è anche Achille e la ragazza si vergogna per le fallite nozze (1342).
Entra in scena il Pelide.
Dice alla madre che gli Achei vogliono sgozzarle la figlia.
Achille stesso ha rischiato la lapidazione per aver difeso Ifigenia
Perfino i suoi Mirmidoni gli hanno dato addosso
Lo chiamavano to;n gavmwn h{sson j j. j (1353), lo schiavo delle nozze. E fu sopraffatto dalle grida.
Clitennestra risponde che la massa è un male terribile to; polu; ga;r deino;n kakovn (1357)
Achille vuole comunque difendere Ifigenia.
Odisseo è delinquenziale come nell’Ecuba e nel Filottete di Sofocle.
Costui, la consumata volpe, guiderà la turba assetata di sangue
La Tindaride chede: dici il figlio di Sisifo? (1363), tanto per rincarare la dose[47].
Sì, è stato scelto e ha accettato volentieri (aiJreqei;~ eJkwvn, 1363)
E Clitennestra riprendendo aijrevw: “ponhra;n g ai{resin, miaifonei`n “ (1363) una scelta delinquenziale, assassinare[48].

A questo punto c’è un colpo di scena: all’improvviso Ifigenia si converte.
Aristotele biasima questo esempio di incoerenza (paravdeigma tou' ajnwmavlou: oujde;n ga;r e[oiken hJ iJketeuvousa th' uJstevra/, Poetica 1454), infatti quella che prega non assomiglia alla successiva.
Agamennone secondo la figlia non è colpevole: non è facile per noi resistere all’impossibile: “ta; d’ ajduvnaq j hJmi'n karterei'n ouj rJa/dion “ (1370)
Achille è da apprezzare, ma anche lui non potrebbe salvarmi. Dunque: ho deciso di morire e voglio farlo eujklew`~ (1376), gloriosamente buttando via to; dusgenev~, l’ignobiltà[49]. Ignobiltà in genere è carenza di coraggio (cfr. quello che dice Antigone a Ismene (Antigone v 38) e mancanza di lealtà (cfr. Treognide)
 Ifigenia ha assunto il carattere e il ruolo dell’eroina. Leggiamone alcune frasi “ ora tutta la grandissima Grecia guarda verso di me e sta in me la traversata delle navi e l’abbattimento dei Frigi, e il non permettere più che i barbari rapiscano le fiorenti spose.
La mia gloria di liberatrice dell’Ellade sarà benedetta
Kai; ga;r oudev toiv ti livan ejme; filoyucei`n crewvn (v. 1385), non bisogna che io ami troppo la vita.
Alla madre dice: Tu mi hai partorito per il bene di tutti gli Elleni, non solo per te. pa`si gavr m j {Ellhsi koino;n e[teke~, oujci; soi; movnh (1386).
La mia unica vita non può e non deve impedire di partire a migliaia di soldati. E Achille non deve morire gunaiko;~ ei{nek j (1393) per una donna.
Un solo uomo merita di vedere la luce più di migliaia di donne Ei|~ gj ajnh;r kreivsswn gunaikw`n murivwn oJra`n favo~ (1394).

Nell’ Ifigenia in Tauride la ragazza vuole salvare Oreste a costo della propria vita e dice: “se muore un uomo ne rimane il desiderio (ajnh;r qanwvn poqeinov “, mentre i fatti di una donna sono privi di forza (ta; de; gunaiko; “ ajsqenh', 1005-1006). Poi Atena li salva.
Dunque: divdwmi sw`ma toujmo;n J Ellavdi (1397), offro il mio corpo per l’Ellade, quvet j, ejkporqei`te[50] Troivan (Ifigenia in Aulide, 1398), sacrificate, distruggete Troia.
Questo sarà il mio monumento perenne, questi i figli, le nozze, la fama[51].
L’Ifigenia in Aulide, scritta negli ultimi anni di vita del poeta, e rappresentata postuma, come le Baccanti, contiene un appello all’unità dei Greci e alla loro alleanza contro i nemici orientali: “è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi “[52], proclama la fanciulla (vv. 1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria.
La corifea le dice che il suo comportamento è nobile, mentre è malato (nosei`, 1403) quello della tuvch e della dea[53].

Nell’Edipo re il Coro denuncia il pericolo dell’empietà: va in malora il divino (e[rrei de; ta; qei'a, 910). Cfr. l’ Oedipus di Seneca dove Manto dice: acta retro cuncta (367)

La nobiltà d'animo della ragazza fa innamorare Achille, lo accende addirittura di desiderio: “ma'llon de; levktrwn sw'n povqo “ m' ejsevrcetai-ej “ th;n fuvsin blevyanta: gennaiva ga;r ei\ “ (vv. 1410-1411), di più mi prende il desiderio del tuo letto nuziale mirando alla tua natura: infatti sei nobile.
Comunque cerca di dissuaderla: a[qrhson: oJ qavnato~ deino;n kakovn (1415), considera: la morte è un male terribile.
Ma Ifigenia è irremovibile: “lascia che io salvi l’Ellade, se posso “ (1420)
Il Pelide rinnova i complimenti: w\ lh`m j a[riston (1421) o anima ottima, non posso dire più niente, se questa è la tua decisione: gennai`a gar fronei`~ (1422-1423) è nobile il tuo pensiero. Comunque se ci ripenserai, quando avrai la spada sul collo, io interverrò. Non permetterò che tu muoia ajfrosuvnh/ th`/ sh/`, per la tua folle esaltazione (1430).
Cfr. Ecuba nelle Troiane: afrosyne ha le prime lettere in comune con Afrodite.
Ifigenia chiede alla madre di non piangere: “me; mh; kavkize “, non avvilirmi (1435)
La ragazza dice a Clitennestra che, grazie alla sua primogenita, avrà gloria pure lei, la madre. Ifigenia si reputa fortunata in quanto evèrgete, benefattrice, dell’Ellade jEllavdo~ eujergevti~ (1446).
Ifigenia si sente benemerita della patria, come Cassandra nelle Troiane quando profetizza la brutta fine di Agamennone propiziata da lei, nemesi del male fatto alla sua città, dunque consolatoria per i Troiani. .
La principessa invasata vuole confortare la madre con queste parole:
“Madre, cingi il capo mio vittorioso
E rallegrati per le mie nozze regali ;
e guidami, e se per te i miei movimenti non sono bene animati,
sospingimi a forza. Se infatti il Lossia c’è,
sposerà me con nozze più amare di quelle di Elena,
l’inclito sire degli Achei, Agamennone.
Infatti lo ammazzerò, e devasterò a mia volta la sua casa
Prendendo le vendette dei fratelli e del padre mio.
Ma tralascerò alcuni orrori. Non canteremo la scure
Che sul collo mio verrà e pure di altri
E i matricidi agoni che le mie nozze
Metteranno in atto, e il crollo della casa di Atreo.
Farò vedere invece che questa città è più felice
Degli Achei, -posseduta dal dio, certo, ma tuttavia
Per il tempo necessario starò fuori dal delirio-
Costoro per una sola donna e una sola Cipride,
mentre andavano a caccia di Elena, ammazzarono innumerevoli persone.
E il comandante, il saggio, per scopi più odiosi
Mandò in rovina gli affetti più cari, sacrificando al fratello
Le gioie domestiche dei figli per una donna,
e questi obbrobri per una consenziente e non rapita per forza.
Quando poi giunsero alle rive dello Scamandro,
morivano, non perché privati dei confini della terra,
né della patria dalle alte torri. E quelli che Ares prendeva
non videro i figli, e non furono avvolti nei pepli
dalle mani della sposa, ma in terra straniera
giacciono. Gli eventi di casa loro poi accadevano simili a questi:
vedove morivano le donne, e gli uomini senza figli nelle case 380
dopo avere allevato i figli per altri; né sulle tombe
di quelli c’è chi donerà sangue alla terra (Euripide, Troiane, 353-382).

Ma torniamo a Ifigenia che invece non cerca vendetta (cfr. Schopenhauer).
Infatti chiede alla madre di salutarle le sorelle e di educare Oreste facendone un vero uomo. E di non odiare Agamennone, suo padre e sposo di lei (patevra to;n ajmo;n mh; stuvgei, povsin ge sovn, Ifigenia in Aulide, 1454)
Ma Clitennestra ribatte che Agamennone dovrà correre prove terribili (deinou;~ ajgw`na~ dramei`n, 1455) per quello che ha fatto alla figlia.
Un commo dell’Agamennone di Eschilo canta: “ejktivnei dj oJ kaivnwn “, paga chi uccide, qevmi “ gavr, è legge divina infatti (1562 ss.)
Mio padre mi ha uccisa per l’Ellade a[kwn, contro la sua volontà (1456), lo giustifica la figlia.
Ma Clitennestra replica: “ ma con l’inganno (dovlw/), in modo indegno di Atreo “.
Poi la ragazza si avvia verso il prato di Artemide. Non vuole che la madre la accompagni. E non deve piangere. Quindi Ifigenia canta un inno di vittoria più che una melodia funebre.
Invoca la rocca di Micene, fondata da Perseo. La sua terra l’ha nutrita perché fosse luce alla Grecia (J Ellavdi favo~, 1502), e lei non ricusa di morire
Con le ultime quattro parole la vittima sacrificale dice addio alla luce amata: cai`rev moi, fivlon favo~ (1509)

V Stasimo (vv. 1510-1531
Il coro di donne calcidesi prevede la morte della fanciulla che inonderà di sangue l’altare della dea sanguinaria (bwmovn ai{mono~ qea`~, v. 1514)
Viene invocata Artemide la povtnia quvmasin brothsivoi~ carei`sa (1524-1525), la signora che si compiace di vittime umane, perché conduca l’armata greca alla terra Frigia e alla perfida[54] città di Troia.

Esodo (1532-1629)
E’ il racconto di un messo che ha assistito al sacrificio.
Ha visto Ifigenia avanzare verso il bosco sacro (eij~ a[lso~, 1548). Allora Agamennone si coprì gli occhi. Piangeva. Ma la figlia lo confortava dicendo che stava offrendo volentieri (eJkou`sa, 1555) il suo corpo per la patria. Nessuno doveva toccarla: lei avrebbe offerto il collo in silenzio, coraggiosamente, di buon cuore (sigh`/ parevxw ga;r devrhn eujkardivw~, 1560).

Si ricordi che in Eschilo la ragazza veniva imbavagliata e sollevata sull’altare come una capra (divkan cimaivra~ u{perqe bwmou` Agamennone, vv. 232). Nel De rerum natura è muta metu e casta inceste (I, 98)

Poi Taltibio ordinò il religioso silenzio devoto all’esercito (eujfhmivan kai; sighvn, 1564)
Calcante estrasse la spada affilata (ojxu; favsganon, 1566) e incoronò la ragazza.
Achille pregò chiedendo la buona riuscita dell’impresa.
Gli Atridi e tutto l’esercito rimasero immobili con gli occhi fissi a terra.
Infine c’è l’improbabile happy end, presumibilmente non euripideo o per lo meno rimaneggiato. Non compare la dea ex machina.
Quando il sacerdote stava per colpire, avvenne un prodigio (qau`ma, v. 1580)
Invece della ragazza stesa a terra c’era una cerva (e[lafo~, v. 1591): gli astanti videro sull’ara una cerva montana (e[lafon bwmivan ojreidrovmon, 1597).
Calcante disse che quell’animale, quale vittima, piaceva alla dea più della ragazza. Il messo dice alla madre: Tua figlia è volata chiaramente verso gli dèi (1612)

Nell’ Ifigenia in Tauride del 413, la protagonista racconta che i Greci la sgozzarono in Aulide, ma Artemide miracolosamente la salvò e la portò fra i Tauri dove regna Toante che ne ha fatto la sacerdotessa della dea perché presieda ai sacrifici.
Ifigenia fra i Tauri ricorda come i Greci la scannarono agli ordini di un sacerdote che poi era suo padre.
I Danai mi sgozzavano afferrandomi come una giovenca (w{ste movscon ceirouvmenoi/ e[sfazon, 359/360
Aggiunge di non credere che tali nefandezze, come pure il banchetto di Tantalo, siano imputabili agli dei (ta; Tantavlou qeoi`sin eJstiavmata-a[pista krivnw, paido;~ hJsqh`nai bora`/ (vv. 388-389). Penso che la gente di qua attribuisca la propria malvagità alla dea, poiché sono loro degli assassini. Nessun dio, infatti, può essere cattivo (Ifigenia in Tauride, 390-391).

Ma concludiamo l’Ifigenia in Aulide. E’ già tempo.
 Il messo dunque dice alla madre che tutto è andato bene e che sua figlia è volata presso gli dèi (hJ pai`~ safw`~ soi pro~ qeou;~ ajfivptato, 1612).
La salvezza di Ifigenia è, secondo Hegel “il razionale “ della vicenda.
“Presso gli antichi certo anche il sacrificio umano, nella sua ingiustizia, si presenta come collisione, come p. es. nella storia di Ifigenia, che deve prima essre sacrificata e poi deve sacrificare il fratello stesso; ma da un lato questo conflitto è qui connesso con altri rapporti in sé legittimi, dall’altro il razionale qui consiste, come abbiamo già notato, nel fatto che sia Ifigenia che Oreste sono salvati ed il potere di quella ingiusta collisione è infranto “[55].
Clitennestra però non è convinta. Chiede alla figlia scomparsa di quale dio sia stata furto (klevmma, 1617). Non è certa che la storia del messo non sia un racconto inventato per consolarla invano (paramuqei`sqai mavthn, 1619) perché smetta di lamentarsi.
Aristotele scrive di Euripide che “ tragikwvtatov “ ge tw'n poihtw'n faivnetsai “ (Poetica 1453a, 30) appare il più tragico dei poeti. Probabilmente perché non offre alcuna consolazione rispetto alla miseria della condizione umana.
Agamennone naturalmente conferma l’apoteosi della figliola e rimanda a casa la moglie con il bambino. Dice alla moglie: “donna, per nostra figlia possiamo essere felici: vive in compagnia degli dèi. La saluta e le dà un arrivederci al ritorno da Troia: “kai; gevnoito soi kalw`~ (1625), sembra ironico
Il Coro augura buona fortuna ad Agamennone
Un lieto fine che suona falso. La fortuna infatti non sarà buona.
Esiodo nel Catalogo delle donne scrive che Afrodite amica del riso punì le figlie di Tindaro in quanto il padre aveva trascurato la dea: Clitennestra lasciato Agamennone giacque con Egisto, scegliendo un compagno di letto peggiore, mentre Elena disonorò il talamo del biondo Menelao ((4, 5-7).


giovanni ghiselli






[1] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca, “ per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male-insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva “ G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.
[2] Il mito è sempre una “immagine concentrata del mondo “ (Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151). Mircea Eliade scrive che il mito racconta le origini e il rito cerca di riprodurle per rinnovare il mondo e purificarlo
[3] Fedra 1127. Il IV coro formato da Ateniesi dice: “ minor in parvis fortuna furit-leviusque ferit leviora deus-servat placidos obscura quies-praebetque senes casa securos “ (1123-1127), meno infuria la sorte sugli umili, dio colpisce più leggermente le cose più leggere; una quiete oscura mantiene tranquilli e una capanna presenta vecchi privi di affanni.
[4] Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca, “Dioniso “ 1981., p. 360.
[5] Cfr. Antigone: ajll’ oi\d j ajreskous j oi|~ mavlisq j aJdei`n me crhv “ (v. 89).
[6]Lanza, op. cit., p. 53.
[7] l’Elena (del 412) è una tragedia anomala, a lieto fine, che evidenzia l’assurdità della guerra di Troia combattuta per un fantasma. Tale giudizio contro la guerra si trova anche alla fine dell’Elettra euripidea, quando Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d j, wJ “ e[ri “ gevnoito kai; fovno “ brotw'n, - ei[dwlon JElevnh~ ejxevpemy j ej~ [Ilion “ (Elettra, vv. 1282-1283), ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
Alla fine dell’Oreste, Apollo apparso ex machina svela gli arcana del governo divino e rivela a Menelao che Elena non è stata uccisa ma assunta in cielo: “Io la salvai e la strappai dalla tua spada, dopo averne ricevuto l'ordine dal padre Zeus. Infatti, come figlia di Zeus bisogna che viva eternamente; in compagnia di Castore e Polluce starà nelle volute dell’etere, salvezza per i marinai. Tu prenditi un'altra sposa e tienila in casa poiché gli dèi con la bellezza di costei indussero a scontrarsi Elleni e Frigi e causarono molte morti, per togliere alla terra l'oltraggio della ridondante massa dei mortali “(Oreste, vv. 1633-1642). Così conosciamo la causa della guerra, e vediamo che gli uomini muoiono per i piani degli dèi.
C’è dunque una divergenza (gap) tra la percezione dei personaggi e la verità rivelata da Apollo.
 “Sì sì, lei non era qui “. Dice di Elena la Cassandra di Christa Wolf. E aggiunge: “Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta “
[8]Intorno alla Concordia fr. 49 Untersteiner.
[9] L'amore ai tempi del colera, p. 222.
[10] Cfr. Medea 1227-1230. Nessuno è eujdaivmwn, uno può essere eujtucevstero~, più fortunato di un altro quando passa un’onda di prosperità, ma felice nessuno. Sono le parole conclusive del Messo che ha raccontato la fine di Creonte e della figlia uccisi dai doni di Medea
[11] I primi tre libri delle Odi uscirono nel 23 a. C.
[12] Cfr. Seneca Ep. 120 magnam rem puta unum hominem agere
[13]Purgatorio XVI, 103-105.
[14] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 298.
[15] Cfr. Lo squillo iniziale del primo Stasimo dell'Antigone: “polla; ta; deina; koujde;n ajn-qrwvpou deinovteron pevlei “ (vv. 332-333), molte sono le cose inquietanti e nessuna è più inquietante dell'uomo.
 “Alla luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema (cfr. pro-bavllw, getto davanti); assume la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~, nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso “ J. P. Vernant, Tra mito e politica, p. 253.
Cfr. Heidegger, Introduzione alla Metafisica: das Un-heimliche l’inquietante è ciò che estromette dalla tranquillità. heimlich tranquillo. “L'umanità produce Bibbie e cannoni, tubercolosi e tubercolina “ R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 22. 
[16] “Oh quanto è sottile e invisibile quasi la differenza che passa fra il seme delle nostre virtù e dei nostri vizi! “ (Vittorio Alfieri, Vita, 1, 5).
[17]Certame Omerico, in Verità e menzogna e altri scritti giovanili, p. 117 e 120.
[18] DI Benedetto, Euripide teatro e società, p. 228.
[19] Sono mostri che adescano i naviganti con la malìa del loro canto per poi ucciderli. Per attirare Odisseo gli dicono che chi fa sosta da loro riparte pieno di gioia e conoscendo più cose ( “kai; pleivona eijdwv “ “, Odissea, XII, 188). Ma il figlio di Laerte, unico tra gli uomini, riesce a udire il canto delle Sirene senza esserne annientato. Come nel caso di Circe, come in quello dell'accesso all'Ade, egli sa che cosa deve fare, e di fronte alle Sirene escogita uno stratagemma: tappa gli orecchi dei suoi marinai e si fa legare all'albero della nave.
[20] Andromaca.
[21] Nel terzo episodio Peleo aveva detto: “novqoi te polloi; gnhsivwn ajmeivnone “ (v. 638), molti bastardi sono migliori dei figli legittimi. Si può pensare all'elogio dei bastardi pronunciato da Edmondo, il figlio illegittimo (di Gloster) che nel Re Lear si presenta come devoto adoratore della dea natura. “Thou, Nature, art my goddess “. Bastardo dunque, secondo la natura, è un titolo onorifico: “ noi nel gagliardo furto di natura prendiamo una tempra più solida maggior fierezza di carattere rispetto ai gonzi generati tra il sonno e la veglia in un letto freddo, frollo e fiacco (I, 2).
[22] dalla radice klei- su cui si forma anche kleivw, “chiudo “, kleiv “, “chiave “. La corrispondente radice latina è clau-/clav- sulla quale si basano claudo, “chiudo “, clavis, “chiave “, clavus, “chiudo. Interessante è il motivo della chiusura. Il verbo fulavssw è stato impiegato da Ermione pochi versi prima (v. 939) per biasimare il controllo della donna sull'uomo; nei confronti delle mogli invece si devono usare mezzi di clausura. La donna va chiusa in casa anche perché non rubi, la roba del maschio, oltre che l'onore: infatti Esiodo, “l'inventore “ dell'antifemminismo afferma che fidarsi delle donne è rischioso come fidarsi dei ladri: “o{ “ de; gunaiki; pevpoiqe, pepoiq' o{ ge fhlhvth/sin “ (Opere, 375).
[23] La colpa morale diventa novso “, una malattia contagiosa come quelle del corpo, anzi tale che spesso passa dall'anima al corpo. Se tale infermità psico-fisica appartiene a un capo, o a un personaggio di rilievo, essa dilaga sulla comunità per il principio della responsabilità collettiva. Ne abbiamo già parlato commentando il v. 16 della Medea (pp. 135-141). Il tovpo “ del principio della responsabilità collettiva si trova anche nella Medea di Christa Wolf che reinterpreta la donna della Colchide quale capro espiatorio dell' u{bri “ di un popolo dominato e manipolato da assassini: “Lissa si rendeva conto come me che una specie di malattia cronica aveva colpito Corinto e che quasi nessuno aveva l'intenzione di andare a fondo di quella malattia…La risposta per lei era evidente. Nella vostra presunzione, disse. Vi sollevate sopra tutto e tutti, ciò altera il vostro giudizio sul reale, e anche su come siete realmente…Ma insieme al peso impostomi dal destino di Medea, provai pietà per i Corinzi, popolo di miseri traviati che sapevano liberarsi dalla paura della peste e della minaccia dei moti celesti e della fame e dei soprusi del palazzo solo scaricando ogni responsabilità su quella donna “ (Medea, p. 168 e p. 213). Queste parole fanno parte di due degli undici monologhi che costituiscono il romanzo, quelli di Leuco, il secondo astronomo del re di Corinto. 
[24] Battuta di pessimo gusto. Perdonabile solo perché Achille è un ragazzo.
[25] Osservazioni sulla morale cattolica (del 1819), Prefazione
[26] Così Ulisse nel XIV dell’Odissea (440) dice a Eumeo: “possa essere caro a Zeus, tu che onori con il meglio me in tale stato “
Il porcaro aveva detto: “portate il più bello dei porci, affinché io lo sacrifichi per l’ospite di terre lontane (414).
[27] Cfr. Carme 64 di Catullo.
[28] Un figlio di Tieste
[29] Aoristo di diamavw. Un sostituto simbolico della deflorazione.
[30] Cassandra ovviamente.
[31] Aoristo di ejpeisfrevw. Si noti ancora la presenza del letto.
[32] Il quale del resto non è riuscito a salvare la vita di Euridice. Anche Admeto nell’Alcesti vorrebbe essere Orfeo per salvare la moglie, e forse in questo caso Euripide ci ha messo pure dell’ironia.
Nell’Alcesti, Admeto fa un' ipotesi (irreale) sulla salvabilità della moglie da parte sua:
 “E se io avessi la lingua e il canto di Orfeo, 357
così da poterti strappare all'Ade affascinando
con i canti o la figlia di Demetra o lo sposo di quella,
vi scenderei e il cane di Plutone né
Caronte, il traghettatore di anime curvo sul remo
potrebbero trattenermi, prima che avessi riportato la tua vita alla luce “(362).
In questa evocazione del cantore tracio, Kott trova dell'ironia: “anche il più ignorante degli spettatori sapeva che Orfeo non era riuscito a portare Euridice fuori dagli inferi “. Egli infatti non seppe aspettare: si girò indietro e la perdette.
Non solo: qualche decennio dopo l'Alcesti, Platone nel Simposio racconta che Orfeo non piacque agli dèi e non riebbe l'amata Euridice “ o{ti malqakivzesqai ejdovkei... kai; ouj tolma'n e{neka tou' e[rwto “ ajpovqnh/skein w{sper [Alkhsti “ “. (179d) poiché sembrava essere vile e non osare morire per amore come Alcesti.
 “Euripide è stato straordinariamente perfido “, commenta Kott, “Admeto non solo dimentica che il cantore trace non è riuscito a recuperare la moglie, ma non gli viene in mente di assomigliargli per la sua codardia “(Mangiare Dio, p. 133).
[33] C’è la compassione di Euripide per il giovane che muore ante diem. Verrà riproposta da Virgilio.
[34] Cfr. il Vangelo di Giovanni(3, 19): “kai; hjgavphsan oiJ a[nqrwpoi ma'llon to; skovto “ h]]to; fw' “: h\n ga;r aujtw'n ponhra; ta; e[rga “, e gli uomini preferirono la tenebra alla luce; infatti le loro opere erano malvagie. Non vengono nella luce ut non arguantur opera eius, perché le loro opere non vengano denunciate ossia non diventino ajrgav (lucenti).
[35] Cfr. lo qavlo~, il virgulto cui Odisseo paragona Nausicaa.

[36] Sui dolori del parto insiste anche Medea:

 “ Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli

 in casa, mentre loro combattono con la lancia,

 pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo

 preferirei stare che partorire una volta sola “. (vv. 248- 251)

[37] Il piangere, come scarso controllo, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio: nelle Troiane (del 415) il Coro commenta le lacrime sopra lacrime (davkruav t j ejk dakruvwn, v. 605) versate per le case distrutte, in tale modo: “come sono dolci le lacrime (wJ “ hJdu; davkrua) per quelli che vivono male/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore “(Troiane, 608-609).
[38] Cfr. Odissea XI, 488 con la medesima opinione
[39] infinito atematico con desinenza -men (considerato un eolismo come vedremo) del verbo qhteuvw che significa “lavoro come salariato, qhv “ “; ebbene, commenta M. Finley, “Un thes, non uno schiavo, era l'ultima creatura sulla terra che Achille potesse pensare. Il terribile per un thes era il fatto di non avere legami, di non appartenere a nulla “ (Il mondo di Odisseo, p. 39).
[40]F. Codino, Introduzione a Omero, p. 128.
[41] Franco Montanari, Prima lezione di letteratura greca, Laterza, 2003, p. p. 17-18,
[42] Zibaldone, 4399.
[43] Medea aveva detto a proposito della graduatoria tra ragione e sentimento: “ Kai; manqavnw me;n oi\\\a dra'n mevllw kakav, -qumo; de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, -o{sper megivstwn ai[tio kakw'n brotoi' “(vv. 1078-1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione, che è causa dei mali più grandi per i mortali.
[44] The Anatomy of human destructiveness, pp. 241-242.
[45] Cfr, Duvspari, pessimo Paride, Iliade, III, 39
[46] Nell’Agamennone di Eschilo, Elena è la donna fatale e letale “che porta in dote a Ilio la distruzione “(v. 406)
Ecuba nelle Troiane che dice a Menelao: “ ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio. Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le case ( “ejxairei' povlei “, -pivmprhsin oi[kou “ “, vv. 891-892). Euripide qui probabilmente ricorda “ JElevnan ejpei; prepovntw “ eJlevna “, e{landro “, eJlevptoli “ “, Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv. 689-691) di Eschilo. Nel secondo stasimo dell'Agamennone il coro presenta i diversi aspetti di questa splendidissima donna: “ Chi mai diede un nome così del tutto vero… ad Elena le cui nozze furono causa di guerra, donna oggetto di contesa poiché chiaramente distruggitrice di navi (eJlevna “), di uomini (e[landro “), di città? (eJlevptoli “)? Secondo la credenza antica del nomen-omen Eschilo etimologizza in maniera fantasiosa il nome dell'adultera connettendone la prima parte con il radicale eJl- (cfr. l'aoristo ei|lon di aiJrevw, “tolgo di mezzo “). Nella seconda parte vengono ravvisate, non senza forzatura, le parole nau'~, ajnhvr e ptovli “. Quando giunse a Ilio, la splendidissima era come: “un pensiero di bonaccia senza vento-frovnhma nhvnemon galavna “, un tranquillo ornamento di ricchezza, un tenero dardo degli occhi, un fiore d'amore che morde l'animo; ma poi, mutata, compì l'amaro fine del matrimonio, funesta compagna e funesta amante, scagliatasi contro i Priamidi scortata da Zeus protettore degli ospiti, Erinni che reca pianto alle spose “(numfovklauto “ jErinuv “, Agamennone, vv. 739-749).
[47] Anticlea avrebbe sposato Laerte quando era già incinta di Sisifo
[48] Nell’Ecuba, il Coro avverte la protagonista che Odisseo sta arrivando per strappare la puledra dalle mammelle della madre, per rimuoverla dalla vecchia mano (141-143)
In questa Ifigenia in Aulide il farabutto di Itaca intende trascinarla via per la bionda chioma (v. 1366)
[49] E’ diventata come la principessa troiana Polissena che, nella tragedia Ecuba, dice alla madre: per chi non è abituato a mali oltraggiosi è meglio morire: “to; ga;r zh'n mh; kalw' “ mevga “ povno “ “ (v. 378), infatti vivere senza bellezza è un grande tormento. Altrettanto Alcesti.  Nel Simposio Platone fa dire a Diotima, la professoressa dell’amore, che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita, non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la fama della loro virtù ( “ajqavnaton mnhvmhn ajreth' “ pevri eJautw'n e[sesqai “, 208d). Tutti fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ( “uJpe;r ajreth' “ ajqanavtou kai; toiauvth “ dovxh “ eujkleou' “ “). In effetti il coro dell'Alcesti di Euripide elogia l'eroina morente con queste parole: “ i[stw nun eujklehv “ ge katqanoumevnh-gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/ “(Alcesti, vv. 150-151), sappia dunque (Al cesti stessa) che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole. Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ( “oJ fuvsa “ chJ tekou'sa “, v. 290), poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ( “kalw' “ de; sw'sai pai'da keujklew' “ qanei'n “, v. 292). Alcesti è “fida “ come lo sono in battaglia i compagni pronti a morire per il capo. La scala dei valori è quella eroica della tradizione aristocratica.
Anche Macaria, la figlia di Eracle si sacrifica mirando non solo alla salvezza dei fratelli ma pure alla gloria: “eu{rhma ga;r toi mh; filoyucou's jejgw;-kavlliston hu{rhk j, eujklew'~ lipei'n bivon “ (Eraclidi, vv. 533-534), certo io che non amo la vita ho trovato una bellissima scoperta: lasciare gloriosamente la vita. Così pure Meneceo il figlio di Creonte nelle Fenicie. Il giovane si sacrifica contro la volontà del padre per la salvezza di Tebe attaccata dai Sette. Secondo Jaeger questa aspirazione alla gloria e alla perfezione della virtù viene intesa da Aristotele “quale emanazione d'un amor di sé elettissimo, la filautiva “. L'espressione si trova nell'Etica Nicomachea che seguita con questo brano: “Invero vivere breve tempo in somma gioia sarà preferito, da chi sia animato da tale amor di sé, ad una lunga esistenza in pigra quiete. Egli vivrà piuttosto un anno solo per uno scopo elevato, che non condurre una lunga vita per nulla. Compirà piuttosto un'unica magnifica e grande azione, che non molte insignificanti “[49]. L'autore di Paideia conclude così: “ In queste parole è espressa la fondamentale concezione della vita dei Greci, nella quale ci sentiamo loro affini d'indole e di razza: l'eroismo “ Paideia, I vol., pp. 46 e 47. Queste donne, compresa Medea che ammazza per non essere derisa, hanno la tempra eroica di Achille, di Ettore e di Aiace.
[50] Ma cfr. Poseidone nel Prologo delle Troiane.
 “E’ stolto tra i mortali chi devasta le città mw'ro “ de; qnhtw' o{sti “ ejkporqei' povlei “,
consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri 95
dei morti: egli stesso dopo è già morto “
[51] Altrettanto Macaria negli Eraclidi: “tavd j ajnti; paidwn ejstiv moi keimhvlia (591), questi saranno i ricordi della mia vita invece dei figli.
[52] Demostene nella III Olintiaca (348, dove vuole convincere gli Ateniesi a soccorrere la città della Calcidica contro Filippo di Macedonia) scrive che una volta agli Ateniesi obbediva il re di Macedonia ed era giusto essendo un barbaro che obbedisse ai Greci (24)
[53] Cfr. Troiane 27 dove Poseidone dicer nosei` ta; tw`n qew`n, sono malate le faccende degli dèi. 
[54] Cfr. Lisandro e l’ alleanza tra i perfidi Spartani e i Persiani
[55] Hegel Estetica, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978, pp. 290-291

1 commento:

  1. Io Agamennone non lo sopporto....ragiona come se le donne della sua casa siano sue proprietà. Lo trovo un pessimo esempio di uomo e di padre,anche se è molto attuale come figura maschile : altilenante ,spocchioso e volubile nei sentimenti. Giovanna Tocco

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