martedì 30 giugno 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XIII


Aspetti di pietas autentica. Contro l’insepoltura (Odisseo nell’Aiace) e contro i sacrifici umani (l’Ecuba di Euripide, le Troiane di Seneca). Contro la pena di morte. Chi ha voluto uccidere Saddam Hussein non è migliore di lui.

E' vero che la disumanità di Enea ricorda quella di Achille nell'Iliade[1], ma, volendo rappresentare un personaggio pio, sarebbe stato più congruo utilizzare come modello l'Odisseo dell'Aiace di Sofocle, quando l'Itacese suggerisce ad Agamennone di non lasciare il suicida spietatamente insepolto (v. 1333), poiché così facendo distruggerebbe le leggi degli dèi[2] (vv. 1343-1344). Infatti, se fu nobile odiare ( "misei'n kalovn" v. 1347) Aiace nel pieno della sua forza, e lui, Odisseo, allora lo ha fatto (e[gwg j ejmivsoun, v. 1347) sarebbe un successo indegno (v. 1349) oltraggiare il cadavere di un uomo che è stato un nemico (" ejcqrov"") sì, però valoroso ("gennai'o"", v. 1355).
Ma non è facile che un tiranno abbia pietà, replica Agamennone: “Tov toi tuvrannon eujsebei'n ouj rav/dion” (v. 1350). Nel caso specifico si tratta
Di quella pietà che impedisce di manifestare gioia per la morte di un nemico.
Il figlio di Laerte lo aveva già messo in rilievo nell'Odissea, quando la sua nutrice Euriclea aveva urlato la sua felicità per la morte dei proci. Le aveva ordinato di non esultare poiché non è pietà ("oujc oJsivh") far festa sugli uomini uccisi (XXII, 411-412) [3].
Contro i sacrifici umani si esprime umanamente, ancor più che umanisticamente[4], la vecchia regina troiana nell'Ecuba di Euripide che accusa la disumanità dei demagoghi rappresentati da Odisseo: "Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano/presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?(vv. 254-261). Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia Polissena con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita: "mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Anche l’assassina Clitennestra, alla fine dell’Agamennone ha orrore del sangue: a Egisto che vorrebbe uccidere ancora, o essere ucciso, dice: “mhdamw'~, w\ fivltat j ajndrw'n, -a[lla dravswmen kakav. - ajlla; kai; tavd j ejxamh'sai-polla; duvsthnon qevro~: -phmonh'~ dj a{li~ g j: u{parce-mhdevn: hJ/matwvmeqa” (vv. 1653-1658), no, per niente, carissimo tra gli uomini, non facciamo altri mali. Anche questi sono molti da mietere, misera messe. Basta sciagure. Non cominciare nulla: siamo coperti di sangue.
What bloody man is that?[5]
Nelle Troiane di Seneca Agamennone prende una posizione analoga contro lo spietato Pirro che esige il sacrificio di Polissena: "Quidquid eversae potest/superesse Troiae, maneat: exactum satis/poenarum et ultra est. Regia ut virgo occidat/tumuloque donum detur et cineres riget/et facinus atrox caedis ut thalamos vocent, /non patiar. In me culpa cunctorum redit: /qui non vetat peccare, cum possit, iubet " (vv. 285-291), tutto ciò che può sopravvivere di Troia sconvolta, rimanga: è stato fatto pagare abbastanza in fatto di pene e anche troppo. Non sopporterò che la ragazza figlia della regina muoia, e la sua vita sia donata a una tomba, e spruzzi di sangue le ceneri, e chiamino cerimonia nuziale il crimine atroce di un assassinio: la colpa di tutti i misfatti ricade su me: chi non impedisce un delitto, quando può, è come se lo avesse ordinato.
Se deve essere fatto un sacrificio in onore di Achille, continua il dux, "caedantur greges/fluatque nulli flebilis matri cruor " (vv. 296-297), si ammazzino animali del gregge e scorra il sangue che non faccia piangere nessuna madre umana.
Eppure c’è ancora chi considera la pena di morte un atto di giustizia e plaude ai bombardamenti sulle abitazioni umane in nome della democrazia.
Chi ha voluto uccidere Saddam e altri, pure colpevoli, a sangue freddo, non è migliore di loro.





[1] XXII, 352-354.
[2] Questo principio è il motivo della contesa tra Antigone e Creonte nell’Antigone di Sofocle e nelle successive.
[3] Il divieto di gioire per la morte del nemico è un tabù antico secondo Freud il quale in Totem e tabù indica alcune culture primitive che ne conservano manifestazioni evidenti: "nell'isola di Timor.. viene eseguita una danza, accompagnata da un canto in cui si piange il nemico abbattuto e si chiede il suo perdono"(p. 58).
[4] Cfr. T. Mann, La montagna incantata, II, p. 239.
[5] Shakespeare, Macbeth, I, 2, Chi è quell’uomo insanguinato?

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