lunedì 22 giugno 2015

L'inizio del lavoro di insegnante. VII parte


Le lezioni all’aperto. La censura del preside. I presidi non devono avere potere di vita e di morte scolastica sui docenti


Alla fine gli ignoranti e gli imbecilli, i tirannelli timorati e quelli del tutto malvagi non hanno prevalso, non su di me. Quando ero giovane però, con certi presidi e colleghi anziani, per me, un uomo diverso dalla plebe dei benpensanti incolti, ostili allo spirito, è stata dura.
E’ criminale la volontà, presente e viva in troppi dirigenti ignoranti, di spegnere l’entusiasmo educativo dei giovani insegnanti non asserviti alla volgarità del luogo comune che identifica la cultura con i tecnicismi delle lingue, con l’apprendimento mnemonico dei manuali e con le risposte ai quiz preparati da altri ignoranti.
In quel primo tempo del mio lavoro di educatore, gli ultimi mesi dell’anno di mia salvazione 1969, qualche volta di notte, spengendo la “fioca lucerna”[1] situata sul comodino accanto al letto, pensavo, o addirittura dicevo: “domani mi uccido”, ricordando una scena del film Fuoco fatuo di Louis Malle, non senza ironia, eppure una volta che mi ero disteso sul “conscio letto”[2], dovevo aggiungere un incoraggiamento a me stesso per non vegliare troppo a lungo in assidui terrori[3]: “O tu, che hai subito dolori più gravi, darà un dio anche a questi una fine. Resisti e salvati per gli eventi propizi”.
Dopo Malle e Drieu La Rochelle, ricordavo, come si vede, Leopardi, Virgilio[4] e Omero[5] studiati per gli esami universitari pensando non solo al voto ma anche al fatto che mi avrebbero aiutato nelle difficoltà della vita quali maestri, amici e parenti.
Conforto e aiuto ricavavo anche dalla bellezza della natura e dall’ordine dell’universo. Se l’inverno incombeva o pure infuriava, la primavera non era lontana. Sopra la nebbia c’erano pur sempre le stelle. E sulla terra vivevano donne belle, fini, profumate che mi spettavano e mi aspettavano. Gli ignoranti osceni, i perfetti imbecilli, i sordidi profittatori non l’avrebbero avuta vinta.
Il primo giorno di scuola andai dunque a eseguire l’ordine assurdo del preside rifacendo il telegramma spedito da Pesaro due giorni prima. Aggiunsi però che avevo già preso servizio a Carmignano “sul” Brenta. L’impiegata mi corresse: “Guardi che qui siamo a Carmignano “di” Brenta; “sul” Brenta è Piazzola”.
Sbagliavo anche il nome del paese. Segno che dovevo andarmene, tornare a Bologna al più presto. La mia vita era là. Su questo ero d’accordo con il preside quella mattina lontana.
Colui fece alcune visite in classe dove entrava senza bussare né togliersi il cappello, dopo di che ammise, bontà sua, che studiavo e mi preparavo, ma non smise di dire che non mi confacevo alla “sua” scuola: con la mia impostazione dovevo insegnare alle superiori. Non capiva che i grandi autori spiegati con chiarezza da chi li conosce, educano e insegnano più di quelli men che mediocri o addirittura insignificanti raccomandati da lui.
Io non gli diedi retta e alla fine dell’anno ricevetti la qualifica punitiva di “Valente” invece dell’ovvio “Ottimo” preso da tutti gli altri.
Feci ricorso e volli vedere la motivazione della sentenza del tutto infondata e arbitraria. Il pover’ uomo aveva scritto: “assume atteggiamenti che non si confanno alla dignità della scuola”.
Questo perché nei pomeriggi di maggio, il maggio assai bello e odoroso del 1970, portavo la mia terza a fare gite ciclistiche a Marostica e là, nel prato verde smeraldo del castello alto, ripetevamo gli autori studiati per l’esame di giugno. Ovviamente gratis e per amore: dello studio, dei ragazzini, della bicicletta e di me stesso. Talora si aggregavano altre terze e facevamo un bel gruppo di persone contente.
Si ripassava per l’esame, ma non solo. Cantavamo anche: Bella ciao o La guerra di Piero di Fabizio de Andrè o Come un sasso che l’acqua tira giù. Veniva con noi anche un bravo collega di matematica, una cara persona; Peppino Graziani. Un paio di anni fa quei ragazzini diventati oramai sessantenni ci invitarono a cena a Carmignano di Brenta e dissero: Ghiselli e Graziani, peppino e gianni, siete la nostra storia”.
“La mia storia di educatore-replicai-non poteva avere un inizio migliore che qui, con voi. Se non vi avessi incontrato all’inizio della mia missione probabilmente sarei diventato meno bravo e meno buono”.
Una mattina del giugno 1970 il preside mi chiamò nel suo ufficio cupo che peraltro in quei giorni, i più belli dell’anno, si rallegrava di luce, ma lui, con gravità e compunzione tetre disse: “Professore, il paese mormora contro di lei e anche contro di me che non intervengo”.
“Che cosa dice?” gli feci assumendo un’aria stupita, ma sapevo bene a cosa alludeva conoscendone ormai i pensieri e i sentimenti meschini.
“Mormora, mormora. Voci. Una parola qua, una parola “à”[6]. Lei, Graziani, due professori giovani, le vostre gite a “Marostega” in bicicletta con tante “tosette”. Professore, noi non siamo ciechi, non siamo sordi, non siamo muti, e soprattutto non siamo stupidi. Lei ha oltrepassato i limiti. Ci saranno conseguenze, Noi abbiamo capito le sue intenzioni nascoste e la sua politica eversiva. Immagino che abbia votato Psiup”.
“Il voto sarebbe segreto, comunque è vero, ho votato Psiup”.
“Carmignano non è la Russia che forse le piace, non è nemmeno la rossa Bologna che le piace senz’altro, Faccia un piacere a me e a se stesso, ci torni! Qui noi siamo religiosi e abbiamo una salda coscienza morale. Comunque lasci perdere quelle ambigue passeggiate ciclistiche con le ragazze”.
“Ma che ambigue-risposi- e quali ragazze? Io con il collega e amico Graziani, approfittando della stagione particolarmente buona di quest’anno, facciamo lezione all’aperto, in campagna agli allievi della scuola media Ugo Foscolo dove insegniamo. Io pratico e amo la bicicletta dalla mia prima elementare. Che cosa diavolo vogliono i furfanti bigotti di questo paese?”
Poi, per spiazzarlo del tutto, citai il Nuovo Testamento in greco: “h] oJ ojfqalmo" sou ponhrov" ejsti o{ti ejgw; ajgaqov" eijmi;;;”[7].
Così in greco gli diedi del tu.
Colui non capì e bofonchiò: “Cossa vu to” rendendomi il tu non solo spregiativo ma anche cameratesco. In fondo non ci volevamo male del tutto. Lo affermo ora dopo l’esperienza di presidi intenzionati molto peggio di questo.
Quindi il pur non pessimo[8] Zanini aggiunse: “Professore lei da me è perseguibile 24 ore su 24, a ogni ora e in ogni luogo”,
Et persequemini de civitate in civitatem[9], chiosai. Quindi spiegai: “Cristo si rivolge agli scribi e ai farisei ipocriti simili ai sepolcri imbiancati. Costoro perseguiteranno i profeti e i sapienti mandati dal Signore stesso”
“Cossa vu to. La smetta di andare a Marostega con le femmine, oppure le mando una censura scritta, una nota di biasimo che le rovinerà la carriera scolastica”
Dat veniam corvis, vexat censura columbas[10], risposi
“Cossa vu to”.


giovanni ghiselli 
continua

p. s.
Renzi vorrebbe dare a certi dirigenti, e questo, ripeto, non era dei peggiori, potere di vita e di morte scolastica sui docenti. A Carmignano e spesso pure a Bologna i professori considerati migliori dai presidi erano quelli più simili a loro, ossia più docili agli ordini delle famiglie abbienti e potenti.

p. p. s.
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[1] Leopardi, Le Ricordanze, 115.
[2] Leopardi, Le Ricordanze, 114. Il Recanatese ha ricavato questa callida iunctura da Apuleio, Metamorfosi, I, 16: gratabule (…) conscius et arbiter quae nocte gesta sunt.
[3] Cfr. Leopardi, Le Ricordanze, 54.
[4] Cfr. Eneide, I, 199 (O passi graviora, dabit deus his quoque finem) e 207 (Durate et vosmet rebus servate secundis).
[5] Odissea, XX, 17 tevtlaqi dhv, kradivh: kai; kuvnteron a[llo pot j e[tlh~, sopporta, cuore, hai già sopportato altri cani peggiori. E di ben peggiori ne avrei sopportato più avanti, a Bologna
[6] Dialettale per “là”, come poi “Marostega” per “Marostica”.
[7] N. T., Matteo, 20, 15, forse il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?
[8] Un altro, tal Magnani, qui a Bologna chiamò in tre anni contro di me due ispettori che lo sbugiardarono in malo modo. Se è vivo costui merita la galera, se è morto la damnatio memoriae.
[9] N. T. Matteo, 23, 34, e perseguiterete di città in città.
[10] Giovenale, II, 63, la censura lascia impuniti i corvi e tormenta le colombe. 

1 commento:

  1. Con la "buona scuola" chi non si conforma alle aspettative metodologiche dei collegi può fare le valigie e tornare a casa....come nella scuola privata,chi non si conforma alle richieste dei genitori e della dirigenza è fuori. Giovanna Tocco

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