lunedì 24 agosto 2015

I bravi maestri


io durante una conferenza
Eugenio Scalfari in “la Repubblica” del 23 agosto 2015 cita papa Francesco: “Il mito di Ulisse ci parla del “nostos algos”, la nostalgia, che può provare soddisfazione solo in una realtà infinita” (Quando un Papa cita Ulisse e si oppone al potere temporale, p. 27).
A dire il vero Odisseo aveva nostalgia della piccola Itaca e non di una realtà infinita. Non poche volte i Greci sono citati quasi a vanvera, data la scarsa conoscenza dei loro testi.
Scalfari continua: “Che io sappia nessun Papa aveva evocato il mito odisseaco, l’eroe moderno per eccellenza che Dante, pur collocandolo all’inferno, eleva alle vette più alte del pensiero”. Segue la citazione piuttosto scontata e ovvia di “Considerate la vostra semenza” et cetera.
Parole, quelle di Scalfari, che non dicono molto.

Nella Domenica di “Il sole 24 ore” del 23 agosto c’è un altro articolo che poteva non essere scritto: Lamento di Orazio sul maestro (p. 22). E’ la storia del plagosus Orbilio  che una volta era nota a qualsiasi studente di Liceo. L’autore, Alessandro Banda, ricorda dunque che il maestro di Orazio picchiava gli allievi distratti: “Li motivava adeguatamente. Come? A suon di sganassoni. O meglio: di nerbate. Orazio, a tanti anni di distanza, descrive il maestro con un unico aggettivo: manesco, in latino plagosus. In effetti plagosus viene da plaga: ferita. Orbilio non metteva le mani addosso direttamente. Sr serviva della ferula, della verga tipica dei maestri e con quella provocava lividi e ferite agli inermi studenti. Forse si potrebbe rendere quel plagosus con un più ardito “contundente”. Orbilio maestro contundente”.
Fin qui l’articolista ha fatto un poco di cronaca pettegola a tratti quasi triviale, ma più avanti entra nel merito degli auctores. Vediamo come: “E’, crediamo, abbastanza istruttivo notare come, pur con tutte le differenze del caso, sia rimasta ancor oggi la situazione fondamentale descritta da Orazio: la repulsione dei giovani verso i testi antichi, da loro considerati insignificanti e invece reputati sacri dai maestri. I nomi di questi testi possono cambiare: Divina Commedia, Canzoniere, Promessi Sposi eccetera; l’avversione, la resistenza dei giovani è la stessa; naturalmente siamo tutti contenti che verghe, scudisci, fruste, flagelli e affini siano spariti definitivamente dal panorama scolastico”.
Questo gazzettiere non dice che già Quintiliano aveva bandito le botte dei maestri agli scolari come offensive e diseducative, e soprattutto non dice che la repulsione dei giovani non è diretta agli autori ma al modo insignificante con cui vengono presentati da maestri davvero repellenti. I bravi maestri fanno innamorare gli allievi, quando gli scrittori vengono presentati con intelligenza e vivacità. Le mie conferenze sugli autorio greci e latini suscitano entusiasmo.


giovanni ghiselli 

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