venerdì 14 agosto 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XL

Jorge Luis Borges


Il culto neoclassico della bellezza. L’eterno ritorno del classico come forma ritmica della storia culturale europea. Il classicismo dell’Alfieri secondo Francesco De Sanctis. La bellezza, subito antica, dell’Acropoli di Atene, rifiorisce sempre di nuova giovinezza (Plutarco)

Il neoclassicismo propone il culto della bellezza in generale, e umana - femminile in particolare - quale antidoto al dolore e alle miserie della vita. Foscolo nell'Ode All'amica risanata[1], celebra la splendidissima donna nella quale, dopo la malattia "beltà rivive, / l'aurea beltate ond'ebbero/ristoro unico a' mali/le nate a vaneggiar menti mortali" (vv. 9-12). "Beauty is truth, truth beauty ", bellezza è verità, verità bellezza, scrive John Keats[2] nell'Ode on a grecian urn. "L'attribuzione della bellezza alla verità e al significato deve essere o un vezzo retorico, o un'affermazione teologica. Si tratta di una teologia, esplicita o soppressa, mascherata o dichiarata, sostanziale o metaforica, che conferma il presupposto della creatività e della significazione nei nostri incontri con i testi, con la musica e con l'arte"[3].
Non esiste solo il neoclassicismo dei primi anni dell’Ottocento: “Ernst Howald (Die Kultur der Antike, 1948) ha potuto indicare la rinascita del "classico" come "la forma ritmica" della storia culturale europea"[4].
Francesco De Sanctis mette il rilievo, non senza criticarlo, il classicismo di Vittorio Alfieri: “ Alfieri è l’uomo nuovo in veste classica. Il patriottismo, la libertà, la dignità, l’inflessibilità, la morale, la coscienza del diritto, il sentimento del dovere, tutto questo mondo interiore, oscurato nella vita e nell’arte italiana, gli viene non da una viva coscienza del mondo moderno, ma dallo studio dell’antico, congiunto col suo ferreo carattere personale…Risvegliare negl’italiani la “virtù prisca”, rendere i suoi carmi “sproni acuti” alle nuove generazioni, sì che ritornino degni di Roma, è il suo motivo lirico, che ha comune con Dante e Petrarca[5].
 A proposito del classicismo che si ripropone periodicamente nella nostra Civiltà, possiamo aggiungere che la bellezza si coniuga non solo con la semplicità ma anche con l'antichità. Lo suggerisce Plutarco nella Vita di Pericle quando afferma che ognuna delle "opere di Pericle", ossia degli edifici fatti costruire sull'Acropoli, era, kavllei, per la bellezza già allora antica, ajrcai'on; mentre per la loro rifioritura (ajkmh'/) appare ancora oggi recente e appena ultimata (13, 5).

Il neoclassicismo di David si accompagna alla rivoluzione francese: “A quel tempo, il termine rivoluzione era perfettamente compatibile con l’idea del ritorno. (Qui occorre notare che in quegli anni l’Inghilterra conosce la sua “rivoluzione industriale”, e che questa provoca nella storia un cambiamento radicale, che esclude ogni ritorno. Si può forse affermare, senza rischio di sbagliare, che ii ritorno all’antico o a Michelangelo è una velleità regressiva, che tende a nascondere o a neutralizzare la novità angosciosa delle trasformazioni tecniche e economiche.) …La memoria del passato veniva allora a imporre la sua maestà, i suoi abiti, i suoi simboli, al cerimoniale dell’instaurazione politica. Mescolava così a tale instaurazione la pia solennità di una reazione estetica e morale. La Atene di Pericle, la Roma dei tempi virtuosi rinascevano nella Repubblica. Drappeggiata alla maniera antica, la celebrazione dell’ordine nuovo aveva anche un altro significato, di commemorazione, di fedeltà ai massimi modelli…Magicamente, il costume antico operava una identificazione eroica con i personaggi di Plutarco”[6].


Le frasi belle sono la luce del pensiero e colpiscono la sfera emotiva. Bettini: la citazione antologizza il classico fino alla carne viva. Fellini, Seneca, Leopardi e Carlyle. Manzoni: l’utile, il vero e l’interessante. La bellezza eleva anche la virtù. Dobbiamo scegliere testi che piacciano prima di tutto a noi. Borges: non ho insegnato la letteratura inglese ma l’amore per certe frasi. Tolstoj. Luperini e la scelta libera dei testi. La Mastrocola e il piacere della condivisione. Alfieri aveva la testa “antigeometrica” e, invece, “genio per le cose drammatiche”. Nietzsche e l’arte che anestetizza il dolore. Proust: il lavoro dell’artista è un rivelamento di noi stessi

Vanno segnalate, possibilmente citate a memoria, le frasi belle che sono la luce del pensiero, la sua parte poetica e artistica che, colpendo la sfera emotiva, si presta a essere ricordata. Citare non è saccheggiare: “Agli occhi dell’artista un pensiero in quanto tale non avrà mai un gran valore di proprietà. A lui importa che possa funzionare nell’ingranaggio spirituale dell’opera”[7].
“Esiste comunque un metodo sicuro, e soprattutto molto rapido, per rendere sfizioso qualsiasi classico: quello della citazione. La citazione infatti antologizza il classico fino alla carne viva, gli attribuisce una tale misura minimale che a questo punto la sfiziosità è comunque garantita. Questo spiega perché, negli ultimi tempi, le raccolte di citazioni si sono moltiplicate (mettendo inaspettatamente in buona compagnia la gloriosa Ape Latina di Fumagalli): tanto che in alcuni paesi, come gli Stati Uniti, le grandi librerie dispongono addirittura di un apposito settore in cui sono allineati i libri di citazioni di ogni possibile letteratura. Il fatto è che, nella citazione, il classico diventa talmente piccolo da poter entrare persino in una “battuta”. [8]
Naturalmente le citaziono non devono costituire un coacervo, ma formare un amalgama.

Sentiamo ancora Fellini: "Il bello sarebbe meno ingannevole e insidioso se cominciasse a venir considerato bello tutto ciò che dà un'emozione, indipendentemente dai canoni stabiliti. Comunque venga toccata, la sfera emotiva sprigiona energia, e questo è sempre positivo, sia dal punto di vista etico che da quello estetico. Il bello è anche buono. L'intelligenza è bontà, la bellezza è intelligenza: l'una e l'altra comportano una liberazione dal carcere culturale"[9].
Un'idea simile si trova in una epistola di Seneca: "advocatum ista non quaerunt: adfectus ipsos tangunt et natura vim suam exercente proficiunt…erigitur virtus cum tacta est et inpulsa" (94, 28 e 29), queste parole belle[10] non hanno bisogno di un difensore: toccano direttamente la parte emotiva e giovano grazie alla natura che esercita la sua forza…la virtù si drizza quando viene toccata e stimolata.
“qual altro è il proprio uffizio e scopo della poesia se non il commuovere, così o così, ma sempre commuover gli affetti…Bello effetto[11] di un dramma, di una rappresentazione, di una poesia; lasciare di se tal vestigio negli animi degli spettatori o uditori o lettori, come s’e’ non l’avessero né veduta né letta. Meglio varrebbe essere stato a uno spettacolo di forze, di giuochi equestre, e che so io, i quali pur lasciano nell’animo alcuna orma di maraviglia o di diletto o d’altro”[12].
“Da questo punto di vista, anche una frase di Goethe, tra le altre, che ha molto stupito parecchi, può avere un significato: “Il Bello-egli dichiara-è più alto del Bene; il Bello avvolge in sé il Bene”. Il vero Bello, come del resto ho detto altrove, “differisce dal falso come il cielo differisce dall’inferno”[13].
“Il nobile favorisce la bellezza dell’uomo, l’uomo comune la bruttezza”[14].
La bellezza dunque è spesso morale, eleva anche la virtù, e comunque, quale strumento didattico, serve a catturare l'attenzione degli studenti, degli ascoltatori in genere; senza l'attenzione di chi ascolta, il lovgo" di chi parla si degrada a un verso di papero.
L'attenzione si ottiene con racconti interessanti, quindi belli, e non inutili. Lo dichiarano Tucidide e Polibio nelle loro Storie, e pure Manzoni nella Lettera a Cesare d'Azeglio[15]: "Il principio di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo".

I testi che scegliamo devono piacere innanzitutto a noi. Se non piacciono a noi tanto meno piaceranno a chi li racconteremo
 A questo proposito sentiamo J. L. Borges: "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[16].
Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[17].
“Non si può fare leggere dei testi solo per obbedire a una costrizione e cioè perché sono imposti da un programma o da un canone; l’insegnante deve invece mostrare, agendo all’interno della comunità ermeneutica della classe, che tali testi sono letti perché hanno un significato e un valore per noi…Né si può escludere a priori che un insegnante e la sua classe arrivino a conclusioni opposte rispetto ai presupposti iniziali, e cioè alla presa d’atto che un determinato testo o autore non abbia oggi un particolare valore e un significato e che sia perciò giusto leggere altre opere o altri autori”[18].
“Una cosa ti piace? Bene, la condividi. Io direi che esattamente questo è insegnare, niente di più: il piacere immenso della condivisione”[19].
Credo pure che non sia necessario, e nemmeno opportuno, che ciascuno studi tutte le discipline: ognuno deve dedicarsi presto a quelle per le quali è portato.
Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti-geometrica” (Vita, 2, 4).
 Il maestro deve aiutare il discepolo a scoprire i suoi talenti e incoraggiarlo a farli fruttare: “Mi capitarono anche allora[20] varie commedie del Goldoni, e queste me le prestava il maestro stesso; e mi divertivano molto. Ma il genio per le cose drammatiche, di cui forse il germe era in me, si venne tosto a ricoprire o ad estinguersi in me, per mancanza di pascolo, d’incoraggiamento, e d’ogni altra cosa. E, somma fatta, la ignoranza mia e di chi mi educava, e la trascuraggine di tutti in ogni cosa non potea andar più oltre (Vita, 2, 4).
L'educatore deve essere un poco come l'artista e stimolare il pensiero: "Ogni parola, espressa da un talento artistico, si tratta di Goethe o di Fed'ka, si differenzia dall'espressione non artistica per il fatto che essa suscita una quantità innumerevole di pensieri, di immagini e di interpretazioni"[21].
"L'arte deve far brillare ciò che è significativo di fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[22].
L'arte deve riscattare, estetizzare e anestetizzare l'atroce e l'assurdo della vita, salvare l'uomo terrorizzato o disgustato dal pericolo della paralisi: " Ed ecco, in questo estremo pericolo della volontà, si avvicina, come una maga che salva e risana, l'arte; soltanto lei è capace di volgere quei pensieri di disgusto per l'atrocità o l'assurdità dell'esistenza in rappresentazioni con cui si possa vivere: queste sono il sublime come repressione artistica dell'atrocità e il comico come sfogo artistico del disgusto per l'assurdo"[23].
“Questo lavoro dell’artista, vòlto a cercar di scorgere sotto una certa materia, sotto una certa esperienza, sotto certe parole, qualcos’altro, è esattamente inverso a quello che, in ogni istante, allorché viviamo stornati da noi stessi, l’orgoglio, la passione, l’intelligenza, e anche l’abitudine, compiono in noi, ammassando sopra le nostre genuine impressioni, per nascondercele, le nomenclature, gli scopi pratici, cui diamo erroneamente il nome di “vita”. Insomma, quest’arte così complessa è davvero la sola arte viva”[24].


Frasnedi: la bellezza della scrittura. Una didattica di lusso è una didattica delle pari opportunità. La Mastrocola: l’istruzione di basso livello penalizza i poveri. Pietro Citati: “Così rinasce l’università per i ricchi”. Il classico, che apparteneva, alla prima classe ora deve essere messo a disposizione di tutti. Aulo Gellio. Harry Mount: Latin is used to give a touch of class. Il ministro della propaganda nel film Il grande dittatore di Chaplin. Bettini e la funzione autoritativa dei classici. Alexis de Tocqueville: non può essere eccellente nelle lettere chi ignora i classici. Il ministro Letizia Moratti

Le frasi belle assimilate insegnano a produrre frasi belle in proprio, a ricrearle, insomma a parlare e a scrivere in maniera significativa: "Una buona scrittura è sempre un dettato che brilla, anche nei contesti meno esigenti: dall'annuncio economico, al necrologio, alla comunicazione aziendale. Il verbo brillare dice la presenza di un soggetto, e della sua irripetibile agilità linguistica. Dice il guizzo creativo che può avere il proprio luogo quasi dovunque. L'obiezione che la scuola non può avere come obiettivo la formazione di geni della scrittura, ma deve mirare a formare dei decenti esecutori; e quella parallela che una didattica 'di lusso' non sarebbe adatta alla modestia della maggioranza delle menti non sono, mi sembra, frutto di un'argomentazione convincente…Una didattica 'di lusso'… non è affatto una didattica pensata per i meglio dotati, ma la scelta di offrire a tutti gli strumenti adatti alla crescita intellettuale ed al pefezionamento delle abilità. E' una didattica - se si accetta la metafora politica - delle pari opportunità. Che pone la selezione non a priori: - a tutti la giusta mediocrità e i migliori s'arrangino -, ma a posteriori. A tutti è stata offerta la possibilità del meglio; per alcuni sarà la via della possibile eccellenza, per altri l'approdo ad una decente mediocrità… io rivendico il diritto di tutti allo strumento raffinato; poiché esso non è pretesto od ornamento, ma chiave autenticamente cognitiva. Per tutti. La via delle pari opportunità non passa attraverso un riduzionismo semplificatore, ma attraverso la potenza della sollecitazione cognitiva che ciascuno ha il diritto di ricevere. Io vorrei che la nostra scuola sapesse fare miracoli, come li faceva quella di Barbiana"[25].
Sentiamo anche la Mastrocola: "Io capisco che la scuola debba essere di massa…. Ma attenzione ad aiutare davvero la massa, cioè coloro che, svantaggiati socialmente, trarrebbero gran beneficio proprio da un'istruzione di alto livello; attenzione a non aiutare invece proprio le classi medio-alte, che hanno, di loro, ben altre risorse rispetto alla scuola, e che cioè troveranno comunque un'ottima sistemazione professionale, non grazie a un ottimo livello di istruzione, ma grazie alle relazioni familiari, al denaro, alle conoscenze…Ora lo stesso ragazzino di Barbiana chiederebbe…una scuola che gli dia un grado alto, e non basso, di conoscenza, perché solo così lui potrebbe competere con i figli del ceto medio-alto che vanno a studiare all'estero e poi troveranno impiego nell'impresa di papà o degli amici di papà"[26].
Una riflessione analoga si trova in un articolo di Pietro Citati intitolato Così rinasce l’università per i ricchi: “le università italiane sono pessime, se ne escludiamo qualcuna e la Scuola Normale Superiore di Pisa…il disastro è cominciato (molti dicono: continuato) con la Riforma Berlinguer, entrata in vigore sei anni fa. A partire da allora, le leggi ministeriali hanno costretto gli studenti a non studiare, o a studiare il meno possibile, e soprattutto a non leggere libri o solo fascicoletti di poche pagine. Lo Stato italiano ha il perverso piacere di laureare ignoranti e incompetenti…Non c’è molto tempo. Se il ministro non interviene subito, l’Italia perderà del tutto la propria classe dirigente: fatto immensamente più grave dello scandalo Parmalat, o dei costi della nostra classe politica…Fra poco non sapremo a chi affidare l’insegnamento nei licei o all’università, o la direzione delle nostre imprese o il governo dell’economia. Intanto i figli delle famiglie ricche vanno a studiare negli Stati Uniti o in Inghilterra. Così assisteremo (ancora una volta) a questa insensatezza: la Riforma Berlinguer, che pretendeva di essere democratica, farà in modo che tutta la nostra classe dirigente sarà formata da ricchi”[27].
Quanto alla didattica di lusso, che però deve essere a disposizioni di tutti quanti sono capaci di apprezzarla, il termine classicus designava il cittadino che apparteneva alla classis più elevata dei contribuenti fiscali; "solo per traslato uno scrittore del II secolo d. C., Aulo Gellio, definisce "classicus scriptor, non proletarius" uno scrittore "di prim'ordine", non della massa" (Noctes Atticae 19. 8. 15; cfr. 6. 13. 1 e 16. 10. 2-15), o (forse meglio) "buono da essere letto dai classici (i contribuenti più ricchi), e non dal popolo"; classicus è ulteriormente definito come adsiduus (altra designazione di censo, "contribuente solido e frequente") e antiquior ; l'anteriorità al presente è dunque requisito della "classicità"[28].
“La “classicità”, insomma, sarebbe propriamente un fatto di rango, o meglio di censo. Lo scrittore appartenente alla cohors degli antichi dispone di un “patrimonio” tale che rientra automaticamente nella classe più alta dei cittadini. E’ come se fosse un nobile di antica data, fornito di ampie possibilità patrimoniali. A questo punto, se qualcuno pensa che lo scrittore “classico” di Gellio è uno che vive sì di rendita, e che si comporta come un notabile della letteratura, però deve risultare almeno “assiduo” nella sua propria attività, si sbaglia. Anche assiduus è infatti un termine connesso al censo. Sempre Gellio ci spiega che “nelle Dodici Tavole “assiduo” si usa col significato di persona benestante e agiata”[29]. Siamo sempre lì, il classico è una sorta di uomo ricco e senza pensieri, che ha la “vita facile” (facile faciens): come del resto è naturale trattandosi di una persona che appartiene alla prima delle classi serviane”[30].
Harry Mount, autore di un libro di successo sul ritorno del latino[31], nota che sul retro del biglietto da un dollaro si trova scritto annuit coeptis che traduce “he has favoured our undertakings”, ha favorito le nostre imprese, quindi commenta “As is often the case, Latin is used to give a touch of class[32], come spesso succede il latino è usato per assegnare un tocco di classe.
Nel film di Chaplin The great dictator (1940) il ministro della propaganda Garlitsch-Goebbels pronuncia una prefazione al discorso di Hynkel-Hitler che ha invaso l’Austria con queste parole latine: “Corona veniet delectis”, che poi traduce con “victory shall come to the worthy”.
“Non si può infatti negare che lungo l’arco della nostra cultura i classici abbiano regolarmente svolto una funzione di tipo autoritativo. “L’ha scritto Platone”, si dice comunemente, “l’ho letto in omero”: dunque si tratta di una testimonianza importante, viene da un uomo di primo rango”[33].
Alexis de Tocqueville mette in luce l’essere aristocratico il gusto e l’uso delle lettere classiche: “ E’ evidente che nelle società democratiche l’interesse degli individui, così come la sicurezza dello stato, esigono che l’educazione della maggioranza sia scientifica, commerciale e industriale, piuttosto che letteraria. Il greco e il latino non devono essere insegnati in tutte le scuole, ma è necessario che coloro che, per naturale tendenza o per fortuna, sono portati a coltivare le lettere o predisposti a gustarle, trovino scuole in cui ci si possa rendere perfettamente padroni della letteratura antica ed essere penetrati interamente dal suo spirito. Poche università eccellenti varrebbero meglio, per raggiungere lo scopo, di una moltitudine di cattivi collegi o di studi superflui che si compiono malamente, impedendo di fare bene gli studi necessari. Tutti coloro che hanno l’ambizione di eccellere nelle lettere, nelle nazioni democratiche, devono spesso nutrirsi delle opere dell’antichità. E’ una regola salutare. Non credo che le produzioni letterarie degli antichi siano irreprensibili; penso solamente che esse hanno qualità speciali che possono meravigliosamente servire a controbilanciare i nostri difetti particolari. Esse ci sostengono dalla parte verso cui pendiamo”[34].
Il ministro Letizia Moratti disse che la nostra deve essere una scuola di massa e pure di qualità.
 Io auspico una scuola classica di qualità altissima, e accessibile a tutti quelli che ne sentono l'esigenza spirituale.


La bellezza spaventa. Petrarca. Leopardi. Dostoevskij: la bellezza è circondata da enigmi. La bellezza è dono di pochi: Ovidio: forma dei munus. Paride nell’Iliade. Hillman, Apuleio e la bellezza di Psiche.. Rapporto bellezza-genio. Leopardi e il potere supremo della bellezza (Ultimo canto di Saffo). O. Wilde. La bellezza però è cosa effimera. Di nuovo Il ritratto di Dorian Gray. Il coro della Fedra di Seneca ammonisce Ippolito: “tempus te tacitum subruet”. Tolstoj: Natascia non si degna di essere intelligente. Pavese nega la forza erotizzante dell’ingegno. Steiner: il livellamento e l’annacquamento sono criminali

La bellezza però, come l'amore, fa anche paura, e per questo motivo si tende a negare il suo valore. La bellezza di Laura spaventa Petrarca: "Quante volte diss'io/allor pien di spavento/"Costei per fermo nacque in paradiso!" (Rime, CXXVI, 53-55).
" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza... su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta"[35].
Dimitri Karamazov interpreta lo struggente desiderio amoroso come una tempesta nel sangue: "Sono tempeste, perché la lussuria è una tempesta più di ogni altra". Tali bufere sono scatenate dalla bellezza: "La bellezza è una cosa terribile, una cosa spaventosa. E' terribile perché è indefinibile, e non si può definirla perché Dio l'ha circondata di enigmi"[36].
Forma dei munus ricorda Ovidio, ma, chiarisce: "pars vestrum tali munere magna caret "[37] una gran parte di voi manca di questo dono. Ecco perché molti temono o ignorano o addirittura odiano la bellezza.
La bellezza è dono degli dèi dunque. Lo fa notare già Paride a Ettore nel terzo canto dell'Iliade quando il fratello gli rinfaccia di essere un donnaiolo (gunaimanev", v. 39) e seduttore (hjperopeutav) di aspetto splendido (ei\do" a[riste) ma senza valore né forza nel cuore (45), capace di portare via donne di uomini bellicosi ma non di affrontarli. Allora l'amante di Elena gli risponde: " non rinfacciarmi i doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno per te sono spregevoli i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, v. 65) che del resto nessuno può scegliersi.

 J. Hillman nota che Psiche "nella favola di Apuleio[38]" fu scelta tra molte per la sua bellezza e che "Afrodite, la Bella, l'anima dell'universo (psyche tou kosmou o anima mundi) - … come dice Plotino[39] (Enneadi, III, 5, 3-4), genera il mondo percettibile -, e insieme l'anima di ciascuno di noi". Quindi il filosofo psicanalista di matrice junghiana pone una domanda retorica e la commenta: "Come è possibile che la bellezza, che ha svolto un ruolo così centrale e così evidente nella storia dell'anima e del suo pensiero, sia assente dalla psicologia moderna? Pensate: ottant'anni di psicologia del profondo senza un pensiero dedicato alla bellezza!"[40]. La bellezza di Psiche era addirittura ineffabile: "at vero puellae iunioris tam praecipua, tam praeclara pulchritudo nec exprimi ac ne sufficienter quidem laudari sermonis humani penuria poterat" (4, 28), ma la bellezza della ragazza più giovane, tanto eccezionale, tanto splendente, non si poteva esprimere né sufficientemente lodare per l'inadeguatezza della parola umana.
E’ forse per questa pochezza delle parole di fronte alla bellezza che la filologia gliene ha dedicate troppo poche.
A proposito del rapporto tra bellezza e genio, virili imprese, virtù, Leopardi afferma la supremazia della prima nell'Ultimo canto di Saffo dove la poetessa constata che il potere è dei belli: "Alle sembianze il Padre, /alle amene sembianze eterno regno/diè nelle genti; e per virili imprese, /per dotta lira o canto, /virtù non luce in disadorno ammanto, " (vv. 50-54).
In definitiva, come scrive Simonide citato da Adimanto, fratello di Platone nella Repubblica l'apparire violenta anche la verità: " to; dokei'n... kai; ta;n ajlavqeian bia'tai" (365c).
Nell’Oreste di Euripide il protagonista riconosce che l’apparenza prevale anche se è lontana dalla verità: “krei`sson de; to; dokei`n, ka]n ajlhqeiva~ ajph`/” (v. 236)

Lo stesso sostiene Lord Henry elogiando Dorian Gray: " Avete un viso meraviglioso, Gray. Non abbiatevene a male. E’ così. E la bellezza è una specie di genio-in verità più grande del genio, perché non ha bisogno di spiegazione. E' una delle cose grandi del mondo, come la luce solare, o la primavera, o il riflesso nell'acqua cupa di quella conchiglia d'argento che chiamiamo luna. Non è una cosa che si possa discutere. Ha un divino diritto alla regalità. Quelli che la possiedono sono prìncipi"[41].
O. Wilde, come Nietzsche, brandisce l’arma della bellezza contro il piattume dell’età borghese.
"E' cosa abbastanza strana, per quanto ben comprensibile, che la prima forma in cui lo spirito europeo si è ribellato all'età borghese sia stato l'estetismo. Non a caso ho nominato insieme Nietzsche e Wilde come ribelli, e propriamente ribelli in nome della bellezza"[42]. Si possono aggiungere senz’altro Huysmans e D’Annunzio.
A favore del genio si può dire che è meno effimero della bellezza la cui caducità infatti è deplorata dallo stesso esteta di Il ritratto di Dorian Gray: " Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni per vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi (...) Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora (...) Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!" (p. 32).
Nella Fedra di Seneca il secondo coro ricorda a Ippolito la precarietà della bellezza, un bene grande ma effimero: "Anceps forma bonum mortalibus, /exigui donum breve temporis, /ut velox celeri pede laberis!/Non sic prata novo vere decentia/aestatis calidae despoliat vapor…ut fulgor, teneris qui radiat genis, /momento rapitur, nullaque non dies/formosi spolium corporis abstulit. /Res est forma fugax: qui sapiens bono/confidat fragili? Dum licet, utere. /Tempus te tacitum subruet, horaque/semper praeterita deterior subit" (vv. 761-765 e 770-776), la bellezza è un bene bifronte per i mortali, breve dono di un tempo corto, come scivoli via con piede veloce! Non così l'afa della torrida estate spoglia i prati dai bei colori all'inizio della primavera…come il fulgore che splende nelle tenere guance viene rapito in un attimo, e non c'è giorno che non rapini qualcosa a un bel corpo. La bellezza è roba fugace: quale saggio potrebbe fidarsi di un bene fragile? Finché è possibile fanne uso. Il tempo ti demolirà in silenzio, e subentra sempre un'ora più brutta di quella passata.
 Più avanti il coro rincara la dose: "Raris forma viris (secula prospice!) impunita fuit" (vv. 820-821), per pochi eroi la bellezza rimase impunita (guarda il corso dei secoli!)

Tolstoj in Guerra e pace sembra sganciare il fascino dall'intelligenza, almeno in una ragazza giovane: a Maria Bolkonski che ha domandato se Natascia sia intelligente, Pierre risponde: "Penso di no... non credo che si degni di essere intelligente... E' affascinante, nient'altro" (p. 825).

Pavese nega la forza erotica dell'ingegno: " Non c'è idea più sciocca che credere di conquistare una donna offrendole lo spettacolo del proprio ingegno. L'ingegno non corrisponde in questo alla bellezza, per la semplice ragione che non provoca eccitamento sensuale; la bellezza sì"[43]. Probabilmente Pavese non sapeva avvalersi dell’ ingegno in campo erotico. Abbiamo già detto (53. 4) quanto ne fosse capace il non formosus Ulisse.

Non dobbiamo avere paura di avviare i giovani verso le cose belle, rare e grandi. "E' questo il punto: indirizzare l'attenzione dello studente verso quello che, all'inizio, egli non può capire, ma la cui grandezza affascinante lo afferra. La semplificazione, il livellamento e l'annacquamento che prevalgono oggi nell'educazione, tranne i rarissimi casi privilegiati, sono criminali. Si tratta di disprezzo per le nostre capacità latenti. Le crociate contro il cosiddetto elitismo nascondono una condiscendenza volgare: verso tutti coloro che vengono a priori giudicati incapaci di miglioramento. Sia il pensiero…sia l'amore pretendono troppo da noi. Ci umiliano. Ma l'umiliazione, persino la disperazione davanti alla difficoltà-abbiamo studiato tutta la notte eppure l'equazione rimane irrisolta, la frase greca incompresa-possono trovare l'illuminazione all'alba"[44].







[1] Del 1802.
[2] 1795-1821.
[3] G. Steiner, Vere presenze, p. 204.
[4] S. Settis, Futuro del 'classico', p. 84.
[5] F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana 2, p. 380.
[6] Jean Starobinski, Tre furori, p. 124 e p. 125.
[7] T. Mann, Doctor Faustus, p. 731.
[8] M. Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 66.
[9] F. Fellini, Intervista sul cinema, a cura di G. Grazzini, p. 114.
[10] Ha citato una sentenza di Publilio Siro e un emisticho dell'Eneide (X, 284).
[11] E’ ironico ndr.
[12] Leopardi, Zibaldone, 3455-3456.
[13] T. Carlyle, Gli eroi (del 1841), p. 117.
[14] K. Jaspers cita Confucio in I grandi filosofi, p. 255.
[15] Del 1823.
[16] Dall'articolo di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole-24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.
[17] Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola?, p. 116.
[18] R: Luperini, Insegnare la letteratura oggi, p. 98.
[19] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, p. 50.
[20] Nel 1760, quando il ragazzino, nato nel 1749 aveva undici anni ndr.
[21] Tolstoj, I ragazzi di campagna devono imparare da noi (del 1862), in Quale scuola?, p. 126.
[22] F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, p. 64.
[23] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 56.
[24] M. Proust, Il tempo ritrovato, p. 228.
[25] F. Frasnedi, op. cit., p. 123.
[26] P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, pp. 178-179..
[27]la Repubblica”, 13 giugno 2007, p. 1 e p. 2.
[28] S. Settis, Futuro del "classico", p. 66.
[29] Le Notti Attiche, XVI 10, 15
[30] M. Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 145.
[31] H. Mount, Amo, amas, amat…And all that How to become a latin lover, Short books, London 2006.
[32] Amo, amas, amat…And all that How to become a latin lover, p. 216.
[33] M. Bettini, I classici nell’età dell’indiscrezione, p. 147.
[34] La democrazia in America, p. 480.
[35] Leopardi, Zibaldone, 3443-3444.
[36]I fratelli Karamazov, p. 160.
[37]Ars amatoria, III, 103- 104.
[38] Nelle Metamorfosi di Apuleio (125ca-170 d. C.), un romanzo in 11 libri, la Storia di Psiche occupa la parte centrale: da IV, 28 a VI, 24.
[39] 205-270
[40] L'anima del mondo e il pensiero del cuore, p. 79.
[41] Il ritratto di Dorian Gray (del 1891), in O. Wilde, Opere, p. 31.
[42] T. Mann, La filosofia di Nietzsche, in Nobiltà dello spirito, p. 838.
[43] Il mestiere di vivere, 31 agosto 1940.
[44] G. Steiner, Errata. Una vita sotto esame, p. 57. 

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