mercoledì 19 agosto 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XLIII


Per sconfiggere i mostri c’è bisogno di ordine e di delicatezza che non significa mollezza, né devozione alla norma. Calvino, Perseo e la Gorgone nelle Metamorfosi di Ovidio: anguiferumque caput dura ne laedat harena " (IV, 741). Shakespeare, La tempesta. Saffo ama la delicatezza. Leopardi sono “ i geni più sublimi e irregolari” che, con il tempo, diventano classici. Eugenio Riccòmini e il bisogno di ordine riscontrabile in parte della pittura (Piero della Francesca)

La Cultura del lovgo" è volontà di cosmizzare il caos, tentativo di imporre l'ordine al disordine, addomesticare i mostri. Attraverso gli autori greci e latini i giovani capiranno "quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri"[1], e forse la acquisiranno.
La prima delle Lezioni americane[2] di Calvino si intitola Leggerezza e segnala un atto di delicatezza da parte di Perseo nelle Metamorfosi di Ovidio: il figlio di Danae, dopo avere ucciso la Gorgone anguicrinita, ne appoggia la testa al suolo ma, usandole un premuroso riguardo, ammorbidisce la terra con foglie e stende verghe nate nel mare: "anguiferumque caput durā ne laedat harenā " (IV, 741), per non sciupare con la sabbia scabra il capo che porta serpenti. "Qui Ovidio ha dei versi (IV, 740-752) che mi paiono straordinari per spiegare quanta delicatezza d'animo sia necessaria per essere un Perseo, vincitore di mostri…Mi sembra che la leggerezza di cui Perseo è l'eroe non potrebbe essere meglio rappresentata che da questo gesto di rinfrescante gentilezza verso quell'essere mostruoso e tremendo ma anche in qualche modo deteriorabile e fragile. Ma la cosa più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli marini a contatto con la Medusa si trasformano in coralli, e le ninfe per adornarsi di coralli accorrono e avvicinano ramoscelli e alghe alla Medusa"[3]. Insomma la Gorgone non è svanita nel nulla, ma come canta Ariele in La tempesta di Shakespeare: "Of his bones are coral made;/Those are pearls that were his eyes: /Nothing of him that doth fade, /But doth soffer a sea-change/Into something rich and strange " (The Tempest, I, 2), delle sue ossa si sono formati coralli, sono perle quelli che furono I suoi occhi, nulla in lui scompare ma subisce un cambiamento marino in qualche cosa di ricco e strano.
C'è grande bisogno di delicatezza: "e[gw de; fivlhmm' ajbrosuvnan"[4], io amo la delicatezza.

Questa non significa mollezza o acquiescenza, né devozione alla norma, tutt'altro: " Che i classici rappresentino qualcosa periculosum maxime è stato splendidamente ricordato da Leopardi: "E' un curioso andamento degli studi umani, che i geni più sublimi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale, diventino classici, cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano de' fanciulli, come i trattati più secchi e regolari delle cognizioni esatte"[5].
Del bisogno di ordine, innato in molti di noi umani, scrive Eugenio Riccòmini in un suo libro recente. Secondo lo storico dell’arte bolognese, in una parte della pittura, quella improntata all’ordine, “regna sovrana la geometria”, una constatazione che ci fa piacere e rassicura “perché quell’ordine ci conferma che la nostra ragione sa vincere l’apparente caoticità della natura. Ci pare, così, di essere a lei superiori. E’ di questo genere, mi sembra, il piacere che s’avverte guardando un dipinto anche notissimo, come questo di Piero della Francesca[6]. Dovrebbe essere una scena di violenza, di dolore e d’urla. Ma tutti stanno zitti, e immobili. Nessuno pensa a flagellare nessuno. Il Cristo pensa solo a gareggiare, in polita tornitura di statua, con la bellissima e candida colonna cui neppure appare legato; e con la statua antica che la sormonta. Le figure, si direbbe, non recitano alcuna storia: servono a scandire con precisione lo spazio, come i cassettoni del soffitto, come i riquadri del pavimento; scacchiera, ancora, su cui si posano pedine, avvolte di luce candida, senz’alito di vento”[7].


La confusione è la quintessenza del male e piace ai malvagi. Solone: la ricchezza dei prepotenti non arriva con ordine. Aristofane e Cleone mescola-fango. Seneca (Medea). Eschilo (Persiani). Erodoto: il discorso di Temistocle dopo Salamina. Bettini: incesto, arcobaleno, enigma e peste. Gogol’: la prima cosa è confondere dice un farabutto in Anime morte. Shakespeare e Marx sul denaro che provoca confusione universale

La quintessenza di molti mali è spesso il disordine che provoca confusione: Solone nell’ Elegia alle Muse ditingue due tipi di plou'to": “La ricchezza che danno gli dèi, è solida/per l'uomo dall'ultimo fondo alla cima;/ quella cui vanno dietro gli uomini spinti dalla prepotenza, non arriva/con ordine (ouj kata; kovsmon-e[rcetai), ma siccome obbedisce alle azioni ingiuste, /segue di malavoglia, e presto vi si mescola l'accecamento” (fr. 13 W. vv. 9-13).
Nei Cavalieri (424 a. C) di Aristofane Cleone-Paflagone è chiamato “borborotavraxi” (v. 307), il mescola-fango; egli si comporta come i pescatori di anguille, i quali le acchiappano, solo se mettono sottosopra il fango: “kai; su; lambavnei", h]n th;n povlin taravtth/" (v. 867), anche tu arraffi, se scompigli la città, gli fa il salsicciaio.
Quello della confusione è un tema ricorrente nella Medea di Seneca. La navigazione ha unito, confondendo, parti che doveva restare separate e distinte. Così si sono guastati i candida…saecula (Medea, 329) dei padri. "Bene dissaepti foedera mundi/ traxit in unum Thessala pinus, /iussitque pati verbera pontum/partemque metus fieri nostri/mare sepositum" (Medea, vv. 335-339), la nave tessala unificò le parti del cosmo ben separate da un recinto di leggi, e ordinò che il ponto patisse le frustate dei remi; e che il mare lontano divenisse parte della nostra paura.
 Il rischio è quello del ritorno al magma indifferenziato del caos. Infatti “il pretium huius cursus [8], il risultato del caos cosmico provocato dalla prima nave è Medea, emblema del caos etico "[9]. Il mondo pervius ha aperto la via alla "confusion delle persone"[10]
 E' la stessa u{bri" di Serse il quale, lo abbiamo già ricordato (cap. 27), tentò di trattenere con vincoli la sacra corrente dell'Ellesponto e di unificare ciò che deve restare diviso (Eschilo, Persiani, vv. 745-750).
Questo discorso viene richiamato, nelle Storie di Erodoto, da Temistocle il quale, dopo la vittoria sui Persiani, afferma: "Poiché questa impresa non l'abbiamo compiuta noi, ma gli dèi e gli eroi i quali non permisero che un uomo solo, per giunta empio e temerario, regnasse sull'Asia e sull'Europa, uno che teneva in egual conto le cose sacre e profane, incendiando e abbattendo i simulacri degli dèi, uno che fece frustare e incatenare anche il mare" (VIII, 109) [11]. Un atto disperato compiuto nel buio e nella confusione da chi voleva congiungere entità che non possono esserlo (sunavyai ajduvnata[12]): culture, abitudini, norme, di popoli diversi, o anche soltanto i caratteri di due persone incompatibili.
 M. Bettini in un suo articolo su "Dioniso" indica delle analogie tra l'incesto, l'arcobaleno, l'enigma e la peste. Sono intrecci, tutti presenti nell'Oedipus, i quali mescolano e confondono entità diverse, ruoli che dovrebbero rimanere divisi: "Effetto della malattia è appunto quello di confondere, di identificare quello che altrimenti dovrebbe restare diviso. Non c'è più distinzione di età o di sesso: i giovani muoiono contemporaneamente ai vecchi, i figli contemporaneamente ai padri. Nella descrizione della peste, Seneca sembra dunque applicare lo stesso principio codificato altrove da Aristotele per l'enigma: sunavyai ajduvnata. Come l'incesto ovviamente, come l'arcobaleno"[13].
 Nelle Anime morte di Gogol’ (1842) un farabutto suggerisce di confondere le idee per rendere impossibile il compito di fare giustizia: “Confondere, confondere: e nient’altro…introdurre nel caso nuovi elementi estranei, che coinvolgano altri, complicare e nient’altro. E che si raccapezzi pure il funzionario pietroburghese incaricato. Che si raccapezzi…Mi creda, appena la situazione diventa critica, la prima cosa è confondere. Si può confondere, aggrovigliare tutto così bene che nessuno ci capirà nulla” (p. 375).
Ancora a proposito di confusione, C. Marx, commenta Shakespeare[14] scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva: "la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose"[15].


Il Caos non viene mai vinto del tutto. La nascita della tragedia: il barbarico primitivo, l’apollineo, il dionisiaco che trasforma in fenomeno d’arte la negazione del principium individuationis, e la tragedia attica che è insieme Antigone e Cassandra. I quattro grandi periodi artistici. Morin. Eraclito. La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica. Hesse e Hillman: una vita nobile ed elevata combatte Demoni, Giganti e Titani, gli eterni nemici della cultura. Senofane, la Yourcenar. Il lato della pittura rivolto al “caos avido di confondere innumerevoli mondi” [16]. Riccòmini: Tiziano come maestro di una “godibile casualità”. Freud: l’Io il Super-io e il caotico l’Es. Zarathustra: solo il caos può partorire una stella danzante. Fromm. Victor di Guido Croci. L’istinto non va eliminato né penalizzato, ma indirizzato. Pasolini: l’irrazionale non può né deve essere eliminato; le Erinni devono diventare Eumenidi; bisogna trasformare le maledizioni in benedizioni. Oreste nelle Coefore: voi non le vedete, ma io le vedo. Eliot: Sweeny agonista e Riunione di famiglia. Nerone, tormentato dalle Furie, recitava a teatro la parte di Oreste: il matricida assolto. D’Annunzio e l’uomo moderno come centauro storpio e mutilato. Ancora Freud, Bernardin De Saint-Pierre T. Mann. Dodds: the ‘moral’ of the Bacchae is that we ignore at our peril the demand of the human spirit for Dionysiac experience. W. Golding. L’amore per la terra. Di nuovo lo Zarathustra di Nietzsche e Alioscia Karamazov che bacia la terra. La cura di Anteo in T. Mann

Il caos non viene mai vinto del tutto e torna, periodicamente, a sostenere una lotta incessante con l'ordine: dura eterna questa dialettica tra i vari aspetti della storia cosmica e umana che possono essere, almeno in parte, identificati in questa maniera: il caos con il barbarico primitivo “orribile miscuglio di voluttà e crudeltà”[17] generatore della sapienza silenica; il cosmo con l'apollineo; e infine, un caos estetizzato, divenuto fenomeno artistico, con il dionisiaco[18].
 Sentiamo Nietzsche: "Fino a questo punto è stato svolto ciò che avevo notato al principio di questa trattazione, ossia come il dionisiaco e l'apollineo, con creazioni sempre nuove e successive, e rafforzandosi a vicenda, dominarono la natura ellenica; come dall'età "del bronzo", con le sue titanomachie e la sua aspra filosofia popolare, si sviluppò, sotto il dominio dell'istinto di bellezza apollineo, il mondo omerico; come questa magnificenza "ingenua" venne di nuovo inghiottita dal fiume irrompente del dionisiaco, e come di fronte a questa nuova potenza l'apollineo si elevò alla rigida maestà dell'arte dorica e della visione dorica del mondo. Se in questa maniera la storia greca antica si suddivide, nella lotta di quei due princìpi avversi, in quattro grandi periodi artistici, siamo ora spinti a ricercare inoltre il disegno supremo di questo divenire e di questo operare, nel caso in cui il periodo raggiunto da ultimo, quello dell'arte dorica, non debba essere da noi considerato come il vertice e il fine di quegli impulsi artistici: e qui si offre ai nostri sguardi l'opera d'arte sublime e celebrata della tragedia attica e del ditirambo drammatico, come la meta comune dei due istinti, il cui misterioso connubio si è glorificato, dopo una lunga lotta precedente, in una tale creatura-che è insieme Antigone e Cassandra"[19]. I quattro grandi periodi artistici potrebbero essere quello dell’epica omerica, del ditirambo, dell’arte dorica e della tragedia attica che li comprende tutti.
Tale sintesi non si trova solo nella tragedia greca: "In effetti, il regno del paradigma d'ordine con esclusione del disordine (che esprimeva la concezione deterministica-meccanicistica dell'Universo) si è crepato in molti punti. In differenti domìni, la nozione d'ordine e la nozione di disordine chiedono sempre più insistentemente, malgrado le difficoltà logiche, di essere concepite in modo complementare e non più soltanto antagonista: il legame è apparso sul piano teorico nell'opera di von Neuman (teoria degli atomi autoriproduttori) e di von Foerster (order from noise) e poi si è imposto nella termodinamica di Prigogine, mostrando che fenomeni di organizzazione appaiono in condizione di turbolenza; si introduce sotto il nome di caos in meteorologia, e l'idea di caos organizzatore è divenuta fisicamente centrale a partire dai lavori e dalle riflessioni di David Ruelle. Così da differenti orizzonti arriva l'idea che ordine, disordine e organizzazione devono essere pensati insieme. La missione della scienza non è più di scacciare il disordine dalle sue teorie, ma di prenderlo in considerazione"[20]. Già Eraclito aveva visto che una bellissima armonia deriva dai contrari: " ejk tw'n diaferovntwn kallivsthn aJrmonivan" [21].
La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia, ora in gran parte nel British Museum di Londra; la gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[22] che ora si trova a Berlino, esprimono la stessa idea. Infatti "non esiste…una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[23], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[24].
Tanto ostili alla civiltà che Senofane[25] di Colofone sostiene che nei simposi degli uomini sereni "non si devono narrare le lotte di Titani e Giganti, e nemmeno di Centauri, fantasie delle generazioni precedenti, o guerre civili violente"[26].
i Titani (Tita'ne"), i giganti figli di Urano e Gea, sono tesi e ostinati nella loro tracotanza che viene punita come quella dei tiranni. Una bella pagina sui Titani vinti si trova nelle Memorie di Adriano: “ Avevo letto in Plutarco una leggenda di naviganti, riguardante un'isola situata in quei mari prossimi al Mare Tenebroso; da secoli gli dèi vittoriosi dell'Olimpo vi avrebbero relegato i Titani vinti. Quei grandi prigionieri delle rocce e delle onde, eternamente flagellati dall'Oceano insonne, votati anch'essi a un'insonnia perenne, ma intenti senza posa a sognare, continuerebbero a opporre all'ordine olimpico la loro violenza, la loro angoscia, il loro desiderio perennemente frustrato”[27].
Sandro Taurisani, "Il chaos n.01"
Anche la pittura secondo Riccòmini ha un lato volto verso il caos: “Mimesi, o imitazione del vero, e gusto della perfezione geometrica convivono spesso…Ma è anche frequente che il pendolo dell’arte oscilli in altra direzione, come s’è detto. Che l’occhio dell’artista si attardi, più che sulla verità e sulla sua sottesa geometria, su ciò che avviene sulla tela; su ciò che le sue abili mani combinano muovendo i pennelli e i grumi di colore…Questo gusto del pasticciare, del lasciare libera la mano lo si ritrova spesso, nella pittura di ogni epoca. Velàsquez lo conosceva bene. Aveva sott’occhio, a corte, non pochi dipinti di Tiziano; ch’era divenuto in vecchiaia, un singolare maestro di quella godibile casualità. Questa grande tela, con Apollo che scortica Marsia[28], Tiziano[29] l’ha dipinta verso i suoi novant’anni. Aveva una bella salute, da vero montanaro qual era. E ancora provava gusto a mescolar colori, a colpi, a grumi, a strisciate; con i pennelli ma anche con le dita, con qualche straccio che aveva sotto mano. Senza curarsi neppure d’imitare qualcosa di preciso; badando solo a ciò che, come per caso o per avventura, succedeva sulla tela. Guardate, da presso, quel che si vede sopra quei due satiri, sulla destra[30]. Che cosa raffigura, quello sfarfallio informe? Un angolo di bosco, si presume. Ma non si distinguono né rami né foglie”[31]. E’ il caos: "et Chaos innumeros avidum confundere mundos"[32], avido di confondere innumerevoli mondi.
Freud impiega il termine caos per spiegare che cosa sia l’Es: “A parte il nuovo nome, non aspettatevi che abbia da comunicarvi molto di nuovo sull’Es. E’ la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità; il poco che ne sappiamo, l’abbiamo appreso dallo studio del lavoro onirico e della formazione dei sintomi nevrotici…All’Es ci avviciniamo per paragoni: lo chiamiamo un caos, un crogiuolo di eccitamenti ribollenti…Attraverso le pulsioni, l’Es si riempie di energia, ma non possiede un’organizzazione, non esprime una volontà unitaria, ma solo lo sforzo di ottenere soddisfacimento per i bisogni pulsionali nell’osservanza del principio di piacere. Le leggi del pensiero logico non valgono per i processi dell’Es, soprattutto non vale il principio di contraddizione. Impulsi contrari sussistono uno accanto all’altro, senza annullarsi o diminuirsi a vicenda…Com’è ovvio, l’Es non conosce né giudizi di valore, né il bene e il male, né la moralità…l’Io è il paladino, nella vita psichica, della ragione e dell’avvedutezza, l’Es rappresenta invece le passioni sfrenate…Il rapporto dell’Io con l’Es potrebbe essere paragonato a quello del cavaliere con il suo cavallo. Il cavallo dà l’energia per la locomozione, il cavaliere ha il privilegio di determinare la meta, di dirigere il movimento del poderoso animale. Ma tra l’Io e l’Es si verifica troppo spesso il caso, per nulla ideale, che il cavaliere si limiti a guidare il destriero là dove quello ha scelto di andare…Un proverbio ammonisce di non servire contemporaneamente due padroni. Il povero Io ha la vita ancora più dura: è costretto a servire tre severissimi padroni…I tre tiranni sono: il mondo esterno, il Super-io e l’Es ”[33]. Il Super-io è il giudice dell’Io derivato dai genitori e da altre autorità, comprese le istanze e le norme della civiltà: “chiamiamo questa istanza Super-io, e la avvertiamo nella sua funzione giudicante, come la nostra coscienza morale. Rimane notevole il fatto che il Super-io dimostra spesso una severità di cui i veri genitori non hanno dato prova; ed è notevole anche un altro fatto, che il Super-io chiama l’Io in giudizio non soltanto per le azioni effettivamente compiute, ma anche per i pensieri e gli intenti irrealizzati che a quanto pare il Super-io conosce. Ci vien fatto notare che anche l’eroe della leggenda edipica si sente colpevole e si assoggetta a un’autopunizione a causa della sua impresa, benché, in base al nostro giudizio, così come al suo, la costrizione dell’oracolo avrebbe dovuto mandarlo assolto da ogni colpa…possiamo affermare che il mondo esterno (nel quale il singolo individuo si troverà esposto dopo essersi staccato dai genitori) rappresenta il potere del presente; il suo Es, con le tendenze ereditate che gli sono proprie, il passato organico; e il Super-io (sopraggiunto più tardi), essenzialmente la civiltà trascorsa, che il bambino è costretto in un certo senso a ricapitolare nei pochi anni della sua prima età”[34]. Allora: l’Es spinge l’Io alla soddisfazione delle pulsioni, la realtà spesso lo respinge, il Super-io lo limita. L’Io dunque “viene osservato passo per passo dal severo Super-io, che, senza tener conto delle difficoltà provenienti dall’Es e dal mondo esterno, esige l’ottemperanza a determinate norme di comportamento, e punisce l’Io, in caso di inadempienza, con spasmodici sentimenti di inferiorità e di colpa. Aizzato così dall’Es, limitato dal Super-io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia tra le forze e gli influssi che agiscono in lui e su di lui; e si comprende perché tanto spesso non riusciamo a reprimere l’esclamazione: “La vita non è facile!”. Se è costretto ad ammettere le sue debolezze, l’Io prorompe in angoscia: angoscia reale dinanzi al mondo esterno, angoscia morale dinanzi al Super-io, angoscia nevrotica dinanzi alla forza delle passioni dell’Es”[35].
 Tiriamo quindi le conclusioni: l’intenzione degli sforzi terapeutici è quella “in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente dal Super-io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee”[36].
Tuttavia: “Io vi dico: bisogna avere ancora un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”[37].
“Coloro che mostrano una propensione esagerata all’ordine, di solito hanno paura della vita”[38].
“Nella società un certo grado di caos e di sregolatezza è ineluttabile, un certo tasso di devianza e di follia degli uomini inevitabile. Le “forze dell’ordine”, la cui definizione non va sottovalutata né demonizzata, poiché è ricca di significati anche filosofici, le forze dell’ordine sono, in questo senso, al servizio del cittadino, assunto idealtipicamente, come persona che si comporta in modo regolare, normale, razionale. Tutto, appunto, regolare, non c’è che dire, e sensato: la società si deve pur difendere in qualche modo. Solo che ho la sensazione che tutto ciò sia parte di una gigantesca finzione, il risultato d’un copione universale, perché soltanto apparentemente il mondo è dominato dalla razionalità, dalla regolarità, dalla normalità. Il mondo, al contrario, è tutto fuorché quello-normale, regolare, razionale-e presumere che sia così mi sembra più un atto di fede che una realtà incontestabile”[39].

Se non è possibile, e neanche opportuno, eliminare il disordine, esso comunque va reso quanto meno non deleterio. Le turbolenze dell'istinto insomma devono essere superate moralmente, e indirizzate esteticamente, non soltanto represse.
Alla fine dell’Orestea di Eschilo le Erinni sopravvivono come Eumenidi: “ Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni-forze scatenate, arcaiche, istintive, della natura-sopravvivono: e sono dee, sono immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti, ripeto, questo problema”[40].
La visione orrenda delle Erinni spunta davanti agli occhi di Oreste nelle Coefore, quando l'assassino della madre le vede quali donne "simili a Gorgoni/dalle nere tuniche e intrecciate/di fitti draghi" (vv. 1048-1050). Tali mostri sono"le rabide cagne della madre" (v1054) che appaiono soltanto al matricida: " uJmei'~ me;n oujc oJra'te tavsd j, ejgw; d ‘ oJrw'”, voi non le vedete queste, ma io le vedo" (1061). Le Furie lo incalzano: “ejlauvnomai de; koujkevt j a]n meivnaim j ejgwv” (v. 1062), sono sospinto e non posso più restare io.
T. S. Eliot pone questi versi quale epigrafe di Sweeny agonista (1930),: " You don’t see them, you don’t-
But I see them: they are hunting me down, I must move on”.
Nel dramma La Riunione di famiglia (1939) Eliot mostra come tali visioni siano un privilegio.
Secondo l'autore di The waste land bisogna seguire le Erinni come segni mandati da un altro mondo, non cercare invano di evitarle con un'impossibile fuga in quella "deriva infinita di forme urlanti in un deserto circolare" che è la storia umana. Quelli che vedono le Erinni insomma, sono monocoli in una terra di ciechi.
Non sempre del resto c’è redenzione dopo un delitto del genere: Nerone, dopo avere ammazzato Agrippina (59 d. C.) sebbene rassicurato dalle congratulazioni dei soldati, del Senato e del popolo: “neque tamen conscientiam sceleris…aut statim aut umquam ferre potuit, saepe confessus exagitari se materna specie verberibusque Furiarum ac taedis ardentibus” (Svetonio, Neronis vita, 34), tuttavia non poté subito né poi sopportare il rimorso del delitto, e spesso confessò di essere tormentato dalla visione della madre e dalle fruste e dalle fiaccole ardenti delle Furie.
Tuttavia l’imperatore recitava la parte di Oreste a teatro, probabilmente per risalire all’archetipo mitico del suo orribile delitto, e per il fatto che Oreste era stato assolto.

Da una parte è vero che l'uomo moderno "non è se non un centauro storpio e mutilato il quale ricostituisce il mito primitivo riconnettendo indissolubilmente il suo genio all'energia atroce della natura"[41]. Né è falso quanto afferma Bernardin De Saint-Pierre che noi Europei sin dall'infanzia abbiamo "la mente piena di pregiudizi contrari alla felicità" e non possiamo più comprendere "quanti lumi e piaceri possa dare la natura"[42].
Freud afferma che le conquiste della civiltà sono avvenute a spese della sessualità: “Le pretese pulsionali alle quali non è stato concesso un soddisfacimento diretto sono costrette a imboccare altre strade che portano a soddisfacimenti sostitutivi, e mentre percorrono queste vie traverse tali pretese possono desessualizzarsi e può allentarsi il loro collegamento con le mete pulsionali originarie. Anticipiamo con ciò l’asserzione che molte cose appartenenti a quello che riteniamo essere il nostro più prezioso patrimonio di civiltà sono state acquisite a spese della sessualità, mediante restrizione di forze motrici di natura sessuale”[43].
Del resto la componente istintiva, prima repressa, poi scatenata verso distruzione, mai applicata all'incremento della vita, porta Gustav Aschenbach alla morte, preannunciata da una fantasia onirica memore dei riti orgiastici delle Baccanti: " Al ritmo dei timpani si squassava il suo cuore, il cervello vorticava; ira accecamento, stordimento voluttuoso invadevano la sua anima, smaniosa di accordarsi al tripudio del dio. Ed ecco, enorme, ligneo, scoprirsi e innalzarsi l'osceno simbolo; a quella vista tra sfrenati clamori, tutti gridarono la formula rituale e con la schiuma alle labbra si precipitarono in un'orgia pazzesca. Ridenti, singhiozzanti, si eccitavano a vicenda con gesti sconci e carezze lubriche, e si cacciavano l'un l'altro i pungoli nelle carni, leccando il sangue che colava sulle membra"[44].
A questo proposito sentiamo Dodds: “As the “moral” of the Hippolytus is that sex is a thing about which you cannot afford to make mistakes, so the ‘moral’ of the Bacchae is that we ignore at our peril the demand of the human spirit for Dionysiac experience. For those who do not close their minds against it such experience can be a deep source of spiritual power and eujdaimoniva. But those who repress the demand in themselves or refuse their satisfaction to others transform it by their act into a power of disintegration and destruction, a blind natural force that sweeps away the innocent with the guilty. When that has happened, it is too late to reason or to plead: in man’ s justice there is room for pity, but there is none in the justice of Nature[45], come la ‘morale’ dell’Ippolito è che il sesso è una cosa sulla quale non ci si può permettere di fare errori, così la ‘morale’ delle Baccanti è che noi ignoriamo a nostro pericolo l’esigenza dello spirito umano di esperienza dionisiaca. Per quelli che non le oppongono una barriera mentale, tale esperienza può essere una sorgente profonda di potenza spirituale e di felicità. Ma quelli che reprimono l’esigenza in se stessi o ne rifiutano l’appagamento in altri, la trasformano con il loro atto in una potenza che disintegra e distrugge, una forza cieca e naturale che spazza via l’innocente con il colpevole. Quando questo è accaduto, è troppo tardi per ragionare o perorare: nella giustizia dell’uomo c’è spazio per la pietà, ma non ce n’è nella giustizia di Natura.
L’istinto represso causa danni, e così pure l’istinto sfrenato.
Il collega Pierpaolo Fornaro ha suggerito Il signore delle mosche[46] di W. Golding come testo indicativo di quali possano essere i danni provocati dall'istinto sfrenato dei giovani. Non tutti gli effetti della civilizzazione sono deleteri, per certi versi può esserlo più la Cultura, se essa, come afferma T. Mann alla vigilia della prima guerra mondiale, "può comprendere l'oracolo, la magia, il cannibalismo, culti orgiastici, inquisizione, autodafé, ballo di S. Vito, processi di streghe, fiorir di venefici e delle più varie atrocità"[47].
In ogni caso non si deve mai perdere l’amore per la vita terrena e per la stessa terra: “ Bleibt mir der Erde treu, meine Brüder, mit der Macht euer Tugend! Restatemi fedeli, fratelli miei, alla terra con tutta la forza della vostra virtù! Il vostro amore, che tutto dona, e la vostra conoscenza servano il senso della terra”. Così parla Zarathustra…Bacia la terra e amala incessantemente, insaziabilmente-dice lo starets Zosima-cerca questa estasi e questa esaltazione. Bagna la terra con le lacrime della tua gioia e ama queste tue lacrime”[48].
“Di fronte a ogni realtà naturale Confucio dice sempre di sì”[49].
Zosima muore baciando la terra: “si lasciò scivolare dolcemente dalla poltrona sul pavimento, e inginocchiandosi, si chinò col viso fino a toccar terra, si prosternò, allargò le braccia in croce; e come invaso dall’estasi, baciando la terra e pregando (come appunto aveva insegnato a fare), serenamente e gioiosamente rese l’anima a Dio”[50]. Alioscia segue l’esempio del maestro: “Una notte fresca e calma fino all’immobilità avvolse la terra…Alioscia rimase a guardare per un momento quello spettacolo, poi, ad un tratto, si gettò con la faccia a terra come se l’avessero falciato. Egli non sapeva perché l’abbracciasse, non si rendeva conto della ragione per cui gli fosse venuta quella terribile voglia di baciarla, di baciarla tutta; ma egli la baciava piangendo, singhiozzando, inondandola delle sue lacrime, e giurando, in uno slancio impetuoso, di amarla, di amarla eternamente. “Inonda la terra delle tue lacrime di gioia, e amale, codeste tue lacrime…”, disse una voce nella sua anima”[51].
Si pensi alla “cura di Anteo”, un gigante libico che uccideva i viandanti e acquisiva forza dal contatto con sua madre, che poi è la madre di tutti, la Terra. Ercole dovette sollevarlo dal suolo e togliergli il contatto con la madre per strozzarlo: "La civilizzazione e l'intellettualità son belle cose, son grandi cose, non vogliamo certo negarlo. Ma senza quella che noi un giorno definiremo la compensazione di Anteo, sono rovinose per l'uomo e creano la malattia"[52].








[1]I. Calvino, Lezioni americane, p. 10.
[2] Tenute nel 1985-1986 e pubblicate postume nel 1988.
[3] I. Calvino, Lezioni americane, p. 10.
[4] Fa parte di un frammento di Saffo (58 Voigt) trasmesso dal Papiro di Ossirinco 1787.
[5] M. Cacciari, in Di fronte ai classici, p. 23; Leopardi, Zibaldone, 307.
[6] L’autore rimanda a una riproduzione di La flagellazione di Cristo del 1455. Si trova a Urbino, nella Galleria Nazionale delle Marche.
[7] E, Riccòmini, A caccia di farfalle, p. 35.
[8] Cfr. Medea di Seneca, vv. 360-361 (n. d. r.)
[9]G. Biondi, Il mito argonautico nella Medea. Lo stile 'filosofico' del drammatico Seneca, "Dioniso" 1981, p. 428-429 e 435. G. Biondi, ibid., p. 435.
[10] “Sempre la confusion delle persone/principio fu del mal della cittade” (Paradiso, XVI, 67-68).
[11] Proust ricorda questo episodio in La prigioniera e lo applica al suo sermo amatorius: " Eppure, non mi rendevo conto che già da un pezzo avrei dovuto staccarmi da Albertine, giacché era entrata per me in quel periodo miserando nel quale un essere disseminato nel tempo e nello spazio non è più per noi una donna, ma una serie di eventi sui quali non possiamo far nessuna luce, una serie di problemi insolubili, un mare che, come Serse, cerchiamo inutilmente di fustigare per punirlo di tutto quello che ha ingoiato” (p. 103).
[12] Cfr. Aristotele, Poetica 1458a.
[13] M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983, p. 148.
[14] Il quale nel Timone d'Atene chiama l'oro "comune bagascia del genere umano"; l'universale mezzana che "profuma e imbalsama come un dì di Aprile quello che un ospedale di ulcerosi respingerebbe con nausea" (IV, 3)
[15] Manoscritti economico-filosofici del 1844, p. 154.
[16] Cfr. Lucano, Pharsalia, VI, 696.
[17] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 28.
[18] Per l’apollineo e il dionisiaco cfr. cap. 27.
[19] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 39.
[20] E. Morin, La testa ben fatta, p. 122.
[21] Fr. 24 Diano.
[22] 180-160 a. C.
[23] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[24] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore, p. 144.
[25] VI-V sec. a. C.
[26] Questi versi (21-23) fanno parte di un'elegia citata da Ateneo, II-III sec. d. C., Sofisti a banchetto, XI 462c.
[27]M. Yourcenar, Memorie di Adriano, p. 130.
[28] Tiziano, La punizione di Marsia, ca 1570. Kromeriz, Museo Nazionale. Il quadro è riprodotto a p. 89 (fig. 26) di A caccia di farfalle (ndr).
[29] Tiziano è nato nel 1490 ca a Pieve di Cadore ed è morto a Venezia nel 1576 (ndr).
[30] Figura 27, p. 90.
[31] E. Riccomini, A caccia di farfalle, pp. 38-39.
[32] Lucano, Pharsalia, VI, 696.
[33] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, (del 1932) in Sigmund Freud, Opere, 1930-1938, pp. 185- 186.
[34] S. Freud, Compendio di psicoanalisi, (del 1938), in Sigmund Freud, Opere, 1930-1938, pp. 632-633.
[35] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in Sigmund Freud, Opere, 1930-1938, p. 188-189.
[36] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in Sigmund Freud, Opere, 1930-1938, p. 190.
[37] F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, p. 11.
[38] E. Fromm, L’amore per la vita, p. 75.
[39] Guido Croci, Victor, p. 181.
[40] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.
[41] G. D'Annunzio, Faville del maglio, La resurrezione del centauro (1907).
[42] Paul e Virginie (del 1788), p, 135.
[43] S. Freud, Compendio di psicoanalisi, in Sigmund Freud, Opere, 1930-1938, p. 628.
[44] T. Mann, La morte a Venezia (del 1913) p. 139.
[45] Euripides Bacchae, p. xlv.
[46] Del 1954.
[47] Traggo la citazione, di seconda mano, da A. Camera R. Fabietti Storia vol. III, p. 194.
[48] D. Merezkovskij, Tolstòj e Dostoevskij., p. 366.
[49] K. Jaspers, I grandi filosofi, p. 255.
[50] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 407.
[51] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, p. 451.
[52] T. Mann. Carlotta a Weimar, p. 403. 

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