mercoledì 26 agosto 2015

Metodologia per l'insegnamento del greco e del latino, parte XLVI

Agamennone al Teatro della Fortuna (Fano)


Pessimismo e ottimismo pedagogico. Pindaro. Euripide: Ecuba (oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n kakov") e Supplici (hJ eujandriva-didaktovn). Protagora in Platone: paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn

Ora è chiaro che non tutti sono portati per le stesse materie; che il greco e il latino sono facili per alcuni, difficilissimi per altri. L’intuizione infatti è una qualità indispensabile, come la leggerezza e la potenza per un campione. Quelli predisposti alle nostre materie ci inducono all’ottimismo pedagogico, quelli maldisposti, al pessimismo. Sull’argomento riferisco le opinioni di tre maestri.
Pindaro nell’ Olimpica II chiarisce il suo pessimismo pedagogico: "sofo;" oJ polla; eijdw;" fua'/ -maqovnte" dev, lavbroi - pagglwssiva/ kovrake" w{" a[kranta garuveton - Dio;" pro;" o[rnica qei'on ” (vv. 86-89), saggio è chi sa molto per natura, voi due[1] addottrinati invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al divino uccello di Zeus, gracchiate parole vuote.
Nell’Ecuba (del 424) di Euripide la protagonista sente raccontare da Taltibio il sacrificio di Polissena e prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio di un eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva, /ma ottiene buone condizioni dagli dèi, produce buona spiga, /mentre se è buona, ma non riceve quanto essa deve ottenere, / dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il malvagio non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (“oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n kakov", - oJ d j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'" u{po - fuvsin dievfqeir j, ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;”) /Dunque i genitori fanno la differenza o l'educazione?/Certamente anche essere educati bene, porta/ un insegnamento di onestà; e se uno l’ha imparato bene, / sa che cosa è turpe, avendolo appreso con il metro del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha scagliati invano", (Ecuba, vv. 592-603). In questa tragedia dunque prevale il pessimismo, come nell’ode di Pindaro.
Nelle Supplici, del 422, un dramma che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece l'espressione di un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre dei sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi direttamente a Teseo: “ Non ti stupire dopo quanto ho detto, / Teseo, che questi abbiano avuto il coraggio di morire davanti alle torri. /Infatti essere educati non ignobilmente comporta il senso dell'onore: /e ogni uomo che ha esercitato il bene/
si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù insegnabile (hJ eujandriva-didaktovn), se è vero che il bambino impara/a dire e ad ascoltare quello di cui non ha cognizione. /Ma quello che uno abbia imparato, suole conservarlo/fino alla vecchiaia. Così educate bene i vostri figli" (vv. 909-917).
Un’opinione diffusa, non solo ad Atene, di ottimismo pedagogico viene riportata nel Protagora di Platone.
Il sofista, personaggio eponimo del dialogo, sostiene che alcuni aspetti naturali degli uomini (piccolezza, bruttezza o debolezza, p. e.) non si possono correggere, e dunque non suscitano irritazione e non provocano punizioni; mentre l’assenza delle qualità che derivano all’uomo dall’esercizio, provoca ire, ammonimenti e sanzioni. Ingiustizia, empietà e assenza di virtù politica vengono punite “o{ti ge oi{ ge a[nqrwpoi hjgou'ntai paraskeuasto;n ei\nai ajrethvn” (324), poiché gli uomini pensano che la virtù sia acquisibile. Si punisce per correggere e distogliere dal commettere ingiustizia: “kai; toiauvthn diavnoian e[cwn dianoei'tai paideuth;n ei\nai ajrethvn” (324b), e chi la pensa in questo modo crede che la virtù sia insegnabile. Se gli Ateniesi, come gli altri, puniscono i colpevoli di ingiustizia, ciò significa che anche loro sono tra quelli i quali considerano la virtù acquisibile e insegnabile. Stessa posizione negli Stoici.


Conclusione etica: la felicità ha bisogno del bello morale e non vi è profonda felicità senza morale profonda. Moralità è favorire la vita, immoralità danneggiarla. Chi danneggia la vita prima o poi viene sconfitto. La scuola deve dare un’educazione morale

Per quanto riguarda l’esigenza di una conclusione etica di questo mio lavoro mi affido ad alcune citazioni che convalidano quanto ho sempre pensato della mia deontologia professionale e di educatore: "Ogni altra scienza è dannosa a colui che non ha la scienza della bontà… Il profitto del nostro studio è esserne divenuto migliore e più saggio"[2]; "e sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda"[3].
Bisogna riflettere su queste parole e su queste altre di Nietzsche: “Siamo arrivati al punto che le nostre scuole e i nostri maestri prescindono semplicemente da una educazione morale o si contentano di formalismi: e virtù è una parola sotto la quale maestri e scolari non riescono a pensare a niente, una parola passata di moda, della quale si sorride- e male se non si sorride perché allora si è ipocriti”[4].
L’educazione morale deve insegnare a non danneggiare la vita. Si confanno a tale scopo queste citazioni finali, una sorta di quintessenza della morale di tre profeti della Giustizia: “prepara il male a se stesso l’uomo che lo prepara per un altro, / e il cattivo progetto è pessimo per chi l’ha progettato” (Esiodo, Opere e giorni, vv. 265-266).
Quindi Solone: “Ricchezze desidero averne, ma acquistarle ingiustamente/ non voglio: in ogni caso in seguito è solita arrivare Giustizia” (Allle Muse, Fr. 13 West, vv. 7-8).
Poi Eschilo: “la violenza infatti fiorendo dà per frutto una spiga/
di accecamento donde falcia una messe tutta di lacrime" (Persiani, vv. 821-822).
l’Orestea: “infatti non c'è difesa/ di ricchezza, volta alla sazietà, per l'uomo / che ha preso a calci il grande altare/di Giustizia, con il proposito di farla sparire" (Agamennone, vv. 381-384).
Un'immagine che tornerà, variata, nelle Eumenidi: "rispetta l'altare della Giustizia, /e non disprezzarlo con calci di piede sacrilego/guardando al lucro: infatti il castigo sopraggiungerà" (vv. 539-541).
Chiudo con i versi che rendono visibile, quasi con un senso di compassione, l’insensatezza infantile e crudele di chi danneggia la vita[5] che lo punirà: “Ogni rimedio è vano. Non rimane nascosto, /ma risalta, luce di sinistro bagliore, il danno;/e, come bronzo cattivo/per sfregamento e colpi, /diventa nero, se sottoposto a giustizia, poiché/insegue, come un fanciullo, un uccello che vola" (Agamennone, vv 388-394).


Gianni Ghiselli




[1] Simonide e Bacchilide, secondo gli scoliasti
[2] Montaigne, Saggi, p. 185 e p. 199.
[3] R. Musil, L'uomo senza qualità, p. 846.
[4] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III, Schopenhauer come educatore, p. 172.
[5] "In qualche modo verrete sconfitti. Qualche cosa vi sconfiggerà. La vita vi sconfiggerà" (G. Orwell, 1984, p. 282) dice Winston, il protagonista del romanzo al suo torturatore.

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